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Dottrina sociale
a cura di Stefano Fontana

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1991, il Direttorio per “camminare insieme” (ma nella verità)

Nel 1991 la Chiesa italiana aveva pubblicato un Direttorio di pastorale dal titolo “Evangelizzare il sociale”. Esso si articolava in tre punti, e tutti contrastavano con l’impostazione della sinodalità odierna. Vediamoli.

Dottrina sociale 03_11_2023

La nuova sinodalità insiste molto sul “camminare insieme”, come se finora nella Chiesa non si fosse mai camminato insieme. E siccome ora si dice che la Chiesa o è sinodale o non è, ne deriva che finora la Chiesa non ha mai saputo cosa essa sia. Infine, come garanzia di questo camminare insieme, si vuol combattere il “clericalismo” e anche l’“episcopalismo” e si pretende di mettere i laici a forza dappertutto. I due aspetti inaccettabili di questo camminare insieme della nuova sinodalità sono i seguenti: 1) che il camminare preceda il fine per cui si cammina, sicché il senso del camminare emerga dal camminare stesso; 2) che la Chiesa riduca tutte le sue caratteristiche essenziali – l’unità, la santità, la cattolicità, l’apostolicità – a questo camminare insieme.

Ora, andiamo indietro di qualche decennio. Nel 1991 la Chiesa italiana aveva pubblicato un Direttorio di pastorale sociale dal titolo “Evangelizzare il sociale”. Anche questo documento voleva che nella Chiesa si camminasse insieme, in questo caso nel campo specifico della pastorale sociale e della Dottrina sociale della Chiesa. Però intendeva il camminare insieme in modo opposto da come lo vede oggi la nuova sinodalità.

Evangelizzare il sociale” si articolava in tre punti, e tutti contrastavano con l’impostazione di oggi.

Il primo punto era l’idea che l’agire insieme nel campo della società e della politica avvenisse alla luce della Dottrina sociale della Chiesa. In nessun luogo si sosteneva che la pastorale (sociale) precedesse la dottrina (sociale). All’inizio del documento, infatti, non c’era né la situazione dell’uomo contemporaneo, né le sfide o le domande del momento, né i segni dei tempi… c’era l’esposizione di cosa era e cosa diceva la Dottrina sociale della Chiesa. Questa veniva allora intesa come precisato da san Giovanni Paolo II nelle sue tre encicliche sociali Laborem exercens, Sollicitudo rei socialis e Centesimus annus. Essa era considerata un vero e proprio corpus dottrinale che rientrava nella teologia morale e che, come tale, riguardava tutti gli aspetti della società e non solo i poveri, le periferie, i non integrati o le vittime dei cambiamenti climatici. Aveva quindi un intento architettonico ed esprimeva una coerenza costruttiva a cui il fedele avrebbe dovuto attenersi. Presupponeva di aver qualcosa di proprio e di unico da dire e da fare e mai pensava che si potesse collaborare con tutti.

Il secondo punto riguardava lo scopo della evangelizzazione. La Dottrina sociale consisteva nell’annuncio di Cristo nelle realtà temporali, con la quale prospettiva si ribadiva – anche se in termini più attenuati rispetto al passato preconciliare – la regalità sociale di Cristo. Nulla nella vita sociale poteva dirsi estraneo a Cristo e tutte le forme di azione dei cattolici nella società avevano una finalità religiosa e missionaria: la Dottrina sociale era vista come uno strumento di evangelizzazione. Essa non doveva mostrare solo la luce della ragione ma anche la luce della fede. Non si pensava lontanamente che l’evangelizzazione del sociale fosse proselitismo o che coltivando queste finalità la religione cristiana si trasformasse in ideologia. Si parlava sì della persona umana e si distingueva tra natura e soprannatura, ma non si riteneva che questo piano fosse autonomo, né tantomeno che fosse una via obbligata di verifica della verità dell’annuncio della fede rivelata.

Il terzo punto consisteva nel dire che la Dottrina sociale della Chiesa è “della Chiesa”, sicché c’è un soggetto organico – la Chiesa appunto – e poi, dentro questa organicità, i vari ministeri ecclesiali del papa, dei vescovi, dei sacerdoti, dei religiosi e dei laici. Trattandosi di un Direttorio, che intendeva stabilire cosa fare, come fare e chi dovesse fare, il documento passa in rassegna tutti questi livelli della vita ecclesiale e per ognuno indicava la funzione ecclesiale nel campo della Dottrina sociale della Chiesa. Il papa doveva definire le verità che guidano la presenza della Chiesa e dei cristiani nel mondo profano, in virtù del proprio ministero apostolico e non per supplenza di altri. I vescovi erano detti i primi dottori nella loro diocesi e dovevano promuovere la formazione e l’applicazione della Dottrina sociale, vegliando perché non si deviasse dalla retta via. I sacerdoti non dovevano mettersi a lavorare direttamente in campo sociale e politico, ma promuovere la Dottrina sociale rimanendo sacerdoti, ossia con la liturgia, la predicazione, i sacramenti, la guida delle anime. I religiosi con i loro voti di obbedienza, povertà e castità, avrebbero anticipato lo stato beatifico. I laici, infine, avrebbero agito concretamente nelle realtà profane ma sempre per ordinarle a Dio.

Ora ci chiediamo: non era questo un camminare insieme? Non c’era una unica verità che illuminava il cammino comune? Non c’era un unico scopo, l’evangelizzazione? Non erano mobilitati e coinvolti insieme, ma nella loro posizione gerarchica e dentro l’unico soggetto-Chiesa, tutte le componenti ecclesiali e tutti i carismi? Perché allora le indicazioni di quel documento sono state disattese e boicottate da coloro che ora premono per il nuovo camminare insieme? Perché i preti si sono messi a fare i laici, come ora si pretende che i laici facciano i preti? Le due caratteristiche della sinodalità viste all’inizio di questo scritto pensano ad un camminare insieme nuovo e diverso da quello vero e autentico che già c’era, ma che è stato mandato al macero. (Stefano Fontana)