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STORIA

150 anni d'Italia, un'occasione perduta

E' prevalsa una versione ideologica del Risorgimento a cui, purtroppo, ha dato un contributo anche l'ecclesiasticità italiana, censurando i grandi Papi e nascondendo la presenza di un popolo.

Cultura 14_04_2012
Risorgimento

Le celebrazioni dei 150 anni dell’unità d’Italia sono state una grande occasione perduta. Per i laici e per i cattolici.

Mi ero illuso che coloro – la laicità - che hanno osannato Giovanni Paolo II perché aveva attuato la purificazione della memoria ammettendo con estrema chiarezza e rigore i limiti di comportamenti cristiani non adeguati in certi momenti nodali della storia della Chiesa, facessero qualcosa di analogo  la laicità mi aspettavo che facesse qualche cosa di analogo, perché elementi negativi dal punto di vista morale accompagnano la storia del Risorgimento e dell’Unità d’Italia fin dalle prime ore.

Poi però mi sono detto che chi non ha un’apertura religiosa della vita non può fare la purificazione della memoria. La memoria si purifica di fronte a un ideale di vita che ci eccede, che ci sorpassa, nei confronti del quale come ogni buon cristiano ci sentiamo continuamente inadeguati. Pensiamo al generale Cialdini, nella battaglia sul Volturno, che per la prima volta in Italia ha fatto mitragliare il popolo inerme che era assiepato per cercare di portare a casa qualche sfilatino di pane e un po’ d’acqua, e che poi ricevette dal re il titolo di Conte del Volturno.

Dunque è prevalso il laicismo marcato, si è preferito una vulgata di tipo agiografico che a mio modo di vedere non tiene neanche più il passo con la storia: le opere storiografiche da qualsiasi settore vengano dal mondo laico come dal mondo cattolico, come da un certo mondo marxista. Questa vulgata è stata in qualche modo imposta a livello dell’opinione pubblica, e mi pare sia stata imposta con metodi quirinaleschi, come se toccasse al Presidente della Repubblica dare il via a una interpretazione esatta del Risorgimento e dell’Unità d’Italia. Quindi un’occasione perduta perché su avvenimenti storici in cui si è andato lavorando intensamente in questi ultimi 15-20 anni, è stato negato qualsiasi dignità a tutto ciò che veniva sbrigativamente definito revisionismo.
Ma è un’occasione perduta anche in campo cattolico, perché l’immagine che l’ecclesiasticità italiana nel suo complesso ha dato è che questa lettura del Risorgimento ci va benissimo. Non solo ci va benissimo ma siamo stati tra i soci fondatori, secondo l’espressione usata recentemente da qualche magnate della Chiesa italiana.

Anche qui credo che poteva essere un momento di interrogazione profonda, non sullo stato o sul risorgimento o sulla politica , ma su come la Chiesa ha vissuto questi 150 anni, le chiese che sono in Italia. Cosa abbiamo fatto di questi 150 anni? Allora si può fare la storia dei 150 anni della presenza in Italia tacendo il grande pontificato di Pio XI, di Pio XII, dell’insegnamento della Dottrina sociale della Chiesa che ha accompagnato i deliri di certo ideologismo per riservare pesi e importanza all’uno piuttosto che all’altro?

Allora tre brevi considerazioni:

1. Il Risorgimento inizia male il processo dell’unità d’Italia. L’identificazione risorgimento-unità d’Italia è scorretta storiograficamente, ma prima ancora storicamente. Il Risorgimento è certamente un’operazione di tipo ideologico in cui prevale il desiderio di eliminare il passato, di eliminare la tradizione, di eliminare quella cultura popolare cattolica di cui ha parlato impareggiabilmente Benedetto XVI al convegno delle chiese italiane a Verona nel 2006. La Chiesa ha custodito questa cultura di popolo, l’ha maturata, forse non ha saputo difenderla adeguatamente dagli attacchi del secolarismo, occorre riaprire il discorso della formazione di questa cultura popolare cattolica perché all’incremento della cultura cattolica è legato il destino del paese. Qui il laicismo non ha ancora vinto: se la Chiesa italiana vince la battaglia contro il laicismo non la vince solo per sé ma per tutta la Chiesa.

C’è una operazione di tipo ideologico della rimozione della cultura popolare cattolica per sostituirla con qualcosa di più difficilmente definibile – razionalismo, illuminismo, massoneria, progressismo –, e c’è una variegata melange di fattori unificati da un anticlericalismo che sostanzialmente è un anticattolicesimo. Togliere questa tradizione popolare cattolica per sostituirla con questa nuova impostazione, questa nuova concezione che fa fatica a reggere con la vita quotidiana, fa fatica a reggere con le problematiche normali dell’esistenza familiari, ambientali, sociali. Ha dovuto avere la forza di un’operazione che ha anche avuto connotazioni di carattere militare, oppressivo. Silvio Spaventa, che è un raffinatissimo hegeliano che partecipa al Risorgimento e scrive pagine di fuoco contro la Chiesa cattolica o, meglio, in favore di un Risorgimento che mette fine allo strapotere della Chiesa cattolica, affermava che il popolo italiano sarà rinnovato dalla nuova religione che avrà nella scuola la sua vera chiesa. Hanno potuto tranquillamente fare piazza pulita da quelli che dissentivano, pochi o tanti che fossero.

Almeno noi cattolici non cadiamo nel tranello che non fosse in vista il tentativo di eliminare una realtà per sostituirla con un’altra. Questa è un’operazione che ritengo ideologica, se per ideologia si intende una sovrapposizione di una visione astratta, potentissima in quanto ha i mezzi economici, militari, di sostegno a livello internazionali delle grandi potenze proto-industriali o poco più che proto, cioè Inghilterra e Francia.

E’ giusto affermare che si doveva raccogliere l’istanza dell’unità politica e quindi di un rinnovamento anche della struttura sociale e politica, anche istituzionale perché era certamente un’esigenza, non solo del laicismo, ma un’esigenza diffusa più ampia; ma si deve fare senza l’eliminazione forzosa di un dato, per la sostituzione adesso con un altro dato, peraltro minoritario come valore intellettuale e minoritario e come consistenza di presenza storica. Non è una conoscenza adeguata del Risorgimento se non si tiene presente questa eliminazione forzosa di un dato storico straordinario, di grande peso nella vita affettiva del nostro popolo, a favore di una concezione ideologica che certamente tanto entusiasmo non ha mai sollevato nel nostro paese: il culto dell’altare della patria, del milite ignoto, dei padri della patria, che poi soprattutto il fascismo rilanciò, aveva l’entusiasmo di quelli che avendo famiglia dovevano essere iscritti al partito fascista. Si deve recuperare questo non in funzione di una difesa astiosa del clericalismo precedente, ma nel senso che certamente dal punto di vista obiettivo un dialogo fra le parti avrebbe favorito un’esperienza storica più oggettiva.

Parlare di Risorgimento è una clamorosa forzatura; come diceva il cardinale Giacomo Biffi, «Risorgimento di che? Eravamo morti? Forse che l’Italia era morta, l’Italia non esisteva? Esisteva una capacità di influsso straordinario dell’unità italiana che era una unità di cultura, di arte, di insegnamento, per la quale l’Italia era stata maestra dei popoli e delle nazioni da secoli». Quando il Progetto culturale della Chiesa italiana ha celebrato il 150esimo la prolusione ufficiale è stata pronunciata dal mio grandissimo amico Claudio Scarpati, il quale ha fatto un discorso radicalmente diverso da quello che si aspettavano tutti, probabilmente anche gli organizzatori, parlando dell’unità d’Italia dal ‘300 al ‘700; poi ha chiuso i fogli dicendo, il resto è stato un appendice di questa grande unità culturale, artistica, Mozart che studia a Napoli, sono cose incredibili quelle che secondo l’ottica particolaristica si dimentica. Si dimentica che gli architetti di Polonia e di Russia venivano a studiare nelle grandi scuole nostre, si dimentica che c’era una circolazione della cultura italiana che nasceva come espressione di questa cultura di popolo che prendeva le vie del mondo.
Questo non significa che non fosse un’esigenza giusta, una ristrutturazione dal punto di vista socio-politico dell’Italia, ma non perché l’Italia non esistesse.

2. Poi l’unità si è fatta e si è fatta anche per la partecipazione dei cattolici. Indubbiamente l’Italia unita non è stata fatta all’origine con i cattolici, ma fatta all’origine contro il cattolicesimo, in particolare contro il Papa che raccoglieva tutta la forza del cattolicesimo, questa unità si è comunque attuata in modo graduale, non senza difficoltà, non senza fatiche, non senza illusioni e delusioni, però questa unità è stata fatta anche dai cattolici, ma da quali cattolici? Non certamente qualche decina di intellettuali 

La vita nelle famiglie, nelle parrocchie, nelle istituzioni, nell’Azione Cattolica, nelle confraternite ha dato a questo popolo cristiano il senso che doveva essere missionario nella nuova situazione, perché la Chiesa non fissa lei le condizioni della sua missione, sono fissate dalla realtà. Piaccia o non piaccia la missione si svolge in un contesto che può essere il più ampio e più libero possibile, e quindi normalmente in questo caso di maggiore libertà l’influsso della Chiesa diventa anche più determinante sul piano storico, sul piano sociale, ma la stessa visione è possibile nei campi di concentramento o nei campi di sterminio.

Non è un caso che Giovanni Paolo II ha indicato come le due espressioni di questa capacità missionaria della Chiesa nel XX secolo padre Kolbe e suor Teresa Benedetta della Croce. Essi sono il segno che la chiesa è andata in missione nei campi di concentramento e nei campi di sterminio. E qui ha segnato una novità umana, una novità umana che in qualche modo si è imposta alla belluinità o alla ferocia della situazione. Quindi recuperare – ecco cosa sarebbe stato interessante –, recuperare l’esperienza del popolo cristiano.
L’unica novità della storia è la presenza del popolo cristiano che mangia e beve, veglia e dorme, vive e muore non più per se stesso ma per lui che è morto e risorto per noi. Questa realtà è scomparsa, gli altri hanno cercato di farla scomparire e noi accettiamo che sia scomparsa e accettiamo al massimo di prestare qualche servizio religioso a chi lo vuole, a quella minoranza che chiede i servizi religiosi in una società e in una cultura totalmente egemonizzata da una posizione anti cattolica.

150 anni di storia di una presenza di popolo, questo doveva essere il protagonismo che la Chiesa italiana metteva in primo piano, il protagonismo dei grandi papi, il protagonismo dei grandi vescovi. Quando nel 1938 Hitler è venuto a Roma, e ha fatto un giro per l’Italia, il papa è uscito da Roma, ha fatto chiudere tutte le chiese e si è rifugiato a Castelgandolfo, A Milano il cardinale Schuster fece chiudere tutte le chiese, e lo stesso ha fatto il cardinale Elia Dalla Costa a Firenze, e questo se ne è andato a casa non potendo vedere un pezzo della tradizione religiosa cattolica espressa nella grandezza dell’arte. Diciamo come Bernardo di Chartres, siamo dei nani sulle spalle dei giganti ed è perché siamo sulle spalle di questi giganti che possiamo vedere il presente e progettare il futuro; però bisogna conoscerlo questo nostro passato, bisogna avere l’orgoglio della vita cattolica del nostro popolo.
Per una coscienza cattolica ben formata è stato avvilente che si facesse una storia di questi 150 anni mettendo tra parentesi il soggetto cattolico per eccellenza che non è né la Fuci né i laureati cattolici o altro.

3. La questione attuale, ancora attuale, è che questi 150 anni non hanno consentito ancora che sia formulata con una oggettività reale è la questione culturale, la cultura del nostro popolo,  delle culture del nostro popolo. O forse significativamente sarebbe meglio dire della non cultura del nostro popolo, ormai largamente  prevalente attraverso i mezzi della comunicazione sociale è ciò che rimane della cultura popolare cattolica.
Non si può oggi nel 2012 affrontare il tema dell’unità d’Italia senza rendersi conto che bisogna correre ai ripari mettendo al centro della considerazione culturale, sociale e quindi anche politica la questione culturale, e quindi la questione educativa.

La questione culturale e la questione educativa, perché si passa da una serie di istituzioni che sono davanti agli occhi di tutti, a istituzioni possibilmente diverse se nasce quello che è stato tante volte conclamato in questi ultimi anni: il sogno del politico A, il sogno del segretario politico B, il sogno del cardinale C, ecc., è che nasca una nuova generazione di uomini politici cattolici. Ma una nuova generazione non si può mica fare con l’inseminazione, che tra l’altro è vietata dalla Chiesa. Una nuova generazione di uomini politici cattolici si fa se riprendendo sostanza, il popolo cattolico italiano mette a tema la cultura e l’educazione come tema fondamentale.

* Vescovo di San Marino-Montefeltro