Ztl nel cuore di Milano, l'ecologismo strangola l'economia
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L'ossessione green chiude il Quadrilatero della Moda. I non residenti, compresi corrieri, fornitori e giornalisti in caso di eventi o per il normale lavoro quotidiano dovranno affrontare prima un labirinto burocratico che, insieme ai veicoli, bloccherà pure la "locomotiva d'Italia".

Milano, capitale economica d’Italia, sta vivendo l’ennesima stretta alla mobilità urbana in nome di un ecologismo becero e ideologico. Da oggi, infatti, scattano le multe per chi accede senza autorizzazione alla Ztl del Quadrilatero della moda, dove sono entrate ufficialmente in funzione le telecamere ai varchi di ingresso. Un’area strategica per l’economia milanese e nazionale, simbolo dell’eccellenza italiana nel mondo, viene blindata in modo sempre più soffocante con regole che, pur mascherandosi da interventi per la qualità dell’aria, rischiano invece di infliggere un colpo mortale alle attività commerciali e alla competitività cittadina.
La Ztl Quadrilatero comprende le vie Manzoni, Senato, San Damiano, corso Monforte, via Cino del Duca e l’area pedonale di corso Vittorio Emanuele, ed è attiva 24 ore su 24. I residenti, se registrati, possono accedere liberamente, ma per tutti gli altri le regole sono complesse, articolate e in molti casi scoraggianti. Ogni ingresso dev’essere registrato, spesso entro orari precisi o per categorie ben definite. Gli accompagnatori dei residenti, ad esempio, possono entrare solo una volta al giorno e previa registrazione puntuale. Anche i fornitori, gli artigiani, i servizi di consegna, i corrieri espressi, i veicoli per eventi o per giornalisti devono destreggiarsi tra fasce orarie ristrette e autorizzazioni da ottenere a ogni ingresso, in un vero e proprio labirinto burocratico che rappresenta un onere aggiuntivo per chiunque voglia lavorare o semplicemente offrire un servizio nel cuore pulsante della città. Sono previste deroghe solo per poche categorie, come i veicoli per il trasporto di prodotti freschi o quelli isotermici per i deperibili, ma sempre con orari spezzati e poco compatibili con i ritmi di lavoro di molte imprese.
I commercianti sono sul piede di guerra. «Abbiamo registrato un calo del traffico del 20% e una riduzione dei fatturati fino al 60%», denuncia Guglielmo Miani, presidente del Monte Napoleone District, chiedendo al Comune di rivedere urgentemente le misure. La protesta monta anche tra le associazioni di categoria, che parlano di «agonia annunciata« per le attività del centro, già stremate da mesi di cantieri, inflazione, concorrenza online e adesso anche ostacoli fisici all’accesso dei clienti. I segnali sono chiari: meno auto, meno movimento, meno vendite.
La Ztl, voluta dall’amministrazione guidata da Beppe Sala, è l’ultimo tassello di una visione di città che punta a un modello di sostenibilità ambientale astratto e irrealistico, che non tiene conto delle esigenze reali del tessuto economico. Il provvedimento, infatti, arriva in una fase già estremamente delicata per la città. Milano è oggi un cantiere a cielo aperto, con decine di lavori in corso che paralizzano la viabilità, rallentano i tempi di spostamento, riducono la produttività di interi settori e aumentano l’inquinamento, anziché diminuirlo. Il traffico congestionato obbliga veicoli commerciali e privati a code interminabili, con ricadute ambientali paradossali rispetto agli obiettivi dichiarati. Si dice di voler ridurre lo smog, ma si ottiene l’effetto opposto: auto ferme più a lungo, tempi di percorrenza più elevati, emissioni moltiplicate.
Il centrodestra ha bocciato senza mezzi termini la misura: la Lega parla di «ennesima misura punitiva della sinistra», mentre Fratelli d’Italia denuncia «un regalo ai ricchi che nulla ha a che vedere con la tutela dell’ambiente». Forza Italia, più pragmatica, chiede la semplificazione immediata delle procedure d’accesso per evitare il collasso delle attività. Tutti, trasversalmente, concordano sul fatto che non si possa governare una metropoli complessa come Milano con la logica binaria del “meno auto è sempre meglio”. Servono soluzioni intelligenti, flessibili, che coniughino tutela ambientale e sviluppo economico. Invece si continua a privilegiare la soluzione delle restrizioni dall’alto, senza ascoltare i territori, le imprese, i cittadini. Si dice di voler favorire la mobilità dolce, ma si ostacola chi lavora, chi produce, chi tiene viva una città da cui passa una fetta enorme del PIL nazionale.
Milano è la locomotiva d’Italia, non un parco giochi sperimentale per visioni ideologiche calate dall’alto. Invece di facilitare la vita a chi investe, si pongono nuovi ostacoli. Il risultato? Il centro si svuota, i clienti scappano, i commercianti chiudono. E intanto aumentano le vetrine sfitte, le saracinesche abbassate, il degrado urbano. Si vuole davvero questo per la città che rappresenta l’Italia nel mondo della moda, del design, della finanza? Davvero si pensa che il progresso coincida con la desertificazione commerciale? È una visione miope e pericolosa.
È evidente che le politiche ambientali siano necessarie, ma non devono trasformarsi in una trappola per chi lavora. Non si può pensare di salvare l’ambiente distruggendo l’economia. Milano ha bisogno di mobilità efficiente, di accessi fluidi, di soluzioni tecnologiche intelligenti, non di barriere che penalizzano il commercio e la logistica. Chi vive davvero la città sa che la congestione è causata da una pianificazione urbana sbagliata, che privilegia i cantieri infiniti, le piste ciclabili improvvisate, le zone pedonali mal progettate, senza una visione organica. Milano non può permettersi di perdere il suo ruolo centrale nel sistema economico italiano per inseguire modelli utopistici, spesso copiati da realtà nordiche profondamente diverse per cultura, dimensioni e infrastrutture. Servirebbero invece pragmatismo, concertazione con le categorie, incentivi per la transizione ecologica reale (non punitiva), e soprattutto una mobilità pubblica all’altezza, che oggi – tra disservizi, sovraffollamento e ritardi – non è in grado di rappresentare una vera alternativa all’auto privata.
La politica deve tornare ad ascoltare chi produce valore. Altrimenti il rischio concreto è quello di trasformare Milano da capitale del lavoro e dell’innovazione in una vetrina vuota e silenziosa, ma senz’anima. Una città “musealizzata”, dove i turisti passeggiano tra boutique sempre più inaccessibili e cittadini sempre più lontani dal centro. Un luogo dove si parla di ambiente ma si dimenticano le persone. E questa, per una città che è sempre stata laboratorio di modernità e crescita, è la più grande contraddizione.
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