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ISLAM

Viterbo nel mirino dei turchi. L'ombra del jihad sulla festa di Santa Rosa

Il 3 settembre, un attentato terroristico che avrebbe potuto trasformare in tragedia una delle giornate più sacre e identitarie per la città e per l’Italia centrale, il giorno del rito del Trasporto della Macchina di Santa Rosa. Due turchi arrestati, con armi ed esplosivi. La celebrazione si è svolta ugualmente, ma sotto forte protezione delle forze dell'ordine. Viterbo non è nuova a infiltrazioni della mafia turca, spesso intrecciata con i jihadisti.

Attualità 05_09_2025
Arresti dei sospetti (La Presse)

È stato sventato a Viterbo, nel pomeriggio del 3 settembre, un attentato terroristico che avrebbe potuto trasformare in tragedia una delle giornate più sacre e identitarie per la città e per l’Italia centrale. Due cittadini turchi sono stati arrestati mentre preparavano un assalto durante la processione di Santa Rosa, cuore pulsante della tradizione cattolica viterbese.

Il 3 settembre non è infatti una data qualsiasi: è il giorno del rito del Trasporto della Macchina di Santa Rosa, una torre luminosa che, da oltre 750 anni, viene portata a spalla dai facchini attraverso le strade della città. Un rito che unisce fede e tradizione e che rappresenta non solo Viterbo, ma un patrimonio collettivo dell’Italia centrale. È il momento in cui tutto si ferma: vicini e lontani dalla cattolicità, partecipano alla celebrazione di una giovanissima che sconvolse la sua comunità al punto da diventarne patrona. Santa Rosa aveva soltanto 18 anni quando morì, ma la sua vicenda continua a sfidare la logica scientifica. Colpita dalla sindrome di Cantrell – una rarissima e gravissima malformazione toracico-addominale che di norma lascia in vita i neonati solo per pochi mesi – riuscì a vivere quasi due decenni. Un prodigio che già allora colpì profondamente la città.

E poi c’è il cuore. Conservato intatto da sette secoli, è oggi il più antico reperto anatomico conosciuto con una cardiopatia congenita. Un unicum assoluto, tanto da guadagnarsi recentemente la pubblicazione su una delle due riviste medico-scientifiche più autorevoli al mondo: The Lancet.

Un intreccio straordinario di fede, storia, medicina e identità collettiva, che rende ancora più drammatica la minaccia sventata. Talmente radicata nella memoria collettiva da essere nota persino ai due cittadini turchi – 31 e 21 anni – arrestati nel pomeriggio di mercoledì in una operazione impeccabile delle forze dell’ordine italiane. Colpire la festa di Santa Rosa avrebbe significato firmare un attentato in uno degli eventi religiosi e popolari più importanti di tutto il centro Italia. 

A pochi metri dal percorso della processione, nascosto dietro le mura apparentemente innocue di un bed & breakfast, un commando si preparava ad agire. Tre uomini armati. Sul tavolo e sotto i letti, un arsenale inquietante: mitra, pistole, caricatori colmi, munizioni, e – secondo le prime indiscrezioni – persino componenti per ordigni. Tutto ricondurrebbe a una rete criminale ben più vasta, legata al nome di Bariş Boyun, il boss turco da anni noto alle cronache della malavita internazionale.

L’irruzione degli investigatori ha fermato il tempo. Un blitz che ha evitato il peggio e impedito che la macchina luminosa di Santa Rosa, patrimonio di fede e cultura, venisse profanata. Silenziosi, impermeabili a ogni domanda, i due arrestati hanno scelto di non dire una parola. Nessuna collaborazione, nessuna spiegazione: solo un muro di silenzio che ha lasciato agli inquirenti il compito di ricostruire i tasselli.
La pista più accreditata parla di un piano audace, quasi cinematografico: colpire la festa di Santa Rosa per seminare panico, generare caos e sfruttare la confusione come copertura per un obiettivo ancora più clamoroso – l’evasione del boss, oggi rinchiuso in carcere. Per ora resta solo un’ipotesi ardita. C’è un dettaglio però che rende la vicenda ancora più inquietante. Al momento del fermo, insieme ai due turchi era presente anche una terza persona. Sarebbe riuscita a dileguarsi nell’istante dell’irruzione, ed è ora ricercata. Una fuga che apre nuovi interrogativi e getta ombre pesanti su una rete che appare ben più estesa di quanto si immaginasse.

Ogni anno sono circa 40mila le persone che affollano Viterbo per assistere alla processione di Santa Rosa:  il momento del Trasporto della Macchina di Santa Rosa. Un colosso alto 28 metri e pesante cinque tonnellate, ricoperto di simboli e statue che narrano la vita e il culto della patrona. Una torre luminosa che, sorretta dagli oltre cento ‘Facchini di Santa Rosa’, domina i tetti della città e avanza tra le strade in un silenzio solenne, quando tutte le luci si spengono e resta soltanto la fiamma della fede. Proprio come faceva santa Rosa. Ma quest’anno qualcosa ha incrinato il rito. Quando le autorità hanno deciso di non spegnere del tutto le luci cittadine, il segnale è stato chiaro: c’era tensione, c’era timore. E dietro l’apparente normalità, Viterbo si è trasformata in una fortezza. A vegliare sulle strade non c’erano soltanto i facchini. C’erano i Nocs, cecchini appostati sui tetti, unità cinofile antisabotaggio: il centro storico, per una notte, è diventato una roccaforte assediata dal sospetto invisibile di un attentato.

Ed è sembrato la metafora perfetta della vita di quella ragazzina che, con un crocifisso tra le mani, consumava le strade di Viterbo per fare apostolato. Santa Rosa sfidò ogni certezza, non solo quelle medico-scientifiche – allora come oggi – ma anche quelle politiche. Quando la città si trovò stretta nella contesa tra papa Innocenzo IV e l’imperatore Federico II, lei prese posizione senza esitazioni: con il pontefice, invitando i suoi concittadini a fare lo stesso. Pagò la scelta con l’esilio, ma non smise mai di sfidare tutto e tutti. Quest’anno, persino il terrorismo.

Alla processione erano presenti figure istituzionali di primo piano. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani, poi spostato lontano dal cuore della celebrazione per ridurre al minimo i rischi. Antonella Sberna, vicepresidente del Parlamento europeo, un deputato e persino una delegazione arrivata dal Messico, dal Comune di Santiago de Querétaro, dove la devozione a santa Rosa è profondissima. Tra gli ospiti annunciati figurava anche l’ambasciatore israeliano. Ma la sua presenza, ritenuta troppo delicata in un contesto già attraversato da tensioni, è stata alla fine sconsigliata. Una decisione che ha aggiunto ulteriore gravità al clima della serata. 

Per Viterbo, la “mafia turca” non è una novità. Nel maggio 2024 la città aveva già vissuto l’arresto clamoroso di Bariş Boyun, superlatitante e capo di uno dei clan più potenti della Turchia, attivo tra droga, armi ed estorsioni. Pochi mesi dopo, un suo emissario era finito in manette per riciclaggio. Ma la scia di Boyun in Italia affondava le radici più indietro: già nel 2022 era stato catturato a Rimini con accuse pesantissime, dal traffico internazionale di armi ed esplosivi all’associazione con finalità terroristiche. Un boss capace di muovere miliardi, di intrecciare alleanze e di infiltrarsi con facilità nel cuore d’Europa fino a Viterbo.

Ad aprile, raid coordinati tra Turchia e diversi Paesi europei ha portato a 234 arresti per traffico di droga e riciclaggio di denaro, oltre al sequestro di 21 tonnellate di stupefacenti. Come ricorda l’esperienza francese, il traffico di droga è spesso il primo foraggiatore del terrorismo islamico. Il quadro si complica se si guarda al ruolo della Turchia negli ultimi anni come hub di passaggio per i foreign fighters diretti in Siria e in Iraq. In quel contesto, reti criminali turche hanno potuto agevolare movimenti, coperture logistiche e la produzione di documenti falsi. Un allarme confermato a livello internazionale. L’Interpol ha evidenziato come il traffico di eroina gestito da mafie turche possa alimentare indirettamente le casse jihadiste, seguendo schemi già osservati in altre aree del mondo. I rapporti Europol TE-SAT 2024/2025 e i moduli UNODC documentano nei dettagli come i gruppi terroristici facciano ricorso a contraffazione documentale, riciclaggio e reti criminali per finanziare attività e logistica.
Gli Stati Uniti e Ankara hanno già colpito con sanzioni nodi chiave di questo sistema:  reti in Turchia che trasferivano denaro all’ISIS attraverso sistemi di hawala - il metodo di trasferito islamico di denaro.  

Un mosaico di indizi rivela reti criminali-finanziarie radicate in Turchia, al servizio di gruppi jihadisti e capaci di proiettarsi fino all’Italia. Il 3 settembre 2025 segna una data spartiacque: per la prima volta un attentato terroristico ha colpito direttamente un evento religioso nel nostro Paese. Una ferita che apre il tema cruciale dell’equilibrio tra antiterrorismo e libertà religiosa, da tempo noto alla Francia ma finora ignorato dall’Italia. Ma è anche il giorno in cui Viterbo ha resistito, forse con la mano di santa Rosa.