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DOPO EBOLA

Virus ed epidemie Quando l'Africa farà da sola?

Il 17 novembre l’ultimo malato di Ebola è stato dimesso in Guinea Conakry. L’Oms decreterà la fine dell’epidemia anche in Guinea come già in Liberia e in Sierra Leone. Mentre una crisi sembra dunque prossima alla fine, un’altra però è già iniziata. Si tratta dell’epidemia di colera scoppiata in Africa orientale e Medio Oriente. L'’ultima grave epidemia di colera, nel 1997-1998, ha registrato 200.000 casi e circa 8.000 morti.

Esteri 20_11_2015
Ebola sconfitta in Sierra Leone

Il 17 novembre l’ultimo malato di Ebola è stato dimesso in Guinea Conakry. Se trascorreranno 42 giorni senza neanche un nuovo caso, allora l’Oms decreterà la fine dell’epidemia anche in Guinea come già in Liberia e in Sierra Leone, gli altri due Stati dell’Africa occidentale colpiti quasi due anni fa dalla peggiore delle epidemie di Ebola da quando la malattia è stata scoperta nel 1976. L’ultimo bollettino diramato il 1° novembre dall’Oms riporta 11.314 vittime. 

Mentre una crisi sembra dunque prossima alla fine, un’altra però è già iniziata. Si tratta dell’epidemia di colera scoppiata in Africa orientale e Medio Oriente. Per ora si contano circa 11.000 casi e meno di 200 decessi. Ma in quelle stesse regioni l’ultima grave epidemia, nel 1997-1998, ha registrato 200.000 casi e circa 8.000 morti. Quella in corso potrebbe rivelarsi ancora peggiore non fosse che per l’estensione di territorio ben più vasta interessata. Inoltre, già adesso si teme un numero molto superiore di casi perché molti non vengono individuati dai sistemi sanitari per carenza di mezzi, per l’insicurezza che regna in certe regioni e per i conflitti in corso in altre.   

Il colera si propaga attraverso acque e persone infette. Per capire la gravità dell’emergenza incombente basti dire che tra le acque contaminate dal vibrione del colera risulta esserci l’Eufrate, il fiume che nasce in Turchia e sfocia dopo quasi 2.800 chilometri nel Golfo Persico; e si sospetta che lo sia anche il Tigri. Un secondo motivo di preoccupazione è la straordinaria concentrazione di profughi e sfollati poiché nei campi  profughi il rischio di epidemie è sempre presente ed elevato. Medio Oriente e Africa orientale ne ospitano attualmente oltre 25 milioni, il 55% dei profughi e il 50% degli sfollati del mondo.

Da soli, quelli iracheni, siriani e curdi sono più di dieci milioni. A fine ottobre l’epidemia in Medio Oriente si era già estesa a Iraq, Bahrain, Kuwait, Iran, territori Kurdi e Isis, con almeno un caso sospetto ad Aleppo, in Siria, dove potrebbero aver contratto la malattia una parte degli oltre 100.000 bambini affetti da dissenteria acuta. In Africa orientale risultava presente in Tanzania, Uganda, Kenya e Sud Sudan. Inoltre dei casi erano stati individuati nella Repubblica Democratica del Congo, nella regione dei Grandi Laghi. 

Questa ennesima crisi sanitaria coinvolge l’Europa in modo particolare per due motivi. Innanzi tutto per il rischio di contagio a causa delle centinaia di migliaia di persone provenienti dal Medio Oriente e dall’Africa orientale in viaggio verso il Continente. Inoltre, con gli altri Stati a reddito e livello di sviluppo molto elevati, i paesi dell’Unione Europea sono chiamati a far fronte alla nuova emergenza con aiuti finanziari e assistenza. Come nel caso di Ebola, infatti, per varie ragioni gli Stati colpiti non sono in grado di provvedere con i propri mezzi: non dispongono né di sistemi sanitari adeguati né di risorse finanziarie sufficienti, senza contare che alcuni, come la Siria e l’Iraq, sono in guerra. Il Tanzania, ad esempio, benché stabile e sostanzialmente in pace da oltre mezzo secolo, tuttavia dispone soltanto di tre medici e 70 posti letto ogni 100.000 abitanti, l’Uganda ha 12 medici e 50 posti letto; per altri paesi, neanche si hanno dati e statistiche. 

Anche la Sierra Leone ha solo due medici e 40 posti letto per 100.000 abitanti. Il suo presidente, Ernest Bai Koroma, in un discorso alla nazione pronunciato il giorno della dichiarazione ufficiale della fine dell’epidemia, è tornato a rimproverare l’Oms per il ritardo con cui si è attivata per combattere Ebola. I ritardi, in effetti, ci sono stati, la stessa Oms lo ha ammesso e se ne è scusata. Ma resta il fatto che, senza interventi esterni, per quanto tardivi, senza l’Oms e altre agenzie Onu e senza le ong come Medici senza frontiere, la Sierra Leone sarebbe ancora in balia di Ebola, piangerebbe ben più delle attuali 3.955 vittime, l’epidemia si sarebbe estesa al resto dell’Africa e ad altri continenti scatenando crisi economiche e sociali irrimediabili. 

Il presidente Koroma e gli altri leader dei Paesi sottosviluppati, in particolare i ricchi presidenti dei Paesi poveri, non dovrebbero dimenticare i risultati conseguiti grazie all’impegno della comunità internazionale nella lotta contro le malattie infettive che dilagano nei loro paesi. La quasi totalità dei malati di Aids, malaria e tubercolosi, le tre malattie infettive che mietono più vittime nel mondo, vivono in Asia e Africa, in Paesi a basso sviluppo. I progressi realizzati negli ultimi 15 anni nel combatterle – più che dimezzati i morti di malaria, ad esempio – si devono in gran parte ai fondi e alle risorse messi a disposizione dalla cooperazione internazionale. Ancora più straordinario è il successo nella lotta alla poliomielite dovuto a un impegno internazionale formidabile: centinaia di milioni di bambini vaccinati. Mentre nel 1988, quando la campagna contro la polio è iniziata, la malattia era presente in oltre 125 Stati – solo in Europa, Usa e Australia era stata debellata – oggi è endemica soltanto in due stati, l’Afghanistan e il Pakistan. 

Un altro successo clamoroso è stata la campagna di vaccinazione contro la meningite A: più di 220 milioni di persone sono state immunizzate in 16 Paesi dell’Africa subsahariana, quelli della cosiddetta “fascia della meningite” che va dal Gambia all’Etiopia. Il risultato è che dai 25.000 morti e oltre 250.000 casi del 1997 si è scesi a quattro casi soltanto nel 2013. Il fattore critico è quanto sia sostenibile uno sviluppo in gran parte, o addirittura del tutto, dovuto a interventi esterni, a risorse fornite dalla parte del mondo che ne dispone in abbondanza: in altre parole, se si possano considerare definitivi i traguardi raggiunti nella lotta alla povertà, alla fame, alle malattie grazie alla cooperazione internazionale. 

L’Oms avverte che nessuna malattia infettiva è stata del tutto sradicata, che le grandi epidemie potranno ripetersi se non verranno avviati nuovi programmi di prevenzione e cura. Per quanto ancora la comunità internazionale potrà e vorrà farsene carico?