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la replica

Viganò e don Pompei, senza gerarchia non c'è Chiesa visibile

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L'ex nunzio difende il sacerdote di Sermoneta: giusta disobbedienza a un superiore illegittimo. Ma il nodo della questione, prima che l'obbedienza, è l'autorità. Disconoscendo i legittimi pastori si toccano i fondamenti stessi della Chiesa: visibilità e apostolicità.

Editoriali 13_10_2025

La recente vicenda legata a don Leonardo Maria Pompei, ex parroco di S. Maria Assunta in Cielo in Sermoneta, attualmente sospeso a divinis dal suo vescovo, mons. Mariano Crociata, ha provocato numerosi commenti sul web. Com’era da prevedersi, dal momento che don Pompei è molto presente su internet e sui social media. La Nuova Bussola Quotidiana ha ospitato, tra gli altri, un articolo del prof. Daniele Trabucco, che ha poi replicato sul blog chiesaepostconcilio.

S. E. Mons. Carlo Maria Viganò ha inviato alla nostra redazione uno scritto di sei pagine dall’eloquente titolo Obœdientia obœdientibus (l’obbedienza si deve a chi obbedisce), che intende essere una precisazione al contenuto di fondo degli articoli in questione, contenuto che possiamo così riassumere: l’obbedienza ai legittimi superiori rimane virtù necessaria anche in tempi, come quelli attuali, in cui la Chiesa vive una crisi senza precedenti.

La lettera di mons. Viganò mette in risalto che l’obbedienza assoluta si deve solo a Dio, mentre alle diverse autorità umane è dovuta un’obbedienza «subordinata e condizionata alla sottomissione dell’autorità umana (e dell’ordine impartito) all’autorità di Dio» (frase in grassetto nella lettera). Il riferimento di questa affermazione sarebbe, nelle intenzioni di mons. Viganò che la riporta, la Summa Theologiæ, II-II, q. 104, a. 4. Don Pompei avrebbe dunque fatto bene a disobbedire al proprio vescovo in quanto egli, «superiore dottrinalmente deviato», gli avrebbe impartito un «ordine dottrinale» (e non meramente disciplinare) non conforme alla volontà di Dio.

Nel parallelo tra don Bosco e padre Pio da una parte e don Pompei dall’altra – parallelo intavolato dal prof. Trabucco, a cui Viganò intende rispondere – vi sarebbe una differenza essenziale, che permette di comprendere la legittimità del comportamento di don Pompei: «Perché il ragionamento del prof. Trabucco sia valido – spiega mons. Viganò – tanto padre Pio quanto don Pompei dovrebbero essersi trovati ad obbedire a dei superiori legittimi, ossia che esercitano la propria Autorità conformemente alla Legge di Dio, alla Verità rivelata, al Magistero immutabile della Chiesa». Va da sé, seguendo il filo logico dell’argomentazione, che l’autorità preposta a don Pompei sarebbe dunque illegittima, a differenza di quelle preposte a don Bosco o a padre Pio.

Tale illegittimità non riguarderebbe solo il vescovo di Latina, ma l’intera gerarchia della Chiesa cattolica, che ormai l’ex-Nunzio negli Stati Uniti denomina «gerarchia conciliare e sinodale», la quale «si è sottratta all’autorità di Dio e della Chiesa nel momento in cui, adulterando la fede, si è sinodalizzata». Poco oltre, Viganò spiega che, in realtà, «sono loro stessi ad affermare di essere la “nuova chiesa” rispetto a quella preconciliare»; per questa ragione, «obbedire a questi pastori significa rendersi loro complici, ed essere in comunione con loro esclude l’essere in comunione con la Chiesa cattolica apostolica romana».

Le affermazioni di Sua Eccellenza risultano tanto forti nei toni quanto confuse nei contenuti. Mi pare che la maggiore evidenza di tale confusione si ritrovi nell’errata ricostruzione del pensiero di san Tommaso. Si sarà notato che nella citazione verbatim sopra riportata, mons. Viganò afferma che l’obbedienza alle autorità umane dipende dalla sottomissione sia loro che dell’ordine impartito all’autorità di Dio. Eppure, san Tommaso, nell’art. 5, non afferma affatto ciò. Egli spiega come vi siano due motivi per cui «un suddito può non essere tenuto a obbedire in tutto al proprio superiore». Primo, che vi sia un’autorità superiore che comanda diversamente: «Se dunque l’imperatore comanda una cosa e Dio comanda il contrario, si deve obbedire a Dio senza badare all’imperatore». Secondo, che il superiore comandi relativamente a qualcosa a cui il suddito non è sottoposto, quando in pratica comanda oltre il suo ambito di competenza.

Come si può notare, san Tommaso ammette che vi possano essere degli ordini illegittimi ai quali si può (e talvolta si deve) resistere; ma il testo evocato non supporta affatto l’argomento di Viganò, che è invece ripetutamente orientato a definire la gerarchia cattolica illegittima. San Tommaso parla di ordini illegittimi, Viganò di autorità illegittima; la prospettiva è completamente diversa e profondamente differenti sono le conseguenze. Nel primo caso, è lecito non obbedire ad un ordine oggettivamente contrario alla legge di Dio (o altra legge superiore), oppure ad un ordine che non rientra nella competenza dell’autorità preposta; in nessun modo, però, si questiona la legittimità dell’autorità stessa. Nel secondo caso, che non trova appigli nel testo della Summa, è l’autorità stessa che viene ritenuta illegittima, di modo che qualsiasi ordine che da essa scaturisca risulta a sua volta illegittimo, o comunque non vincolante. Si passa così dalla possibilità di opporre un rifiuto all’esecuzione di alcuni (pochi o tanti) ordini che hanno delle caratteristiche precise, all’opposizione all’autorità in quanto tale, perché ritenuta illegittima.

Secondo mons. Viganò, la bontà del comportamento di don Pompei starebbe dunque nel fatto che ha disobbedito ad autorità a suo avviso illegittime. Una illegittimità che, per Viganò, è palese, dal momento che «papi, cardinali, vescovi e chierici aderiscono tutti, indistintamente, ad un altro Vangelo (Gal 1, 6-7), un’altra religione, un altro credo, un altro papato, un altro sacerdozio, un’altra messa, sostenendo di appartenere a un’altra chiesa, che chiamano conciliare e sinodale». Si tratta dunque dell’impossibilità di obbedire non ad un ordine contrario alla legge di Dio o alle leggi della Chiesa, ma «ad un’autorità usurpata, di cui si sono impadroniti degli eversori eretici e corrotti».

Che questa sia la prospettiva, ne è ulteriore conferma il fatto che né mons. Viganò, né don Pompei (a quanto ci risulta) abbiano fatto ricorso alle legittime autorità competenti contro le sanzioni ricevute, semplicemente perché, nella loro prospettiva, non esistono più autorità legittime nella Chiesa. Questa lettera conferma che avevamo visto giusto quando sottolineavamo che il nocciolo del problema del “caso don Pompei” non era legato alla disobbedienza all’ordine di sospendere le proprie attività sui social, ma al rifiuto di riconoscere la legittimità della gerarchia cattolica. E dunque sembra delinearsi a tutti gli effetti il delitto di scisma, delitto per cui lo stesso Viganò è già stato scomunicato.

La scelta di don Pompei e di mons. Viganò pertanto non riguarda propriamente il tema dell’obbedienza, quanto piuttosto quello ben più ampio e fondamentale dell’apostolicità della Chiesa cattolica e della sua visibilità. Come avremo modo di vedere in un prossimo articolo.