Utero in affitto, anche la Spagna pone un freno alla barbarie
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Il Parlamento spagnolo ha approvato una legge che vieta di riconoscere i certificati di nascita prodotti all’estero per i minori avuti tramite maternità surrogata. Una legge necessaria per contrastare una pratica immorale.

In Spagna, come in Italia, è vietata la pratica dell’utero in affitto. Ma, diversamente da noi, il Paese iberico non si è dotato di una legge per vietare ai propri cittadini questa pratica anche quando se ne fa ricorso all’estero. Dunque accadeva che molti cittadini spagnoli espatriassero in due e poi facessero ritorno in tre, con tanto di bebè al seguito ottenuto tramite la maternità surrogata. E così alcuni ufficiali di stato civile provvedevano a riconoscere il minore come figlio della coppia che faceva ritorno in patria.
A questo turismo procreativo la Corte Suprema, il 4 dicembre 2024, aveva dato una prima picconata, definendo il contratto per maternità surrogata concluso all’estero come «contrario all'ordine pubblico, degradante sia per la donna incinta che per il minore e lesivo dei principi fondamentali del nostro ordinamento giuridico».
Una seconda picconata, ben più letale, è arrivata da una legge del Parlamento spagnolo pubblicata sulla Gazzetta ufficiale il 2 maggio scorso, che vieta di validare le sentenze straniere che riconoscono lo status di figlio al minore avuto tramite maternità surrogata e vieta di riconoscere i certificati di nascita prodotti all’estero per questi minori. Dal 2 maggio, quindi, tutte le richieste di riconoscimento sono annullate e nessun consolato o ufficio dell’anagrafe potrà più riconoscere come figlio un bambino nato da utero in affitto. La legge permette, giustamente, solo «l'accertamento biologico rispetto a uno dei genitori o l'adozione, quando si provi l'esistenza di un nucleo familiare con sufficienti garanzie».
Ricordiamo in sintesi i motivi di ordine morale per censurare la pratica dell’utero in affitto. In primo luogo non si dà maternità surrogata senza fecondazione artificiale, pratica, quest’ultima, che reifica il nascituro e lo espone ad un rischio elevatissimo di morte e, se sopravvive, di essere affetto una volta nato da patologie significative. Il nascituro non solo è cosificato perché concepito in provetta, ma è cosificato una seconda volta perché la sua gestazione avviene per venderlo ad una coppia richiedente. Anche nel caso, più teorico che pratico, che la gestazione fosse gratuita, il bambino sarebbe sempre trattato come un pacco, non acquistato, ma donato. I bambini non si vendono, né si regalano.
In terzo luogo la maternità surrogata crea volutamente dei nuovi orfani. L’adozione tampona un danno – un bambino che è senza i propri genitori naturali –, l’utero in affitto crea il danno, perché in modo preordinato toglie il bambino ai genitori biologici o, se va bene, almeno ad uno di essi. Il bambino, crescendo e venendo a conoscenza di come è stato concepito e di come è stato venduto a terzi, verrà esposto ad alti rischi di danni psicologici.
In quarto luogo le donne vengono degradate ad incubatrici di carne che sfornano bambini per venderli alle coppie, anche omosessuali. Quindi, oltre alla reificazione dei bambini, la maternità surrogata reifica anche la donna. Reificazione che permane anche nel caso in cui la maternità fosse a titolo gratuito – ipotesi, ripetiamo, più astratta che reale – perché la stessa si presta ad essere usata per scopi iniqui. In più la donna, oltre ad essere ridotta ad un oggetto, ad una macchina procreatrice, spesso viene sfruttata perché è costretta nella maggior parte dei casi ad affittare per soldi il proprio utero a motivo dello stato di indigenza in cui versa. Una sorta di prostituzione procreativa. Infine la pratica dell’utero in affitto incoraggia la diffusione dell’omogenitorialità perché molte coppie gay maschili fanno ricorso ad essa pur di avere un bambino.
Dunque, per tutte queste ragioni, bene ha fatto la Spagna a vietare il riconoscimento in patria dei minori avuti tramite maternità surrogata avvenuta all’estero.