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CAMPAGNA MEDIATICA

Tutti i Vip scendono in campo per il referendum

E’ un costume tipicamente italiano quello di subordinare le scelte elettorali al punto di vista di soggetti in prima linea, che spesso però non hanno alcun titolo per pontificare su temi assai tecnici come quelli messi in votazione il 4 dicembre. Da Benigni alla Mannoia, tutti a dire la loro sulla riforma costituzionale.

Politica 27_11_2016
Roberto Benigni

Non ci sono solo le elite internazionali, i cosiddetti poteri forti e i giornali di mezzo mondo a voler dire la loro sui presunti effetti apocalittici dell’eventuale vittoria del “no” o a caldeggiare il “si” o il “no” al referendum italiano di domenica prossima. Interi spezzoni di mondi apparentemente assai distanti dalla politica, dal cinema al teatro, dalla musica al calcio e agli sport in generale, si affrettano a fare endorsement non richiesti e a tentare di convincere l’opinione pubblica orientandola in una direzione anziché in quella opposta.

Non ci sarebbe nulla di male se questi “tuttologi” si informassero prima di parlare, se argomentassero le loro opinioni in maniera matura e dettagliata, se fossero pronti a un contraddittorio sui contenuti. La loro propensione, invece, è quella allo spot fine a se stesso, probabilmente per ingraziarsi il premier o, sull’altro versante, per crearsi un credito da esigere nell’eventuale era post-Renzi. 

Da una parte, solo per fare alcuni nomi, Roberto Benigni, Flavio Briatore, Oliviero Toscani, Massimo Bottura, Carlo Cracco, Arrigo Sacchi, saldamente schierati per il “si”; dall’altra, Fiorella Mannoia, Sabrina Ferilli, Alba Parietti, Sabina Guzzanti, Paolo Rossi, Maurizio Crozza, Anna Oxa, Fedez, Moni Ovadia, tenacemente impegnati a difendere le ragioni del “no”. Alcuni sono addirittura schierati in prima linea, come Roberto Bolle, tra i firmatari di un appello in favore del “si”, promosso da attori e artisti. 

E’ un costume tipicamente italiano quello di subordinare le scelte elettorali al punto di vista di soggetti in prima linea, che spesso però non hanno alcun titolo per pontificare su temi assai tecnici come quelli messi in votazione il 4 dicembre. Siamo sicuri che tutti i personaggi citati siano davvero informati sulla posta in gioco, siano consapevoli degli effetti che la riforma Boschi produrrebbe sull’equilibrio dei poteri e sulla vita delle istituzioni e dei cittadini? 

La nostra impressione è che la personalizzazione del voto referendario, caldeggiata a fasi alterne da Renzi, abbia contagiato tutti questi opinion leader o aspiranti tali, che ormai ne fanno una questione di fedeltà o meno all’attuale inquilino di Palazzo Chigi. Chi gli è ostile, senza aver letto una riga degli articoli della Costituzione riformati, non vede l’ora di mandarlo a casa ed è pronto a votare “no” per defenestrarlo o comunque indebolirlo. Tra di essi c’è anche una porzione cospicua di magistratura, da tempo insofferente all’ex sindaco di Firenze e smaniosa di vendicarsi con lui per alcune prese di posizione assunte in passato nei confronti di alcune toghe. Chi, invece, simpatizza per lui, asseconda questo suo slancio riformatore a prescindere dalle direzioni verso le quali esso tende e, pur non avendo in alcun modo approfondito le novità che scaturirebbero dalla vittoria del “si”, si dice pronto ad accettare le indicazioni del governo, pur di dare una scossa al Paese. "Meglio una qualsiasi riforma – dicono spesso questi Vip di altri settori della vita pubblica - che nessuna riforma".

Il pressappochismo, quindi, regna sovrano. Le opinioni in libertà, sganciate da qualsiasi ponderazione delle decisioni, rischiano di produrre effetti devastanti quasi quanto le bufale che circolano sui social e che spesso sfuggono ai filtri di attendibilità predisposti da utenti e gestori dei servizi.

Certo è che la tendenza a sopravvalutare le dichiarazioni solenni di tutti i personaggi inclini a fare coming out la dice lunga sulla crisi di legittimità della politica, che ha sempre bisogno di queste sponde per accreditarsi presso l’opinione pubblica e non risultare indigesta e impopolare.

D’altra parte un indizio davvero lampante della fragilità reputazionale della politica lo ricavammo plasticamente anche il mese scorso, in occasione della visita di Renzi a Obama, per l’ultima cena che quest’ultimo ospitò con un capo di governo alla Casa Bianca. In quell’occasione il premier italiano invitò con sé Roberto Benigni, guarda caso passato da un punto di vista scettico sul quesito referendario a un chiaro orientamento favorevole al sì, Raffaele Cantone, simbolo della legalità, quasi che la politica abbia sempre bisogno di referenze e patenti morali dalla magistratura, e altri personaggi della cultura, dello sport e dello spettacolo.

L’autonomia della politica, che un tempo era indice di nobiltà, oggi è percepita come elemento di debolezza. Le altre professioni sono chiamate a ridare dignità alla politica, avallandone le scelte e legittimandone la funzione. Sarà anche stata colpa della corruzione e dei governi tecnici degli ultimi anni, che l’hanno indebolita e ulteriormente screditata, ma rimane il fatto che la politica ci ha messo molto del suo, mostrando in prevalenza il volto arrogante del potere e un’immagine autoreferenziale sempre più sgradita agli italiani e in particolare alle nuove generazioni.