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SCONTRO ITALIA EGITTO

Tutte le domande irrisolte del caso Regeni

Difficile non notare come il caso Regeni abbia diffuso bel mondo la convinzione che l’Italia e la sua politica estera siano inconsistenti. Addebitare le responsabilità solo all’Egitto fa parte delle strumentalizzazioni. Perché Roma non ha preteso spiegazioni da Cambridge? E perchè nessuno ha fatto caso che quella di “ricercatore” è tra le coperture più diffuse per l’intelligence?

Editoriali 18_08_2017
Giulio Regeni

Difficile non notare come il caso Regeni abbia diffuso bel mondo la convinzione che l’Italia e la sua politica estera siano inconsistenti e facilmente pilotabili.

La morte del giovane ricercatore italiano resta un mistero ma addebitare le responsabilità solo all’Egitto del presidente Abdel Fatah al-Sisi fa parte delle strumentalizzazioni politiche che spesso hanno accompagnato l’uccisione di italiani all’estero, siano essi giornalisti, ricercatori o altro.

Cominciamo dalla fine, cioè dallo “scoop“ del New York Times. Un articolo “freddo”, tenuto nel cassetto chissà da quanto tempo e pronto per essere pubblicato al momento opportuno. E cioè, guarda caso, il giorno in cui l’Italia manda, dopo un anno, di nuovo un ambasciatore al Cairo in seguito all’invio di altri documenti sul caso da parte della magistratura egiziana.

Chiudere le relazioni diplomatiche con l’Egitto non ci ha dato la verità su Regeni ma ha svantaggiato l’Italia su tutti i fronti in cui i rapporti con al-Sisi hanno un valore strategico, dall’energia alla crisi libica. Meglio non dimenticare che l’Eni ha scoperto al largo di Alessandria un gigantesco giacimento di gas. Non a caso i nostri “alleati/competitor” europei hanno approfittato della crisi con l’Egitto per accaparrarsi un po’ di contratti. Incluso il settore delle armi per le forze egiziane dove l’Italia sembrava in pole position dopo gli incontri tra Renzi e al-Sisi, prima dell’omicidio Regeni e invece il business è andato a francesi e russi.

Vale la pena ricordare che anche cittadini di altri paesi europei sono tragicamente scomparsi in Egitto, il caso più importante è forse quello del francese Eric Lang morto all’interno di un commissariato di polizia egiziano. Parigi ha più volte protestato e chiesto giustizia ma senza mai interrompere i contatti col Cairo che dalla Francia ha comprato negli ultimi anni (solo nel settore militare) navi da guerra e cacciabombardieri per 6 miliardi di euro.

Non si tratta di accettare violenze, soprusi e omicidi di connazionali in cambio di affari ma di affrontare la questione con pragmatismo e sono in molti a non voler il ritorno di ottimi rapporti tra Roma e Il Cairo, specie a Parigi dive l’intesa con al-Sisi e il generale libico Khalifa Haftar punta a scalzare l’Italia dalla sa ex colonia.

Torniamo al NYT, ormai ridottosi a giornale militante nella “terza guerra civile” contro Donald Trump. Ci informa che l’Amministrazione Obama ci aveva fornito tutte le informazioni sugli alti vertici egiziani responsabili dell’omicidio. Roma nega ma la notizia va presa con le molle. L’Amministrazione Obama ha avuto ampie responsabilità nello scatenarsi della primavera arabe e ha sempre sostenuto la Fratellanza Musulmana, movimento cui appartenevano alcuni consiglieri di Obama.

Oggi che Trump si sta avvicinando ad al-Sisi il giornale “militante” NYT ha tutto l’interesse a celebrare le scelte di Obama per attaccare l’attuale amministrazione.

Le sue rivelazioni non dicono molto di nuovo ma alcune cose sono di innegabile interesse. Ci dicono che anche i servizi segreti USA tenevano d’occhio Regeni, un po’ troppo “attenzionato” da tanti servizi di sicurezza e intelligence per essere un semplice ricercatore e un po’ troppo assiduo frequentatore degli ambienti dell’opposizione per apparire solo come uno studente.

Perché Roma non ha preteso spiegazioni dal Centro di ricerche dell’università di Cambridge che lo aveva invitato al Cairo o dal governo britannico? Tra l’altro nessuno ha notato che il docente di riferimento di Regeni, la professoressa Maha Abdelrahman, è un’egiziana con passaporto britannico schierata con la Fratellanza musulmana, ostile ad al-Sisi e pur sempre n movimento jihadista che si pone come obiettivo l’imposizione della Sharia (quello che cercava di fare il presidente Mohammed Morsi prima di essere deposto da rivolte popolari e dall’intervento militare).

Nessuno ha fatto caso che, come ha notato anche il generale Maro Mori già capo dell’intelligence interna italiana (SISDE oggi AISI), quella di “ricercatore” è tra le coperture più diffuse per l’intelligence e che i servizi segreti britannici (MI6) utilizzano i centri di ricerca universitari come paravento per la raccolta di informazioni?

Il generale Mori disse nel gennaio scorso a Radio 24, come ha ricordato ieri Sussidiario.net, che Regeni “era inconsapevole, ma chi lo ha mandato nella bocca del leone, la professoressa, non poteva non saperlo. E' stato venduto ed è stato fatto ritrovare per una lotta di fazioni all'interno del governo egiziano".

Tenuto conto che anche se l’attività di Regeni fosse stata considerata pericolosa dagli egiziani sarebbe bastata una telefonata alla nostra ambasciata al Cairo per farlo rimpatriare (senza bisogno di ucciderlo) resta un’ultima domanda.

In un paese come l’Egitto dove la tortura è legale e centinaia di oppositori scompaiono nel nulla chi aveva interesse a far ritrovare il corpo di Regeni con addosso i segni inequivocabili della tortura nella rotonda più trafficata del Cairo?

Solo chi avesse voluto creare un muro nei rapporti tra Italia ed Egitto.