Transizione energetica, l'Ue si è ficcata in un vicolo cieco
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Troppo concentrati sulla battaglia ideologica del cambiamento climatico e sull'obiettivo, irrealistico, della decarbonizzazione. Così l'Ue ha perso la battaglia della transizione energetica dai fossili alle rinnovabili.
Quando un problema non trova soluzione di solito ci sono due possibili motivi:
- o il problema è stato posto male
- o le soluzioni proposte sono irrealistiche
Per la questione climatica affrontata dall’Ue coi target 2020, che dopo vari aggiornamenti hanno portato al Green Deal, purtroppo sono valide entrambe le opzioni.
Il problema è posto male: la transizione energetica è una necessità e non una scelta, ma caricarla di un’urgenza non supportata da evidenze scientifiche rende la transizione ecologica un castello di carte fondato su assunzioni errate destinato a non avere soluzioni e prima o poi a crollare.
Le soluzioni sono irrealistiche: la decarbonizzazione deve confrontarsi con limiti fisici, economici, sociali - di tempo, di spazio, di costi, di accettabilità e sostenibilità sociale - con cui alcuni obiettivi del Green Deal si dimostrano fortemente disallineati.
Secondo la transizione energetica dobbiamo trovare un sistema di approvvigionamento che garantisca lo sviluppo della nostra società nei prossimi secoli rispettando l’ambiente. La semplicità della situazione si scontra però con la difficoltà della realizzazione di un modello energetico che rispetti tre obiettivi fondamentali ed interconnessi: la sicurezza energetica (disponibilità ed affidabilità delle forniture), la sostenibilità ambientale (impatto ecologico in tutti i suoi aspetti) e l'equità energetica (accesso all'energia a prezzi accessibili per tutti).
La transizione ecologica si focalizza invece sull’impatto ecologico, inteso quasi esclusivamente come il cambiamento climatico, e valuta quindi ogni intervento con la sola metrica della CO2 non immessa in ambiente. Questa modalità, caricata da un’urgenza non supportata da alcuna evidenza scientifica porta a storture con ricadute sociali assai negative sia sulle società “ricche”, forzate spesso a de-industrializzarsi e pagare elevati costi, sia su quelle povere a cui viene negato il modello di sviluppo che ha portato il benessere al resto del mondo.
A molti osservatori non sono mai state chiare le motivazioni che hanno partorito un complesso sistema di target e tassazioni per risolvere un problema inesistente con soluzioni irrealistiche che avrebbero inevitabilmente portato l’Ue in questo vicolo cieco.
Volendo attribuire, forse con ottimismo, ai policy makers europei una strategia energetica di lungo ed ampio respiro, immaginiamo che essendo l’Ue priva di risorse energetiche fossili (importiamo oltre il 50% del nostro fabbisogno energetico, superando il 90% per il petrolio) la “mossa climatica” fosse stata pensata per portare sul terreno delle rinnovabili gli altri Paesi industrializzati e competere così tutti “alla pari”: pochi Paesi sono dotati di risorse fossili e chi non le ha è costretto a comprarle (noi dobbiamo competere in questo con la Cina!) mentre 20 anni orsono le rinnovabili, tolto lo storico idroelettrico, avevano un’incidenza praticamente nulla per tutti.
Perdonate il parallelo con la F1: dopo anni di sviluppo a regole fisse, ci sono scuderie che dominano ed altre che arrancano; queste ultime sperano, come tanti tifosi italiani (ogni riferimento non è per nulla casuale!), che cambiando le regole le scuderie in difficoltà possano tornare ad essere competitive il prossimo anno. Questa avrebbe potuto essere la mossa tentata dall’Ue che però, alla prova de fatti, si è trovata da sola sulla strada della decarbonizzazione (dal 1990 la Cina ha aumentato le proprie emissioni di 5 volte mentre l’Ue le ha ridotte di circa 1,5 miliardi di tonnellate, equivalenti a -37%, arrivando ad un’incidenza globale del 6%, quando nel mondo sono aumentate del 70%), ha mancato clamorosamente quella maggior “sicurezza degli approvvigionamenti” a cui aspirava agli albori di questa strategia e non è neanche stata in grado di costruirsi un minimo di indipendenza energetica tanto agognata, passando dalla dipendenza delle fonti fossili alla dipendenza delle rinnovabili sia per tecnologie green che per minerali di cui queste necessitano.
In definitiva il “bluff” è fallito: “l’assoluto della questione climatica” si è dimostrato inesistente mentre la povertà energetica dell’Ue è una triste realtà. La transizione energetica, e non quella ecologica, va affrontata con tempi e modi consoni non avendo timore di rivedere gli obiettivi dell’Ue: quello sulla riduzione delle emissioni, non sempre coerente col target sulla crescita delle rinnovabili, andrebbe radicalmente rivisto, forse sostituito con un obiettivo sulla riduzione delle importazioni. Bene il target sulla riduzione dei consumi, ottimizzando gli usi dell’energia nelle sue diverse forme, così come massimizzare l’utilizzo delle rinnovabili, ma il tutto andrebbe valutato non sulla base della riduzione delle emissioni, ma della riduzione delle importazioni di fonti fossili.
Il fine della transizione energetica non è la decarbonizzazione del sistema energetico ma la sostenibilità sul lungo periodo: la decarbonizzazione dovrebbe essere una positiva conseguenza della transizione energetica e non la principale finalità.
Va bene provare a convincere le altre squadre a non usare i motori con 1000 cavalli, magari tassandone le emissioni, ma se dopo 20 anni le altre scuderie ancora vanno a 300 Km/h, sarebbe auspicabile scendere dalla biciletta e pensare a nuove soluzioni.


