The Hunt, un’eccezione nella Hollywood del woke
Passata in sordina, The Hunt (La Caccia) è una simpatica presa in giro della ridicola situazione in cui si sono venuti a trovare gli Stati Uniti, divisi tra woke e cosiddetti “complottisti”.

A noi, ovviamente, arrivano le notizie drammatizzate per esigenza di audience o di vendita copie, così che dell’ultima americanata, la filosofia woke, ci facciamo un’idea o distorta o sopravvalutata, il che, poi, è lo stesso. E, poiché tal “pensiero” (si fa per dire) è di sinistra, ecco che i sinistri europei, annidati per ancestrale vocazione nei media, ne fanno propaganda-progresso (si fa per dire) a scopo di plagio del popolo. E di conseguente potere (loro). Mi si consenta un piccolo esempio storico: caduto Napoleone, la c.d. Restaurazione credette di poter tornare sic et simpliciter ai vecchi tempi. Ma erano ormai decenni che i sinistri di allora martellavano i cervelli della gente coi loro fogli “di lotta”, e i restauratori, non essendovi abituati, trascurarono la propaganda. Infatti, durarono poco: con la Rivoluzione di Luglio a Parigi nel 1830 i sinistri tornarono al potere per non più lasciarlo.
Bene, detto questo, torniamo al woke e chiediamoci: ma gli americani, loro, cosa ne pensano? Infatti, noi europei sappiamo quel che crediamo pensino gli americani. Ma in realtà sappiamo solo quel che i sinistri, anche americani, vogliono indurci a credere. Solo che l’americano medio, quello che ha ri-votato Trump per intenderci, è leggermente diverso da quello che le sue élite si sforzano di formare.
C’è infatti un film passato in sordina che ha incassato decine di milioni di dollari, si intitola The Hunt (“La Caccia”) ed è una simpatica presa in giro della ridicola situazione in cui si sono venuti a trovare gli Stati Uniti, divisi tra woke (minoritari ma coi soldi) e quelli che questi ultimi disprezzano come “complottisti”. Il film non ha scene scabrose (sessualmente parlando, gradite ai registi sinistri, cioè quasi a tutti) ma è grottescamente violento, perché gli americani, come è noto, sono tutti armati. Il cast comprende star come Hilary Swank, che fa significativamente la cattiva (e woke), e la straordinaria protagonista, Betty Gilpin (che fa l’americana media), un’attrice che meriterebbe la scalata nel firmamento hollywoodiano.
La storia, brevemente, è questa: dodici persone si risvegliano in una radura. Non sanno come sono finite là, solo che vengono da ogni parte degli USA. Trovano una cassa di pistole e fucili e subito vengono fatti segno di colpi di arma da fuoco provenienti non si sa da dove. Capiscono di essere finiti in uno dei miti dei complottisti americani: una caccia a esseri umani organizzata da ricchi annoiati. Da qui comincia una serie di colpi di scena mozzafiato che culmina nel gran finale: il duello tra l’unica preda sopravvissuta e la mente della caccia. Tutte e due, non a caso, donne. Una commessa e una radical-chic. Vince, naturalmente, il popolo e altro non vi diciamo per non farvi perdere il divertimento.
In un mondo, quello hollywoodiano, che ancora oggi celebra come eroi quelli che hanno fatto cadere Nixon che spiava i dem (i quali sono, come tutti sanno, specchiati, adamantini, perfetti e, soprattutto, hanno sempre ragione), un mondo che sommerge di Oscar ogni wokata possibile e immaginabile (pedofilia dei preti cattolici, eutanasia, oppressione dei negri, omosex, politici di destra per definizione disonesti eccetera eccetera), un film quale quello che abbiamo raccontato è davvero un’eccezione, ed è strano come abbia incassato tanto dal momento che ha potuto contare solo sul passaparola. Come dice il Winston Smith di 1984, «Se c’è una speranza è nei prolet».