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100 anni di calvino / 7

Tener ferma l'idea o seguire l'amore? Il dilemma del barone

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Il dodicenne nobile Cosimo decide di trasferirsi sugli alberi per sfuggire alla rigidità dei genitori. Guardando dall'alto gode di distacco e libertà nel giudizio, propri dell'intellettuale secondo l'autore. Ma un giorno conosce Ursula e il padre di lei lo invita a scendere: «Si sposi e gli passerà».

Cultura 05_06_2023

«Credo che nella mia opera si possano trovare non due anime poetiche, ma molte»  confessa Calvino a Giuseppe Mazzaglia nel 1957.

Il visconte dimezzato e Il barone rampante sono due racconti fantastici, ma d’una diversa gradazione di fantasia. E in ognuno dei due libri (specie nel Barone) tra un capitolo e l’altro si possono trovare […] degli scarti all’interno di questa gradazione. […] Viviamo in una società letteraria basata sulla molteplicità di questi linguaggi, e soprattutto sulla coscienza di questa molteplicità.

Nella stessa intervista Calvino sostiene che, se c’è una diversificazione nelle sue opere, essa non consiste nella distinzione tra fantastico e realistico, bensì in una differente modalità di procedere della sua immaginazione che lavora talora in modo «meccanico, geometrico, chiuso come composizione del racconto» e altre volte «in modo aperto, accostando liberamente i suoi dati» in un’armonia per così dire spontanea.

In questo senso non c’è una contrapposizione tra le prime due opere (I sentieri dei nidi di ragno e Ultimo viene il corvo) e la trilogia de I nostri antenati. Calvino ribadisce questo concetto nel 1966 nell’intervista con Claude Couffon quando sostiene che il suo neorealismo ha trovato il suo vero sviluppo solo nel romanzo fantastico «che era un modo oggettivo di rappresentare i personaggi». Quando i romanzi della trilogia degli antenati vengono accostati dai critici francesi al racconto filosofico di Voltaire, Calvino esprime il suo disaccordo, perché per Voltaire «il personaggio del racconto ha il compito d’incarnare un’idea», mentre lui parte da un’immagine e la sviluppa fino alle estreme conseguenze perché quando scrive va alla ricerca del «senso esatto, profondo».

Calvino è convinto che le sue narrazioni fiabesche, così come sono di solito definite, si situino «a metà strada fra il racconto filosofico e il racconto fantastico di tipo realista»: le immagini (o in altri termini l’inconscio) rimandano sempre alla ragione («il giudizio intellettuale») e viceversa. La trilogia, ribadisce Calvino nel 1981 nel colloquio con Jean-Baptiste Para, si focalizza sulla ricerca: ne Il visconte dimezzato l’uomo ricerca la sua totalità, ne Il barone rampante la sua autonomia, ne Il cavaliere inesistente una prova tangibile della sua esistenza. Questa ricerca è «una forma classica del racconto popolare, della chanson de geste, del romanzo cavalleresco». La trilogia ha «come fine la persona completa».

Ne Il barone rampante (1957) il dodicenne nobile Cosimo Piovasco di Rondò decide di trasferirsi sugli alberi e di non scendere più sulla terra per sfuggire alla rigidità dei genitori. Si sposta di albero in albero, osservando e partecipando all’esistenza degli uomini che vivono in terra.

Il protagonista, come riconosce Calvino, è un personaggio che sa darsi volontariamente «una difficile regola» e la segue fino alle ultime conseguenze. L’osservazione dall’alto permette a Cosimo il giusto distacco nel giudizio. Cosimo rappresenta in un certo senso la figura dell’intellettuale secondo Calvino, una persona che pur condividendo la vita degli altri deve saper conservare la propria singolarità, imparare a guardare in modo distaccato, razionale e obiettivo i problemi dell’uomo nel mondo.

Nell’anno della pubblicazione Calvino esce dal Partito comunista, a cui si è iscritto nel 1945, perché in disaccordo con la repressione che l’URSS ha attuato in Ungheria nel 1956 e vuole continuare ad esprimere la propria opinione con libertà.

Il fratello di Cosimo, che è il narratore della storia, e il precettore gli portano dei libri da leggere. Cosimo può così istruirsi, si costruisce addirittura delle biblioteche pensili, «riparate dalla pioggia e dai roditori» e, a sua volta, insegna, suggerendo romanzi ad un brigante. Dispone sugli scaffali i tomi dell’Enciclopedia di Diderot e d’Alembert.  Cosimo, che per anni guarda la gente che lavora, è preso poi dal «bisogno di far qualcosa di utile al suo prossimo», dal «piacere di rendersi utile, di svolgere un servizio indispensabile per gli altri». Inizia così ad apprendere l’arte di potare gli alberi e offre la sua opera ai coltivatori. Bada, potando e disboscando, «a servire non solo l’interesse del proprietario della pianta, ma anche il suo, di viandante che ha bisogno di rendere meglio praticabili le sue strade».

Quando muore il padre, anche Cosimo segue il funerale, passando da una pianta all’altra, ma non entra nel cimitero, perché sui fitti cipressi non ci si può arrampicare. Assiste alla sepoltura dall’altra parte del muro, getta un rametto sulla bara. Il fratello di Cosimo che narra riflette che in fondo sono «tutti distanti dal padre come Cosimo sugli alberi». Morto il padre, Cosimo diviene Barone di Rondò, ma non per questo la sua vita cambia.

Certo cura gli interessi familiari, inizia ad essere riverito per il suo titolo e a raccontare storie, alcune vere altre inventate. È preso da una smania di raccontare. «Ma in tutta quella smania» c’è «una insoddisfazione più profonda, una mancanza», «in quel cercare gente» che l’ascolti c’è «una ricerca diversa». Cosimo non conosce ancora l’amore, «e ogni esperienza, senza quella, che è? Che vale aver rischiato la vita, quando ancora della vita non conosci il sapore?». Ma come è possibile incontrare l’amore, stando sugli alberi?

Un giorno Cosimo conosce l’esule spagnola Ursula. Così comincia l’amore, «il ragazzo felice e sbalordito, lei felice e non sorpresa affatto». È «l’amore tanto atteso da Cosimo e adesso inaspettatamente giunto, e così bello da non capire come mai lo si potesse immaginare bello prima. E della sua bellezza la cosa più nuova» è «l’essere così semplice».

La vita rifiorisce per Cosimo: fioriscono i peschi, i mandorli, i ciliegi. Cosimo e Ursula trascorrono le giornate sugli alberi fioriti. «La primavera» colora «di gaiezza perfino la funerea vita del parentado». Cosimo è tutto animato dal desiderio di far nuove invenzioni, di migliorare la vita della colonia di esuli. Scrive il filosofo italo-tedesco Romano Guardini:

Nell'esperienza di un grande amore tutto il mondo si raccoglie nel rapporto Io-Tu, e tutto ciò che accade diventa un avvenimento nel suo ambito. L'elemento personale a cui in ultima analisi intende l'amore e che rappresenta ciò che di più alto c'è fra le realtà che il mondo abbraccia, penetra e determina ogni altra forma: spazio e paesaggio, pietre, alberi, animali.

Cosimo può seguire questo amore o rimanere ancorato alle sue idee. Il padre di Ursula lo invita a Granada, perché sposi la figlia. «Le idee vanno e vengono» afferma il padre. «Che [Cosimo] si sposi e gli passerà».

Che farà Cosimo? Rimarrà coerente e, imperterrito, perseguirà tenacemente la sua promessa di rimanere sugli alberi o seguirà una donna che gli sta cambiando la vita? Nella prossima puntata lo scopriremo.