Summit in Alaska, la «svolta» che non piace a Kiev e all’UE
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L’intesa USA-Russia sull'Ucraina, definita una «svolta» da Witkoff, non convince né Zelensky né i leader europei, che mirano nell’immediato a una tregua anziché a un accordo di pace diretto. Una posizione che favorisce la continuazione di una guerra già persa.

Solo nelle prossime ore potremo forse comprendere se in Ucraina la guerra terminerà con un accordo o se verrà decisa sul campo di battaglia. Bisognerà aspettare il faccia a faccia tra Donald Trump e Volodymyr Zelensky, accompagnato a Washington da una nutrita delegazione di leader europei che, insieme al segretario generale della NATO Mark Rutte e alla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, “scorteranno” il presidente ucraino, presumibilmente presentando a Trump le proprie valutazioni dopo gli esiti del summit in Alaska.
Un vertice che è stato un grande successo per i suoi protagonisti, al di là delle intese per rinnovare la cooperazione bilaterale anche in campo strategico (sulle armi nucleari, la gestione dell’Artico, le crisi internazionali) e soprattutto economico. Pochi i dettagli emersi finora ma nelle dichiarazioni rese alla stampa (otto minuti e mezzo ha parlato Putin, meno di quattro minuti Trump) l’aspetto più rilevante è apparso chiaramente quello del rilancio delle relazioni tra le due superpotenze.
Il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov ha detto ieri di aspettarsi che gli USA revochino alcune sanzioni alla Russia. Ma l’aspetto più importante è che russi e americani tornino a cooperare a livello globale riconoscendosi come grandi potenze di pari dignità. Aspetto che costituisce un trionfo per Putin non solo rispetto all’isolamento in cui l’Occidente guidato da Joe Biden voleva relegare la Russia, ma soprattutto rispetto alla missione che il presidente russo si era dato fin dalla sua ascesa al Cremlino.
Anche Trump esce vincitore dal summit di Anchorage, pur scontando lo scetticismo del mondo dei media che non lo ha mai amato e di un’Europa che ha sempre malcelato l’ostilità nei suoi confronti fin dalla campagna elettorale per le presidenziali americane. Il presidente statunitense ha bisogno di rinsaldare i rapporti con Putin perché tutti i maggiori interlocutori economici e strategici degli Stati Uniti (Cina, India, BRICS, Corea del Nord, Iran) sono stretti alleati di Mosca. Se davvero Trump vuole passare alla storia come “il pacificatore” (con o senza il Nobel per la Pace) dovrà negoziare con loro e sarà molto più facile farlo con il supporto della Russia.
Resta in sospeso la soluzione della guerra in Ucraina, poiché gli Stati Uniti non possono decidere per Kiev e per i suoi alleati europei, né hanno interesse a farlo dal momento che il conflitto ucraino rappresenta oggi per Washington solo un fastidioso ostacolo al pieno rilancio delle relazioni con Mosca. È forse per questa ragione che i due presidenti ad Anchorage hanno evitato le domande dei giornalisti, domande a cui Trump non avrebbe potuto dare risposte esaustive e Putin avrebbe potuto solo ripetere le condizioni poste da Mosca per cessare le ostilità. Trump ha sottolineato la volontà di Putin di giungere alla pace, obiettivo confermato anche dal presidente russo, che ha parlato del popolo ucraino «fratello, anche se può sembrare strano dirlo oggi», ma ha ribadito che Mosca vuole una soluzione del conflitto che tenga conto delle cause che lo hanno scatenato, non un cessate il fuoco temporaneo. Putin ha aggiunto, trovando il compiacimento di Trump, che se quest’ultimo fosse stato alla Casa Bianca la guerra in Ucraina non sarebbe mai cominciata.
Del resto, che Trump voglia sganciare gli Stati Uniti dal conflitto è ormai confermato e persino le forniture di armi a Kiev avvengono solo dietro pagamento da parte dei Paesi europei.
Dal summit in Alaska sono emerse nuove proposte per concludere il conflitto che sono però rimaste sotto traccia nel Vecchio Continente perché non piacciono né a Kiev né ai leader europei. La vera svolta l’ha infatti riferita Trump: «È stato deciso da tutti che il modo migliore per porre fine alla terribile guerra tra Russia e Ucraina è quello di arrivare direttamente a un accordo di pace, che metterebbe fine al conflitto, e non a un semplice accordo di cessate il fuoco, che spesso non viene rispettato». Di fatto quindi Putin ha convinto Trump a non cercare di imporre un cessate il fuoco che Mosca non potrebbe mai accettare, ma di indurre ucraini ed europei a discutere la fine delle ostilità, cioè ad accettare le condizioni di Mosca.
Ancora ieri Zelensky e alcuni ministri in Europa ponevano come priorità una tregua per negoziare la pace, un contesto che i russi hanno sempre respinto dal momento che stanno vincendo la guerra: una tregua darebbe solo respiro a Kiev e alle sue esauste truppe. Del resto, quando Mosca ha proposto 100 giorni di tregua chiedendo che gli ucraini sospendessero per quel periodo gli arruolamenti, l’invio di truppe al fronte e l’arrivo di armi occidentali, la risposta di Kiev e NATO è stata negativa.
Le condizioni che pone Mosca per concludere il conflitto con un ampio accordo sono sempre le stesse da tre anni:
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Riconoscimento dell’annessione alla Russia di Crimea e Lugansk (totalmente in mani russe) della regione di Donetsk (controllata dai russi al 75%) e di Zaporizhzhia e Kherson (74%);
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rinuncia da parte di Kiev ad entrare nella NATO, ad ospitarne truppe e armi;
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rinuncia di Kiev a disporre di armi offensive;
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“denazificazione” dell’Ucraina, cioè la rimozione di “banderisti” e leggi discriminatorie per i russi e i russofoni.
Il fatto che l’obiettivo di concludere il conflitto sia oggi condiviso dagli Stati Uniti cambia completamente l’iter del processo negoziale e mette Zelensky e gli europei con le spalle al muro: accettare le condizioni di Mosca o continuare da soli una guerra contro i russi sgradita a Washington. «Ora tocca al presidente Zelensky. E direi anche che i Paesi europei devono essere un poco coinvolti. Ma deciderà Zelensky», ha affermato Donald Trump nell’intervista concessa a Fox News subito dopo il vertice con Putin, aggiungendo che il suo messaggio a Zelensky è «fai un accordo». Un messaggio molto chiaro che si traduce nell’accogliere le condizioni di Mosca prima che il prosieguo della guerra peggiori la situazione per Kiev.
L'inviato di Trump, Steven Witkoff, ha definito gli accordi USA-Russia sulla sicurezza dell'Ucraina una «svolta». Ha detto che Washington e Mosca hanno già raggiunto un accordo ribadendo che ora la decisione spetta a Kiev. Secondo Witkoff, la Russia ha accettato di vincolarsi legalmente a non occupare altri territori una volta firmata la pace, mentre gli Stati Uniti fornirebbero garanzie di sicurezza «comparabili» all'Articolo 5 della NATO, in realtà tutte da definire. Witkoff ha aggiunto che la Russia ha fatto «concessioni» riguardo a cinque regioni ucraine, a quanto sembra accettando di ritirare le truppe da Sumy, Kharkiv e Dnepropetrovsk (occupate solo in piccola parte) e limitando le rivendicazioni territoriali al Donbass (regioni di Donetsk e Lugansk) e alle porzioni delle regioni di Kherson e Zaporizhia già sotto controllo russo (pari a circa tre quarti della loro superficie). Se così fosse Putin avrebbe offerto un compromesso che riconoscerebbe “l’onore delle armi” agli ucraini senza compromettere il successo russo. I dettagli per ora non sono stati resi pubblici, ma di certo Trump li ha comunicati a Zelensky e ai leader europei subito dopo l’incontro con Putin. Le prime reazioni non sembrano però essere incoraggianti.
Zelensky ha già respinto le cessioni territoriali, affermando che la costituzione ucraina vieta di «cedere o scambiare terra». Scetticismo anche tra i leader europei, consapevoli che la sconfitta dell’Ucraina è anche quella dell’Europa, rimasta sola (con il cerino in mano?) a difendere Kiev. Ieri il ministro degli Esteri polacco, Radosław Sikorski, ha precisato che «diremo a Zelensky che faremo ciò che abbiamo fatto finora: fornire armi, supporto e garantire il percorso verso l'adesione all'UE. L'Ucraina stessa deve decidere se vuole continuare la lotta». A Parigi il ministro per gli Affari europei, Benjamin Haddad, ha dichiarato che «la Francia respinge l'idea di smilitarizzare l'Ucraina e considera il rafforzamento del suo esercito come una delle garanzie di sicurezza».
Di fatto Zelensky e la UE continuano a chiedere solo il cessate il fuoco, non un accordo che concluda il conflitto, favorendo così la continuazione di una guerra già perduta in cui continueranno a morire gli ucraini (non certo gli europei) e in cui Kiev continuerà a perdere territori.