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CINEMA

"Sole", un film sul senso di essere padre e madre

L'opera prima di Carlo Sironi (disponibile sulle piattaforme streaming), che è stata presentata al Festival di Venezia 2019, affronta il dramma dell'utero in affitto, riflettendo senza sconti ma in modo profondamente umano. Chiamando le cose con il loro nome e senza perdere la speranza di re-imparare la grandezza della paternità e della maternità.

Cultura 28_09_2022

“Che cosa significa diventare padre, diventare genitori?”. Carlo Sironi, giovane regista figlio d’arte (il papà Alberto per vent’anni ha diretto la serie TV Il commissario Montalbano), dopo la morte del padre ha voluto rispondere a queste domande di bruciante attualità nel mondo contemporaneo, dove i modelli tradizionali sono tutti saltati. E l’ha fatto attraverso il caso limite raccontato nel suo film Sole – che poi in realtà rispecchia scelte ormai sempre più diffuse – , cioè quello della maternità surrogata di una giovane ragazza in difficoltà. Il regista si è documentato e ha creato la sua storia fuori dall’ordinario ma assolutamente credibile.

«In Italia la maternità surrogata è vietata per legge, ma ci sono espedienti illegali nel mondo delle adozioni, dove il traffico di neonati è una realtà concreta». È questo il punto di partenza di Sironi, che nel suo film ha immaginato una vicenda in cui i protagonisti sono Ermanno e Lena, due giovanissimi ragazzi dagli sguardi tristi e quasi bloccati, immersi in una condizione affettiva immobile. Il regista riesce a trattare con delicatezza una storia in realtà sulla carta molto cruda, da cui riesce tuttavia a far emergere misteriosamente una tenerezza impensata, «quel sentimento che può darci la spinta per cambiare vita».

Le esistenze solitarie di Ermanno e Lena, così come sono all’inizio dello scorrere delle immagini, sembrano destinate solo al fallimento. Il ragazzo è sbandato, passa il tempo a giocare alle slot-machine di una squallida periferia suburbana e si arrangia con piccoli furterelli. È desolatamente solo, non ha madre, suo padre si è suicidato, ma lui è convinto di sapersela cavare. Perciò accetta con indifferenza da uno zio l’incarico di custodire Lena, una ragazza polacca incinta, decisa a vendere la sua bambina proprio agli unici parenti di Ermanno, coppia sterile desiderosa di avere un figlio a tutti i costi. Ermanno diventa  dunque custode-carceriere della mamma surrogata, che deve accudire nella sua quotidianità solitaria fino al momento del parto, fingendosi il padre naturale. Abitano insieme in un appartamento vicino al mare, dove il giovane ha il compito di provvedere alle necessità essenziali di Lena, ottenendo così anche lui il suo guadagno. Ambedue sembrano insensibili al destino di Sole (così si chiamerà la bambina, secondo il volere dei futuri genitori affidatari, gli zii di Ermanno).

Ma si affaccia l’imprevisto: la bimba nasce prematura e Lena deve allattarla al seno. La ragazza, che voleva liberarsene velocemente, è costretta ad accudirla, anche se  non era nei patti e lei sembra incapace di instaurare un rapporto di affetto con la piccola. Chi comincia invece a cambiare inaspettatamente è Ermanno. Già negli ultimi giorni, prima del parto, aveva iniziato a guardare la futura mammina con occhi diversi, portandola persino a una festa in cui Lena, vestita con un abito rosa sgargiante, aveva finalmente sorriso. Lentamente, almeno lui sembra quasi intenerirsi quando Sole piange e le regala persino un giochino. Nasce quasi d’incanto un sentimento di affezione che Ermanno custodisce con pudore, la gioia di quella piccola nuova vita si impone, dopo il vuoto di giorni senza senso apparente per questi due ragazzi soli e abbandonati dagli adulti (Lena non sa neppure chi siano i suoi genitori). La fragile presenza della neonata, bisognosa di tutto, si impone, dopo le notti angosciose trascorse in quella casa dominata dai silenzi e dall’indifferenza (ben sottolineati dalle musiche lugubri e dalle penombre opprimenti del film).

I due ragazzi lentamente si affezionano a questa nuova realtà che li travolge e fa nascere sentimenti d’amore sconosciuti. È come se il mare che Lena intravedeva dalla finestra di quella casa-prigione, suggerendo orizzonti infiniti, potesse promettere la possibilità di un cambiamento, di una vita diversa. Ermanno scopre che la finzione che ha accettato per denaro, quella di essere il padre di Sole, potrebbe diventare realtà. Prende in braccio la bambina per consolarla e la cambia: padri si diventa, ma non per denaro. È la  scena più commovente del film. Così dimentica il gioco d’azzardo e comincia a lavorare; insieme a Lena fa il bagnetto alla bimba e la fa addormentare con un giro in macchina quando non riescono a calmarla. Arriva al punto di proporre alla ragazza polacca di non vendere la bambina: potrebbero cominciare una vita diversa in due, ora che hanno scoperto un nuovo mondo per loro. Non è così facile però, c’è un patto, ci sono i soldi da riscuotere e tanta paura di non farcela. Non sveliamo però il bellissimo finale aperto.

In tempi di maternità surrogata, di padri assenti, di pretesa di ottenere tutto col denaro, il  film è un invito pressante a riflettere sul vuoto di valori e di amore della nostra società. Ha il merito di non nascondere le nostre meschinità di fronte a realtà che non abbiamo nemmeno il coraggio di chiamare con il loro nome: la compravendita di neonati è diventata ipocritamente “maternità surrogata”, quasi che questa espressione edulcorata possa togliere tutta la vergogna della pretesa di “acquistare un bambino”. Emblematico è nel film lo sguardo imbarazzato della zia di Ermanno, che considera la piccola Sole già sua, quando Lena ancora l’allatta e la bimba rifiuta il latte artificiale con cui la donna vorrebbe recidere il legame della neonata con la sua mamma naturale. Un invito insomma ad aprire gli occhi sulle derive della nostra società e insieme il richiamo a non perdere la speranza di imparare di nuovo ad essere veri padri e madri.