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IL FILM DI OLIVER STONE

Snowden, la tirannia entra dalla porta di servizio

«Abbiamo fatto rientrare la tirannia dalla porta di servizio». E' una delle battute "cult" del film di Oliver Stone dedicato a Snowden, il genio informatico che ha svelato il sistema di macro spionaggio degli Usa. Nonostante il regista, che pure a Obama non le manda a dire, il film è da vedere. Per sfuggire dal politicamente corretto che ci opprime. 

Cinema e tv 01_12_2016

Due premesse. La prima. Sono nato alla fine del 1950 e c’era Stalin, la guerra di Corea, l’Urss occupava ancora perfino l’Austria. Ho passato la vita sotto la paura del plumbeo regime dell’Est, guardando all’America come baluardo e sponda di tutte le libertà. C’era un sacco di gente che moriva ammazzata cercando di scappare dalla Cortina di Ferro col sogno di andare negli Usa. Poi vennero anche i boat people vietnamiti che affrontavano l’oceano e i pirati pur di fare lo stesso.

Chi l’avrebbe mai detto che il sogno si sarebbe letteralmente capovolto? Ora c’è chi scappa in Russia: Depardieu, Snowden, io (se non fossi ormai troppo vecchio). Scappare dall’asfissia del politicamente corretto, dalla minaccia islamica, dalla cristofobia, dalla dittatura omosessuale, dalla criminalità impunita, dalle tasse. «Abbiamo fatto rientrare la tirannia dalla porta di servizio», dice il protagonista del film che dà luogo alla seconda premessa.

Eccola. Non mi è mai stato simpatico Oliver Stone, regista-soggettista di sinistra grande fan del duo Obama-Hillary. Ma questa volta ha ragione, e la delusione per Obama non la manda a dire. Il film di cui parlo è Snowden, la biografia del giovane genio informatico che nel 2013 rivelò al mondo che il governo americano era in grado di spiare i sette miliardi di abitanti del pianeta e lo faceva tranquillamente. E non come gendarme dell’umanità e guardiano del mondo libero. No, al contrario. Per pura volontà di potenza, per mantenere la leadership incontrastata sul mondo e tenersela per altri cento anni (per i cento successivi si sarebbe visto a suo tempo e luogo).

Edward J. Snowden, autodidatta, aveva fatto parte delle forze speciali, era un sincero patriota, un conservatore (nel film si mostrano i suoi contrasti con la fidanzata liberal) e sognava di lavorare per la Cia. Divenne prima impiegato e poi consulente dell’intelligence americana e fu lui stesso l’autore dei programmi informatici che il governo-ombra usò per tutt’altri scopi. Quando si rese conto di avere messo a punto un sistema che permetteva di controllare praticamente tutti e neutralizzare gli sgraditi, ovunque nel mondo si trovassero (sia con bombe mirate che con ricatti e “montaggi”) disse basta e rivelò tutto al giornale inglese The Guardian.

A rischio della pelle, dovette lasciare tutto, anche la famiglia, e scappare, dove? A Mosca. E’ ancora là, il «traditore» ricercato dall’Fbi. Il calderone da lui scoperchiato è pari, se non superiore, per importanza a quello di Wikileaks, tanto che Obama è stato costretto a fare pubblicamente marcia indietro sul monitoraggio universale. Solo che proprio la storia di Snowden insegna che non c’è da fidarsi. Ormai, non si può più sapere se davvero gli Usa hanno smesso di spiare tutti (anche questo articolo) o se si sono fatti semplicemente più furbi. La lotta al terrorismo globale era un comodo paravento, tant’è che dopo vent’anni non è ancora finita e certe misure di politica estera sembrano, anzi, tese a renderla permanente. Il film si gusta come un thriller di spionaggio e, alla fine, compare il vero Snowden, un nerd con una coscienza. Da vedere.