Sesso biologico vs gender, è scontro tra esperti dell’Onu
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Nell’ultima sessione del Consiglio per i diritti umani, sono state ascoltate le relazioni di Graeme Reid e Reem Alsalem. Il primo grande promotore dell’ideologia gender, la seconda che invece sottolinea le conseguenze nefaste della pretesa di voler cancellare il sesso biologico.

Sesso biologico contro gender, per la prima volta, benvenuto scontro al Consiglio dell’Onu per i diritti umani. Durante l'ultima sessione del Consiglio, lo scorso 7 luglio a Ginevra, i delegati dei Paesi membri hanno potuto confrontarsi con due esperti di diritti umani che hanno scritto i loro rapporti incentrati sull'ideologia di genere. I punti di vista di questi due esperti e le loro raccomandazioni su come i Paesi possono proteggere i diritti umani riflettono visioni radicalmente diverse sulla società, sul sesso e sul gender. L'ideologia di genere, cioè l’ideologia secondo cui il genere sarebbe soggettivo e slegato dalla sessualità biologica, è al centro di polemiche, indagini, promozioni e divieti in tutto il mondo. Dopo la diffusione di tale ideologia negli ultimi vent’anni e soprattutto nell’ultimo quinquennio grazie alla spinta poderosa dell'amministrazione Biden, il gender è sempre più oggetto di un acceso dibattito nel campo dei diritti umani internazionali.
Uno dei due esperti auditi dal Consiglio dell’Onu il 7 luglio, Graeme Reid, ovvero il cosiddetto esperto indipendente sull'orientamento sessuale e l'identità di genere, sostiene con convinzione l'ideologia di genere. La sua ultima relazione si è concentrata sull'orientamento sessuale e l'identità di genere in relazione allo sfollamento forzato delle popolazioni e le sue raccomandazioni ricalcano le liste dei desideri dei più accaniti promotori di tale ideologia. Secondo Reid, gli Stati dovrebbero: fornire agli sfollati «sistemazioni adeguate al genere per le persone transgender e con differenze di genere», ciò consentirebbe agli uomini che si identificano come donne, o come "gender-diverse", di condividere le stanze con donne sfollate vulnerabili. Non solo, tra le raccomandazioni ai governi c’è quella di «utilizzare l'identità di genere e i nomi preferiti come identificatori, piuttosto che solo il sesso e il nome alla nascita», e di assicurarsi che le loro «politiche nazionali e i loro sistemi legali garantiscano la non discriminazione su tutte le basi, compresi l'orientamento sessuale e l'identità di genere». Ovviamente Reid ha preso di mira gli Stati Uniti perché con l’inizio dell’amministrazione Trump «gli sforzi legislativi si sono concentrati in modo sproporzionato sulle persone transgender, che rimangono vulnerabili ad essere capro espiatorio, alla discriminazione e alla violenza».
Per altro verso, Reem Alsalem, relatrice speciale sulla violenza contro le donne e le ragazze, vede chiaramente l'ideologia di genere come un attacco ai diritti e alle tutele di donne e ragazze. La relatrice ha presentato ai delegati delle Nazioni Unite il suo rapporto sulla violenza contro le donne "basata sul sesso", anziché "basata sul genere" come dicono i promotori del gender. Nel presentare la sua relazione, la Alsalem ha voluto rimarcare lo sconcerto di ritenere necessaria una relazione delle Nazioni Unite in cui si debba affermare che le parole "donne" e "ragazze" si riferiscono a «categorie biologiche e giuridiche distinte». Rispondendo alle critiche di funzionari europei e di alcuni funzionari dell’Onu, la Alsalem ha osservato che il sesso è «un aspetto innato, immutabile e fondamentale dell'esistenza umana, sia per gli uomini che per le donne», sottolineando che «il sesso non è in realtà una costruzione sociale, come invece lo è il genere (gender)».
Nel suo documento la Alsalem sottolinea che «l'“identità di genere” è un termine che manca di una definizione codificata nel diritto internazionale»; invece, il diritto internazionale è inequivocabile nel difendere le tutele basate sul sesso biologico. L'autrice ha esortato quindi i governi a proteggere gli spazi riservati alle donne e ha insistito sul fatto che «l'abbandono della terminologia specifica femminile con il pretesto dell'inclusione e della non discriminazione, non è giustificato dal diritto internazionale». Nel rapporto si denuncia, tra l’altro, la «perdita di spazi monosessuali» (cioè dedicati a sole donne o soli uomini) e la «negazione della libertà di credo e di parola» come due delle numerose conseguenze dell’ideologia di genere e della sua pretesa di cancellare il sesso biologico. Si formulano diverse raccomandazioni coraggiose, tra cui quella di proibire ai governi di favorire la cosiddetta "transizione" dei bambini «attraverso interventi legali, sociali e medici sperimentali e irreversibili». Piuttosto, si invitano gli Stati a promuovere «rimedi efficaci, meccanismi di responsabilità e solidi servizi di supporto» per chiunque sia stato danneggiato da tali interventi in passato, esprimendo sdegno perché «nessuna agenzia delle Nazioni Unite che abbia un mandato sui diritti umani o sui diritti dei bambini si è ancora espressa sui danni documentati a lungo termine delle cosiddette transizioni di genere in età pediatrica e su come queste violino i diritti umani dei bambini».
Il Consiglio per i diritti umani del 7 luglio si è concluso con il rinnovo del mandato a Graeme Reid (29 sì, 3 astenuti, 15 no), con Spagna, Romania, Repubblica Ceca, Olanda, Francia, Germania, Cipro, Belgio, Macedonia, Albania e Svizzera che, tra gli altri, hanno votato a favore. Prendiamone atto: gli interessi delle lobby – Ilga e Human Rights Watch in primis – dell’irrazionale e violenta ideologia del gender uniscono la gran parte dei governi europei, superando ogni distinzione di colore politico, siano essi conservatori, popolari, socialisti o liberali. Bella vergogna.