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IL LIBRO

Scalia, difensore della Costituzione. E della vita

Antonin Scalia, giudice supremo statunitense (1936-2016), ha riportato in auge l'originalismo: l'interpretazione delle leggi secondo il loro significato originario. Il suo metodo è alla base della sentenza Dobbs che ha restituito agli Stati l'ultima parola sull'aborto. Un libro di Giuseppe Portonera lo fa conoscere agli italiani. 

Cultura 01_10_2022
Antonin Scalia

Antonin Scalia, giudice supremo statunitense di origine siciliana, morì nel 2016, in piena campagna elettorale. La sua successione fu oggetto di una dura battaglia in Senato, con il presidente uscente Barack Obama che voleva nominare un liberal, Merrick Garland e il Senato, allora a maggioranza repubblicana, che vi si opponeva. Dopo quasi un anno di dibattito, Obama ne uscì sconfitto. Il successore, Donald Trump, ha ripristinato e allargato ulteriormente la maggioranza conservatrice della Corte Suprema. Il vuoto lasciato da Scalia fu dunque preludio di una rivoluzione conservatrice nel massimo organo del potere giudiziario statunitense e la premessa delle sentenze (come quella sull’aborto) che oggi stanno cambiando il volto dell’America. Ora un libro, del giovane ricercatore di diritto civile Giuseppe Portonera (edito dall’Istituto Bruno Leoni) colma un vuoto nella conoscenza italiana degli Stati Uniti, prima biografia (nella nostra lingua) di Scalia e primo studio divulgativo della sua filosofia giuridica.

Antonin Scalia, nato nel 1936 a Trenton, nel New Jersey, figlio di un immigrato siciliano (Salvatore Eugene Scalia, docente di letteratura e traduttore) fu prima di tutto un giurista che ripristinò l’originalismo come metodo principale di interpretazione della legge, dopo decenni di progressismo. Nominato giudice supremo da Ronald Reagan nel 1986, dopo una brillante carriera accademica, inizialmente Scalia era solo contro tutti. Proprio ispirato dall’opera del padre, che si sforzava di rimanere fedele allo spirito del testo originale da tradurre, Scalia vedeva la legge come un testo da rispettare così come era stato concepito, non da interpretare con mente moderna. Come l’autore spiega alla Nuova Bussola Quotidiana, quello di Scalia «È un metodo giuridico che, a seconda del tipo di fonte (se è la Costituzione o una legge ordinaria) prende il nome di originalismo o testualismo, ma che per Scalia erano sinonimi: interpretare le leggi, inclusa la Costituzione, secondo il significato originario delle parole, dunque come l’avrebbe intesa il cittadino medio che viveva nell’epoca della sua promulgazione».

Conosciuto come un metodo “da conservatore”, l’originalismo può invece essere alla base di sentenze che piacciono anche ai progressisti. Il rispetto del Primo Emendamento (libertà di espressione), ad esempio, fa sì che debbano essere bocciate, in quanto anticostituzionali, le leggi che vietano di bruciare la bandiera americana nelle manifestazioni. Però l’originalismo, che è il metodo adottato dagli attuali giudici supremi conservatori, fra cui Amy Coney Barrett è più noto come la base giuridica per la sentenza Dobbs che, la scorsa estate, ha ribaltato la “Roe vs Wade” ribadendo che l’aborto non è un diritto costituzionale. «Scalia ha riservato sempre critiche durissime alla Roe vs Wade, la sentenza che aveva legalizzato l’aborto nei 50 Stati. L’aveva elevata a simbolo dell’attivismo giudiziario. L’originalismo ha portato al ribaltamento della Roe vs Wade fornendo un metodo ai giudici conservatori, assicurando che di fronte alla decisione da assumere non vi fossero tentennamenti. Ha fornito una soluzione definitiva perché non dice “nella Costituzione l’aborto non è menzionato, allora l’aborto è illegale”. Così come non dice neppure “Non è specificato, quindi l’aborto è legale”. Proprio perché la Costituzione è muta sulla questione, la decisione spetta ancora al popolo. Quindi l’originalismo ha fornito una motivazione razionale a una sentenza molto importante, restituendo il potere decisionale a ciascuno degli Stati dell’Unione».

Cattolico praticante, padre di nove figli, conservatore in politica, Scalia non fu comunque un attivista cattolico nell’interpretazione delle leggi. Su questo punto era molto chiaro: “Al contrario di presidenti, ministri, senatori e deputati, i giudici non svolgono (o non dovrebbero svolgere) un’attività politica, dovendo invece discernere accuratamente ed applicare onestamente le scelte politiche fissate, dai rappresentanti del popolo, nelle leggi (…) Proprio come non c’è un modo cattolico di cucinare un hamburger, così non c’è un modo cattolico di interpretare un testo, analizzare una tradizione storica, o stabilire il significato e la legittimità di precedenti decisioni giudiziarie. Eccetto, naturalmente, fare queste cose onestamente e perfettamente”.

Scalia era dunque un relativista? No, secondo Portonera: «Non viveva con alcuna difficoltà il fatto che, demandata al popolo, la decisione potesse essere anche contraria al diritto del feto. Però qui sta il senso dell’opera di Scalia: viviamo in un sistema di separazione dei poteri, quindi anche in un sistema di separazione delle responsabilità. Le battaglie che si hanno a cuore si devono combattere nel luogo opportuno: in questo caso, nel processo democratico, nella società. Prima avviene la battaglia culturale, poi quella politica e solo allora la traduzione dei risultati in leggi». La storia, per altro, dimostra come il progressismo giuridico sia una minaccia molto più diretta ai principi non negoziabili: non c’è nulla di più pericoloso di un giudice-attivista che interpreta le leggi in base allo “spirito del tempo”, creando nuove norme e non limitandosi ad applicare quelle esistenti. La sentenza Roe vs Wade che ha portato alla legalizzazione dell’aborto in tutti gli Stati dell’Unione ne è un esempio plastico. Così come lo è la sentenza Obergefell v. Hodges del 2015 che ha legalizzato i matrimoni gay. Proprio in quella occasione Scalia, che aveva votato contro, commentava nella sua opinione di dissenso: “Oggi un decreto stabilisce che il mio sovrano, e il sovrano di 320 milioni di americani, da costa a costa, è una maggioranza di 9 giudici della Corte Suprema. L’opinione, in questi casi, è l’estensione maggiore, la maggiore che si possa immaginare, del potere che la Corte si è attribuita: quello di creare delle libertà che la Costituzione e i suoi Emendamenti non menzionano”.

L’eredità di Scalia è evidente oggi: «Adesso c’è una maggioranza di giudici originalisti alla Corte – ci spiega Portonera - Ma fosse andata diversamente la storia, se fosse stato nominato Garland nel 2016, ad esempio, o avesse vinto la Clinton, nominando altri giudici liberal, l’originalismo sarebbe comunque sopravvissuto, anche in minoranza, come dimostra la stessa vita di Scalia». Anche in caso di riforma della Corte Suprema, aumentando il numero dei giudici? «Allargare la Corte Suprema, con il cosiddetto “court packing” sarebbe un abominio, un attacco allo stato di diritto: “siccome i giudici non mi piacciono, allora ne aggiungo altri”. Nemmeno Roosevelt ci era riuscito, aveva provocato una ribellione fra gli stessi Democratici. Perché è la soluzione più pericolosa: di questo passo ci ritroveremmo con una “terza camera” con un centinaio di giudici che votano per ogni sentenza. Fortunatamente questo progetto pare del tutto accantonato».