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TRUMP

Russiagate era falsa. L'intesa Fbi-Clinton una realtà

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L’indagine dell’Fbi “Crossfire Hurricane” avrebbe dovuto dimostrare che la campagna elettorale di Donald Trump, nel 2016, fosse collusa con i servizi segreti della Russia. Sei anni dopo, il rapporto Durham dimostra invece che quell'indagine fosse politicamente motivata e spinta dalla Clinton. 

Esteri 17_05_2023
Il rapporto Durham

L’indagine dell’Fbi “Crossfire Hurricane” avrebbe dovuto dimostrare che la campagna elettorale di Donald Trump, nel 2016, fosse collusa con i servizi segreti della Russia, per inquinare le operazioni di voto. L’indagine e l’insieme dei dossier che l’hanno preceduta e accompagnata è passata alla storia come “Russiagate”. Alla fine, nessuno è riuscito a dimostrare che Trump fosse colluso con i servizi russi. In compenso, sei anni dopo, apprendiamo che la stessa indagine dell’Fbi fosse basata su pregiudizi più che su prove e fosse caldeggiata da Hillary Clinton. Insomma, la distorsione della campagna elettorale c’è stata, ma da parte dei Democratici, non dei Repubblicani.

A smontare le tesi del Russiagate, forse definitivamente, è il rapporto del procuratore speciale John Durham, pubblicato lunedì, dopo quattro anni di indagini su chi indagava su Trump. Durham ha scritto che la sua investigazione ha anche rivelato che “il personale veterano dell’Fbi ha mostrato una grave mancanza di rigore analitico nei confronti delle informazioni ricevute, in particolare quelle ricevute da persone ed entità politicamente affiliate”. La Clinton, di fatto, avrebbe commissionato l’indagine: “In particolare, si è data particolare importanza a filoni investigativi suggeriti o finanziati (direttamente o indirettamente) dagli avversari politici di Trump”.

L’Fbi, allora era diretta da Jim Comey e dal suo vice Andrew McCabe, entrambi con un forte pregiudizio filo-Democratico. Ora Donald Trump si è espresso apertamente nei confronti dell’ex direzione della polizia federale, affermando che “i Democratici e Comey” dovrebbero pagare “un prezzo salato”.

Ma cosa ha trovato, in particolare, l’indagine di Durham? Prima di tutto che l’Fbi non aveva “alcuna prova effettiva di collusione” tra la campagna di Trump e la Russia quando ha avviato la sua indagine. Dunque, così facendo, ha violato i suoi standard e ha saltato diversi passaggi prima di passare all’azione. L’Fbi ha aperto l’indagine senza prima fare interviste, senza utilizzare i suoi “strumenti analitici standard” o senza condurre analisi di intelligence, che avrebbero dimostrato che nessuna agenzia statunitense aveva prove di collusione.

Il rapporto rivela un gran pregiudizio negativo nei confronti dell’allora candidato repubblicano. In particolare “espliciti sentimenti ostili” da parte di investigatori chiave, tra cui l’ex agente Peter Strzok e gli ex avvocati dell'Fbi Lisa Page e Kevin Clinesmith. Peter Strzok, nel gennaio 2018 era stato rimosso dall’indagine sul generale Michael Flynn (consigliere per la Sicurezza Nazionale in pectore dopo l’elezione di Trump, accusato anch’egli di collusione con la Russia) a seguito di uno scandalo molto significativo: erano emersi messaggi politicamente compromettenti fra lui e Lisa Page, avvocatessa dell’Fbi che risultò poi essere sua amante. Giusto per fare un esempio, in uno dei messaggi, Lisa Page chiedeva a Strzok: “(Trump, ndr) non diventerà mai presidente, vero?” e Strzok rispondeva “No. No non lo diventerà. Lo fermeremo”.

L’Fbi, al tempo stesso, avrebbe ignorato le prove sul fatto che l’indagine sulla collusione con la Russia potesse essere un’arma politica usata dalla campagna della Clinton. Secondo un rapporto della Cia, del 2016, la Clinton aveva ricevuto, all’inizio della campagna elettorale: “una proposta di uno dei suoi consiglieri di politica estera per diffamare Donald Trump, fomentando uno scandalo che rivendicava l'interferenza dei servizi di sicurezza russi”. Questo rapporto era stato regolarmente consegnato all’amministrazione Obama. E completamente ignorato dall’Fbi.

Infine, due membri dei servizi segreti russi “erano a conoscenza dell'indagine elettorale dell’ex agente britannico Christopher Steele all'inizio di luglio 2016” - quando aveva contattato per la prima volta l'FBI con il suo dossier (una delle origini dell’indagine) - e che di conseguenza le sue fonti potrebbero essere state “compromesse”. Questo particolare è molto grave, perché vuol dire che i servizi russi erano al corrente delle indagini e possono averle usate a loro vantaggio.

L’Fbi ha ammesso l’errore, affermando di aver già “implementato decine di azioni correttive” che, se fossero state messe in atto nel 2016, avrebbero “impedito” un’azione così poco ortodossa come il Russiagate. Durham, già nella conclusione del rapporto, ribatte all’agenzia che “la risposta non è la creazione di nuove regole, ma una rinnovata fedeltà alle vecchie”, soprattutto ai principi guida dell’Fbi “Fedeltà, coraggio e integrità”.

Insomma, in estrema sintesi: la collusione fra Trump e i servizi segreti russi non c’era. Il rapporto Durham, invece, dimostra come vi fosse una collusione fra l’Fbi e la Clinton. Ed è grave, per qualsiasi democrazia.