Paura di diventare poveri: Zuppi attacca il governo sull'8xmille
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Il presidente della CEI denuncia il governo per una modifica unilaterale della legge sull'8xmille, ma sbaglia obiettivo e argomento. In realtà c'è il timore che possa cambiare il meccanismo di ripartizione così che i fondi si dimezzerebbero. Senza contare il crollo delle firme nella dichiarazione dei redditi a favore della Chiesa: dal 2013 al 2021 un calo del 20%.
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Cosa avrà spinto il presidente della Conferenza Episcopale Italiana (CEI), il cardinale Matteo Maria Zuppi ad attaccare frontalmente il governo sull’8x1000, sbagliando clamorosamente il bersaglio? Già, perché è difficile immaginare che il cardinale Zuppi non conosca la legislazione in materia e soprattutto quanto accaduto in questi anni a proposito del meccanismo istituito nel 1985 per fare in modo che fossero direttamente i cittadini a finanziare la Chiesa cattolica attraverso una quota fissa (l’8xmille appunto) delle proprie tasse.
Parlando in apertura del Convegno nazionale promosso dall’Istituto centrale per il Sostentamento del clero per ricordare i 40 anni della legge 222 che istituiva l’8xmille, Zuppi ha detto: «Esprimo delusione per la scelta del Governo di modificare in modo unilaterale le finalità e le modalità di attribuzione dell’8×1000 di pertinenza dello Stato. È una scelta che va contro la realtà pattizia dell’accordo stesso, che ne sfalsa oggettivamente la logica e il funzionamento, creando una disparità che danneggia sia la Chiesa cattolica che le altre confessioni religiose firmatarie delle intese con lo Stato».
In pratica Zuppi denuncia il governo Meloni per aver introdotto delle modifiche alla legge 222/85 - che porta il nome di “Disposizioni sugli enti e beni ecclesiastici e per il sostentamento del clero cattolico in servizio nelle diocesi” – che favorirebbero lo Stato nell’attribuzione dei fondi dell’8xmille.
Immediata e sorpresa la reazione del governo: la modifica alla legge del 1985 «fu introdotta dalla maggioranza parlamentare che sosteneva il governo Conte 2», cioè M5Stelle e Pd. Era il 2019, per chi voleva attribuire allo Stato l’8xmille si dava la facoltà di scegliere tra 5 diversi tipologie d’intervento: contrasto alla fame nel mondo, interventi per calamità naturali, assistenza ai rifugiati; conservazione dei beni culturali, ristrutturazione degli immobili scolastici. Nel 2024 il governo Meloni semplicemente aggiungeva una sesta possibilità, ovvero il «recupero dalle tossicodipendenze e dalle altre dipendenze patologiche».
Dunque l’attacco di Zuppi appare non solo rivolto all’indirizzo sbagliato, ma anche senza fondamento, perché lo Stato semplicemente dichiara gli ambiti di finanziamenti con tali fondi dando la possibilità ai contribuenti di scegliere. È ben dubbio che questo possa spostare le firme in modo rilevante verso lo Stato.
È lecito dunque chiedersi – a meno di considerare il cardinale Zuppi uno sprovveduto – la vera ragione di questo attacco.
Per comprendere bene la questione bisogna ricordare che la legge del 1985 intendeva regolare il riconoscimento giuridico degli enti e delle proprietà ecclesiastiche nonché le modalità di sostentamento del clero fino a quel momento garantito dalla congrua, ovvero il reddito minimo garantito dallo Stato ai sacerdoti. Con il nuovo sistema – l’8xmille, appunto – erano gli stessi contribuenti a decidere se assegnare alla Chiesa cattolica o allo Stato (per la cura dei beni culturali) quella frazione del proprio gettito fiscale, semplicemente firmando una casella nella Dichiarazione dei redditi.
Per quanto riguarda la Chiesa, l’articolo 48 della legge stabilisce che i fondi dell’8xmille devono essere utilizzati «per esigenze di culto della popolazione, sostentamento del clero, interventi caritativi a favore della collettività nazionale o di Paesi del Terzo mondo».
Tale modello di accordo si è poi esteso nel tempo ad altre confessioni religiose tanto che oggi il contribuente ha la possibilità di scegliere tra 12 beneficiari (inclusi la Chiesa cattolica e lo Stato italiano, che in realtà si dividono oltre il 90% della torta).
La grande novità del meccanismo stava nel fatto che la quota di 8xmille dei cittadini che non esprimono alcuna scelta veniva ripartita tra Chiesa e Stato in proporzione delle firme espresse.
Ma è proprio questo sistema di redistribuzione che è molto contestato da chi vorrebbe volentieri cancellare la presenza della Chiesa in Italia, ed è questa pressione per cambiare il meccanismo della ripartizione che preoccupa molto la CEI. Il motivo è semplice: solo poco più del 40% dei contribuenti appone una firma su una delle 12 caselle dell’8xmille, quindi il 60% del gettito da 8xmille viene ridistribuito in base alle firme sul restante 40%.
Tradotto in soldi vuol dire che, tenendo conto che la somma totale dell’8xmille è di 1 miliardo e 320 milioni (ultimo dato a disposizione), del miliardo che è arrivato per il 2023 alla Chiesa (che raccoglie poco meno del 70% delle firme) solo 400 milioni sono frutto diretto della scelta dei contribuenti; il resto (600 milioni) arriva dalla ripartizione dei circa 800 milioni senza firma.
Vale a dire che l’8xmille che arriva direttamente dalla scelta dei contribuenti arriverebbe a malapena a coprire il fabbisogno per il sostentamento del clero (403 milioni nel 2023). Mentre per le esigenze delle opere di culto e pastorale nel 2023 sono stati assegnati 352 milioni e per le opere di carità 243 milioni.
Messe così le cose si comprende quale sia la posta in gioco. E quando il cardinale Zuppi afferma che «a noi interessano i poveri, non i soldi» dice dunque una clamorosa bugia. La verità è che se salta il meccanismo di ripartizione, la Chiesa italiana rischia la bancarotta.
Il governo non lo ha mai messo in discussione ma dalla sinistra più volte si è contestata l’assegnazione “coatta” dell’8xmille e i radicali, ad esempio, da sempre parlano di legge-truffa e promuovono campagne per l’abolizione.
È dunque possibile che il cardinale Zuppi abbia voluto giocare d’anticipo per impedire che altri attacchino il meccanismo di ridistribuzione, cercando al contempo delle sponde politiche per salvare l’attuale regime dell’8xmille (e subito Matteo Renzi ha risposto “presente”).
Le parole del presidente della Cei tradiscono comunque un certo nervosismo perché negli ultimi anni sempre più cattolici hanno tolto la loro firma alla Chiesa cattolica e i motivi sono evidenti: una CEI diventata ormai un’organizzazione collaterale al Partito Democratico, che sostiene a spada tratta e finanzia l’immigrazione illegale, che con il suo giornale (Avvenire) si schiera a favore delle unioni gay, della cultura gender, dell’adozione per le coppie omosessuali non può che provocare una reazione di rigetto da parte di tanti semplici cattolici.
E i numeri sono impietosi, basta guardare questo grafico elaborato da lavoce.info per capire:
Dal 2013 al 2021 c’è stato un crollo netto degli italiani che hanno firmato per la Chiesa cattolica: dagli oltre 15milioni si è scesi in 8 anni a meno di 12 milioni, un vero e proprio tracollo che è certamente continuato anche negli anni successivi. E che sarebbe di dimensioni ancora più ampie se il meccanismo del recupero dei fondi non assegnati non rendesse quasi inutile l’astensione dalla firma.
Il cardinale Zuppi e tutta la CEI farebbero bene dunque a farsi qualche domanda su questa contestazione silenziosa dei fedeli, invece di buttarla in caciara politica.
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