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L'OPINIONE

"Pace attraverso la forza", la strategia vincente di Trump

La tregua tra Israele e Hamas è stata resa possibile dall'isolamento dell'organizzazione palestinese dovuto a indeblimento militare e rete dipolomatica con i Paesi islamici. Il che fa risaltare ancor più il fallimento di Onu, Europa e amministrazione Biden.

Esteri 11_10_2025

L'accordo per la tregua a Gaza negoziato da Donald Trump è il punto d'inizio di un processo di pace effettiva ancora in gran parte da costruire, e come tale è una creatura fragile, soggetta a molte possibili variabili. Tuttavia, già oggi chiunque voglia giudicare gli avvenimenti senza pregiudizi dovrebbe riconoscere che, per il suo contenuto e per il metodo con il quale esso è stato costruito, esso rappresenta una novità storica molto rilevante, che potrebbe innescare cambiamenti epocali nell'incancrenita questione mediorientale.

Innanzitutto, nel momento del sollievo per il cessate il fuoco e della speranza di una fine stabile delle ostilità a Gaza e in Israele, va ricordato che l'accettazione da parte di Hamas di un accordo che parta dalla restituzione di tutti gli ostaggi israeliani vivi o morti (obiettivo primario delle operazioni belliche di Gerusalemme) costituisce essenzialmente il frutto del totale isolamento in cui l'organizzazione integralista che domina col terrore nella Striscia si è venuta a trovare, dopo che le truppe israeliane l'hanno decimata, braccando i suoi ultimi drappelli nei loro bunker, e dopo che in due anni tutti i suoi principali sostenitori o fiancheggiatori o sono stati ridotti in condizioni di non nuocere dalla pressione militare di Israele e degli Stati Uniti (come l'Iran e Hezbollah), o sono stati avvolti dalla grande rete diplomatica messa in piedi dal presidente americano (come il Qatar e la Turchia).

Una rete diplomatica che ha condotto al risultato, due anni fa assolutamente imprevedibile, di un corale consenso dei Paesi arabi sunniti e di molti grandi Paesi islamici (oltre che, non dimentichiamolo, della Russia e, più discretamente, della Cina) su un piano di pace che prevede il disarmo e l'esilio per Hamas. E che, in continuità con l'intuizione decisiva degli "Accordi di Abramo" del 2020 tra Israele e alcuni Paesi arabi sunniti, potrebbe sfociare – se altre destabilizzazioni integraliste non si frapporranno – in un'ampliamento dell'area di pacificazione fino a un generale accordo di coesistenza e collaborazione tra Israele e il mondo musulmano nel suo complesso (di cui si intravvedono i primi, confortanti segni con il plauso all'accordo da parte non solo della Turchia, ma di Pakistan e Indonesia, e persino con il timido "buon viso a cattivo gioco" proveniente da Teheran).

La tregua insomma è stata resa possibile (e la pace, se ci sarà, sarà resa possibile) unicamente dalla congiunzione tra uso deciso della forza militare e pressione diplomatica resa credibile da quella deterrenza. È esattamente il modello della "pace attraverso la forza" che Trump dichiara essere la sua dottrina di politica estera.

La seconda considerazione da fare, direttamente conseguente la prima, è che il successo ottenuto dalla linea di Trump fa risaltare, per contrasto, i disastrosi esiti dell'azione, sui temi mediorientali, delle precedenti amministrazioni Dem di Barack Obama e poi di Joe Biden. Entrambe avevano scelto una linea molto simile: invece di isolare il polo destabilizzatore dell'ìIran e dei suoi proxy, avevano gettato ponti di dialogo verso il regime degli ayatollah e mostrato freddezza verso Israele e l'Arabia Saudita, leader del fronte sunnita filo-occidentale. Obama, poi, aveva addirittura favorito, con l'appoggio alle cosiddette "primavere arabe", l'emergere delle forze fondamentaliste legate alla Fratellanza Musulmana, e persino dell'Isis.
Il risultato era stato un'ondata di conflitti, precarietà e disgregazione in tutta l'area, su cui le forze islamiste che puntavano ad esasperare la resa dei conti con Israele avevano prosperato. Con Trump il vento è cambiato decisamente, e ora se ne vedono i frutti in termini di pace e stabilizzazione.

La terza considerazione che gli eventi di questi giorni suggeriscono è che la straordinaria convergenza internazionale sul processo di pace avviato da Trump mostra platealmente, ancora per contrasto, tutta l'irrilevanza delle Nazioni Unite, e tutta la loro totale incapacità di portare avanti in maniera credibile qualsiasi processo di pace rispetto ai molti conflitti in corso nel mondo: tanto più rispetto ad un conflitto radicato, sanguinoso e pericoloso come quello arabo-israeliano. Mentre Trump, con la sua deterrenza credibile e la sua trattativa spregiudicata, ha posto le basi di una autentica e concreta pacificazione, l'Onu non ha saputo fare altro - egemonizzata come quasi sempre da alcuni regimi regimi autoritari e ferocemente anti-israeliani del "Sud globale" – che condannare la reazione militare di Gerusalemme senza dire una parola ferma di condanna verso Hamas o l'Iran, e si è dimostrata strutturalmente inabile a fungere da sede "terza" di mediazione.

Infine, a corollario della débacle Onu, va segnalata la altrettanto totale inconsistenza dell'Unione europea, e dell'Europa in generale sul tema della guerra di Gaza. Per tutta la durata di essa, con poche eccezioni (il governo italiano di Giorgia Meloni e, in parte, quello tedesco di Friedrich Merz) i paesi europei praticamente non hanno "toccato palla", limitandosi a lamentazioni sulle vittime civili e facendo pressione, o addirittura invocando sanzioni, su Israele, piuttosto che sugli integralisti che avevano provocato il conflitto con l'eccidio del 7 ottobre. E alcuni, come Gran Bretagna e Francia, hanno peggiorato la loro posizione con la rovinosa decisione di riconoscere "a prescindere" uno Stato palestinese, prima di qualsiasi accordo e definizione del suo quadro istituzionale, incoraggiando in tal modo Hamas a resistere piuttosto che spingerlo a trattare. In questo modo, Ue e governi del vecchio Continente sono stati superati, in quanto ad apertura a una mediazione, dalla quasi totalità dei Paesi arabi e islamici, con un effetto grottesco che sarebbe quasi comico, se non fosse desolante.

In conclusione, il metodo Trump di "pace attraverso la forza" e di diplomazia senza steccati si è dimostrato l'unico finora in grado di costruire per il Medio Oriente un possibile futuro di coesistenza pacifica. La continuazione di quel processo dipende, oggi, essenzialmente dalla possibilità che Hamas si lasci effettivamente disarmare, e che rinunci a cercare di svolgere ancora un ruolo politico a Gaza: cosa che l'organizzazione integralista sta già cercando di evitare dilazionando i passi successivi delle trattative e confondendo le acque. In ogni caso, se mai quel traguardo sarà ottenuto non sarà certo grazie all'indulgenza degli europei, alla ocmplicità dell'Onu o alle manifestazioni di piazza a senso unico anti-israeliane, ma grazie alla barra del timone tenuta saldamente dal presidente statunitense.