Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Venerdì Santo a cura di Ermes Dovico
ORA DI DOTTRINA / 60 - LA TRASCRIZIONE

Non rubare, il testo del video

Ci sono tante modalità di furto, che è definito come «l’usurpazione del bene altrui contro la ragionevole volontà del proprietario». Peculato, sacrilegio, rapina, usura, sequestro di persona, corruzione, ricettazione, mancata restituzione di ciò che si è trovato, frode nel commercio, prezzi eccessivi...

Catechismo 12_03_2023

Proseguiamo il nostro percorso con il Settimo comandamento, che ci dice che è vietato rubare. La scorsa volta abbiamo fatto un’introduzione doverosa sul diritto di proprietà e la sua coordinazione con il principio della destinazione universale dei beni, il diritto al lavoro e alla famiglia. Oggi entriamo un po’ di più in quello che è l’oggetto proprio di questo comandamento, che appunto vieta il furto.

Il Catechismo della Chiesa cattolica, al n. 2408, definisce il furto come «l’usurpazione del bene altrui contro la ragionevole volontà del proprietario». Io mi approprio di un bene che appartiene a un altro, sapendo che questa persona è contraria o presumendo che lo sia. Diverso è il caso in cui si presume che possa essere consenziente, ma quando invece questa ragionevole volontà del proprietario è contraria, commetto appunto un furto. E lo commetto non solo quando compio l’atto di sottrarre qualche cosa di proprietà altrui, ma anche quando trattengo qualcosa che è di un altro.

Ora vediamo l’aggettivo legato - nel n. 2408 - alla volontà del proprietario, cioè la ragionevole volontà. Il Catechismo parla anche della necessità, definendola attraverso due aggettivi importanti: deve essere una necessità urgente ed evidente. Quando c’è questa necessità, può essere lecito anche appropriarsi di un bene altrui. Facciamo un esempio chiaro. Se io sto morendo di fame - perciò è una necessità urgente ed evidente, non differibile - posso appropriarmi di un bene che mi permette di soddisfare questo bisogno vitale, anche senza il permesso di una persona. Non è un’eccezione alla regola, ma è un’altra specie morale: in questi casi, io non sto propriamente rubando, ma sto all’interno di quel principio della destinazione universale dei beni. Va da sé che questa mia urgenza e necessità evidente - nell’esempio che abbiamo fatto - di appropriarmi di qualcosa per sopravvivere, per mangiare, non deve nascere da un mio rifiuto di procurarmi ciò che è indispensabile alla mia vita tramite il lavoro, tramite quelli che sono i mezzi normali dell’uomo, ma deve nascere da una necessità appunto urgente ed evidente.

Andiamo un po’ più nello specifico. Il Catechismo Tridentino, al n. 338, elenca alcune specie o sottospecie di quello che abbiamo chiamato più in generale furto. Il furto, di per sé, è definito come il privare di un bene un privato, quando cioè sottraggo un bene a un altro privato. Ma poi c’è altro.

Il peculato è un tipo di furto che avviene quando sto sottraendo un bene al bene pubblico, quindi non a un privato. Poi abbiamo il sacrilegio, che è un furto particolare, cioè il furto di un oggetto sacro o di qualcosa che appartiene alla sfera del sacro o è destinato, dalle offerte raccolte dai fedeli, a una beneficenza. In questo caso il furto ha un’aggravante; il Catechismo Tridentino dice che questa «è la forma più grave di questo delitto». Poi abbiamo la rapina, che è un furto che aggiunge la violenza alla sottrazione del bene, il fatto di strappare qualcosa dalle mani di qualcuno che può essere minacciato, trovarsi di fronte ad armi, a possibili percosse, eccetera.

Un’altra specie di furto è l’usura. Quello dell’usura è un capitolo molto complicato; non entreremo in quello che più specificamente è l’ambito della Dottrina sociale della Chiesa, su cui la Bussola fa anche dei corsi ad hoc. Ci limiteremo a dei cenni. Che cos’è sostanzialmente l’usura? L’usura è un richiedere un di più, rispetto al capitale concesso in prestito. Ora, in un tempo in cui il denaro era stabile, cioè non era soggetto a variazioni, a inflazione, chiaramente la condanna dell’usura era rigorosa, cioè non si poteva chiedere un centesimo in più di quanto si fosse concesso in prestito.

Ma chiaramente, data la fluttuazione del valore del denaro, una ragionevole richiesta di interesse è stata riconosciuta come lecita dal magistero della Chiesa cattolica. Il primo intervento di un pontefice fu quello di Benedetto XIV (1740-1758), verso la metà del XVIII secolo: un intervento teso ad aggiustare il tiro per la suddetta ragione (la fluttuazione del valore del denaro), perché il denaro di oggi non è il denaro dell’anno Mille... Perciò, nel caso di fluttuazione del valore del denaro, la liceità dell’interesse è evidente; ma questo non ci dice che il problema dell’usura sia svanito, anzi: deve essere considerata usura una richiesta di interesse sproporzionato e ingiusto. Chiaramente, ciò deve essere valutato di volta in volta.

Un’ulteriore aggravante del furto è il sequestro di persona con l’intento di ottenere dei beni e del denaro. Abbiamo quindi un ampio raggio, che è presente nel Catechismo Tridentino, ma che conosce in realtà un’ulteriore articolazione.

Andiamo un po’ più nello specifico, riprendendo il Catechismo della Chiesa cattolica al n. 2409, che aggiunge all’elenco che abbiamo fatto altri atti moralmente illeciti che attengono a questo comandamento: la speculazione, «con la quale si agisce per far artificiosamente variare la stima dei beni, in vista di trarne un vantaggio a danno di altri». Oggi diciamo: “è il mercato”, mentre la Chiesa continua a dire che “è il peccato”. La speculazione - quindi il far variare il costo dei beni per trarne un vantaggio e per danneggiare Stati, imprese, privati, famiglie - è un peccato grave, molto grave. Non è una legge di mercato, se poi anche fosse una “legge” di mercato interessa poco dal punto di vista morale.

Il Catechismo, allo stesso numero, cita poi la corruzione, «con la quale si svia il giudizio di coloro che devono prendere decisioni in base al diritto» (CCC 2409). Ciò vale per qualsiasi specie di corruzione, che sia una promessa di denaro, di beni, di carriera: la corruzione è un peccato ed è tanto più grave quanto maggiori sono i danni provocati dal tipo di corruzione. Ancora, il Catechismo condanna «l'appropriazione e l'uso privato dei beni sociali di un'impresa» e, poi, «i lavori eseguiti male, la frode fiscale, la contraffazione di assegni e di fatture, le spese eccessive, lo sperpero. Arrecare volontariamente un danno alle proprietà private o pubbliche è contrario alla legge morale ed esige il risarcimento» (ibidem). Dunque, non solo appropriarsi di qualcosa ma anche il danneggiare volontariamente un bene altrui è immorale.

Questo quadro, delineato dal Catechismo, è importante, molto variegato, poiché include tantissime manifestazioni che oggi sono ritenute come normali, che vengono etichettate come uno “stare al mondo”, “imparare a stare al mondo”, ma che invece continuano ad essere peccati contro il Settimo comandamento.
All’interno di questo comandamento ricadono altri fatti abbastanza diffusi, purtroppo, e di fronte ai quali uno nemmeno pensa tante volte che stia commettendo un peccato o un’ingiustizia. Il punto fondamentale di questo comandamento è il seguente: l’appropriarsi di un bene altrui contro la volontà del proprietario è sostanzialmente un peccato contro la virtù della giustizia.

Per esempio, ricade sotto la specie morale del Settimo comandamento, quindi del furto, chi compra oggetti rubati, sapendo che sono oggetti rubati o avendo, per così dire, una sostanziale probabilità, una certa evidenza che siano stati rubati; e quindi bisogna accertarsi che non lo siano.

Ancora, c’è il caso di chi non restituisce quello che trova. Quando si trova in giro qualche cosa, bisogna cercare di restituirla: ovviamente, se questo diventa impossibile, perché è impossibile rintracciare la persona, anche andando dalle autorità, è bene dare quanto trovato in beneficenza o devolvere una cifra congrua in beneficenza, proprio perché non è che se trovo qualcosa allora è mio; si tratta di un oggetto smarrito di un’altra persona.

Ogni genere di frode nel vendere. Qui abbiamo un ventaglio incredibile di possibilità: pensiamo ad oggetti che vengono venduti come integri e non lo sono, adulterati, non corrispondenti a come vengono presentati, e ancora le alterazioni dei pesi e delle misure, di cui troviamo esempi nei profeti. Dio, attraverso i profeti, condanna l’alterazione delle misure; per esempio, dichiaro di dare “un chilo” e invece sono 800 grammi… e questo può essere fatto in mille modi e in mille ambiti.

Un altro problema è l’eccesso dei prezzi, cioè profittare del bisogno altrui o dell’ignoranza altrui per dare un prezzo eccessivo a qualche cosa, di cui le persone magari hanno estremo bisogno. Ancora, non pagare adeguatamente i propri dipendenti, frodarli, è contrario al Settimo comandamento. E lo è anche, dall’altra parte, non svolgere il lavoro per cui si viene pagati, svolgerlo male, non svolgerlo affatto.

Vediamo dunque che ci sono tanti aspetti. Che cosa decide della gravità in questo ambito? Si capisce che non è tutto grave, pur essendo sempre moralmente illecito. Ci sono due fattori che devono essere presi in considerazione per comprendere la gravità, cioè: il valore della cosa e il danno provocato. Uno può avere qualche cosa che in sé non è eccessiva (in termini di valore). È evidente che frodare una persona o un ente pubblico di 100.000 euro non è la stessa cosa che frodare di 10 euro; 10 euro costituiscono una materia lieve, sebbene non sia comunque legittimo frodarli. Ma dall’altra parte, c’è un altro parametro importante: è vero che c’è differenza tra 100 euro e 100.000 euro, ma se io frodo 100 euro a una persona che ha seriamente bisogno di quei soldi per vivere, perché quei 100 euro costituiscono una parte consistente del suo stipendio mensile, allora la colpa è grave. Dunque, sono due parametri da tenere sempre in considerazione: 1) il valore oggettivo della cosa; 2) quale danno effettivamente vado infliggendo appropriandomi di una cosa o attraverso tutta quella serie di atti peccaminosi che abbiamo elencato.

Il Settimo comandamento prevede che si debba riparare all’ingiustizia commessa restituendo ciò che si è trattenuto, ciò di cui si è appropriati. O se non è possibile - perché la cosa è stata consumata, o non è più appartenente a noi, bisogna restituire l’equivalente: questo è fondamentale ed è necessario anche per la remissione della colpa e riparare il male commesso.

Ci sono alcune eccezioni in questa riparazione: i cosiddetti casi de minimis, cioè piccole cose che richiederebbero uno sforzo eccessivo. Facciamo un esempio pratico. Faccio la spesa e mi accorgo che la commessa mi ha dato di resto un euro in più; se mi accorgo della cosa appena fuori dal negozio, rientro dentro e restituisco l’euro. Ma se, ipotizziamo, sono di passaggio in quel supermercato, mi accorgo dell’euro a casa, dopo aver fatto 400 chilometri, non devo tornare indietro per restituire un euro, perché sarebbe sproporzionato a quella piccola cosa. Questo è un esempio per capire. Però appunto, se mi accorgo in tempo, e ho la possibilità di restituire, anche una cosa minima, senza un aggravio eccessivo, devo farlo.

Altra eccezione o, meglio, una sospensione dell’obbligo di restituzione si ha quando la restituzione dovesse provocare delle gravi difficoltà a sé e alla propria famiglia. Supponiamo che una persona si sia appropriata ingiustamente di 10.000 euro, all’epoca quei soldi erano magari un sovrappiù, poi, per una serie di problematiche, quei 10.000 euro non li può restituire, se non mettendo in seria difficoltà la sopravvivenza della sua famiglia: allora in questo caso, evidentemente, si sospende l’obbligo di restituzione e lo si rinvia a un tempo in cui, risanata la difficoltà economica, si può restituire il maltolto o restituirlo in parte.

Nel Catechismo Tridentino, al n. 342, vengono riportate tutta una serie di persone che, anche se non sono quelle che materialmente commettono il furto, tuttavia commettono essi stessi questo furto collaborando a diversi livelli. Il Catechismo Tridentino dice che la prima categoria che, pur non compiendo l’atto materiale, di fatto commette un furto è quella di chi comanda di rubare: non sono gli autori materiali del furto, ma sono i mandanti e chiaramente hanno tutta la responsabilità del furto. Ancora, il Catechismo parla di «quelli che, non potendo comandare, sono consiglieri o suggeritori di furti», per esempio attraverso un consiglio personale del tipo “non c’è nessun problema, fallo pure”; oppure che pianificano il furto, che aiutano e collaborano in qualche modo. Terzo punto sottolineato dal n. 342 del CT, «quelli che vanno d’accordo coi ladri»: una categoria un po’ generica, questa, che significa che si esprime in qualche modo un accordo con chi commette materialmente il furto.
Quarto, «coloro che partecipano al furto donde essi traggono lucro»; possiamo chiamarli i collaboratori, che vengono espressi dal Salmo 99 citato nel CT: «se vedevi un ladro, correvi con lui». Cioè, anziché trattenersi o rimproverare il ladro, ci si accoda.
Quinto, «coloro che, potendo impedire il furto, sono tanto lontani dall’impedirlo e dall’opporsi che anzi lasciano e permettono che esso avvenga»; quindi, poter impedire un furto e non farlo, implica una ricaduta di responsabilità di quel furto.
Sesto, «coloro che, sapendo con certezza che è stato fatto un furto e dove, non svelano la cosa, ma fingono di non saperla». Perché anche costoro partecipano della malizia del furto? Perché, con la loro testimonianza, la loro denuncia, potrebbero ricomporre l’ingiustizia e quindi il proprietario del bene che è stato sottratto dal ladro potrebbe essere risarcito, a lui potrebbe essere fatta giustizia, che così invece non viene compiuta. L’ultima categoria comprende tutti «i complici, i custodi, i patrocinatori, quanti offrono loro un ripostiglio, un rifugio», cioè tutti quelli che in qualche modo collaborano con il furto.

Ebbene, c’è tanta carne al fuoco. È un comandamento importante, su cui oggi si è diventati anche molto insensibili, proprio perché si tende a rifugiarsi dietro alle dinamiche del mercato, del commercio, del “tutti fan così”, “bisogna imparare a stare al mondo”, eccetera. Il comandamento di Dio è chiaro: non è lecito rubare e quando questo avviene bisogna restituire quanto è stato sottratto, con le eccezioni che abbiamo visto prima.

La prossima volta continuiamo con il Settimo comandamento, vedendo altre implicazioni importanti.