Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Giovedì Santo a cura di Ermes Dovico
Dottrina sociale
a cura di Stefano Fontana

il dibattito

Non andare a votare è peccato. Parola di Maradiaga

Dottrina sociale 09_11_2021

Come riportato da Infovaticana il cardinale hondureño Maradiaga ha sostenuto che non andare a votare è un “peccato” e, più precisamente “un peccato di omissione”. Lo ha detto di fronte alle minacce di violenze alle prossime elezioni quando si voterà per il presidente del piccolo Stato centroamericano. L’indicazione può quindi essere anche intesa come un invito al coraggio civico di fronte alle intimidazioni. Però, ugualmente, la considerazione dell’astensionismo elettorale come un “peccato” non regge e mi è capitato di leggere questa affermazione del cardinale proprio quando dentro di me sto valutando di non andare a votare alle prossime elezioni politiche italiane.

Innanzitutto è una contraddizione fondare sulla democrazia la condanna di coloro che non si reggono ai seggi. Infatti è proprio la democrazia che lo prevede. L’astensione elettorale è un “diritto democratico”, tale e quale il diritto di votare. Un diritto che si fonda sul dovere di partecipare alla vita pubblica della comunità politica in vista del bene comune, la quale cosa – la partecipazione – si può fare in due modi: votando o non votando. Chi non vota partecipa non votando, non è che non partecipi o che rinneghi la democrazia. Chi decide di non agire, non è che non faccia niente, egli agisce nella forma del non agire. Chi non parla non è che non comunichi, comunica non parlando. Quindi non si può condannare democraticamente chi non partecipa alle elezioni. Sarebbe una condanna non democratica.

Il cardinale non si chiede se possono esistere motivi seri per non andare a votare. Condanna quindi l’astensionismo in sé, indipendentemente dai suoi perché, e quindi esalta l’andare ai seggi in sé, indipendentemente dei suoi perché. Questa è una esaltazione della partecipazione come puro fare che non è accettabile né moralmente né politicamente. La partecipazione è uno strumento e non un fine, non è un valore in sé ma per il suo oggetto e i suoi fini. Anche i mafiosi inducono a votare questo o quello. Da sempre i voti si comprano anche. Del resto, votare per programmi politici ingiusti non è un bene ma un male. Secondo il cardinale Maradiaga, invece, votare è comunque e sempre un bene. Questa è una esaltazione indebita del sistema democratico che invece, come scriveva Giovanni Paolo II, sta o cade sulla base dei valori che incarna. La democrazia che assolutizza come proprio principio la semplice partecipazione al voto è vuota al suo interno e non è democrazia nel senso inteso dalla Dottrina sociale della Chiesa.

Un altro punto riguarda l’ampiezza della partecipazione democratica che non si riduce alla sola attività elettorale, ma si esplica in molti modi e in molte aree della vita sociale. Anzi, il principio di sussidiarietà vorrebbe che la partecipazione fosse organica e diffusa e non limitata alle elezioni periodiche. Esaltare questo momento come se fosse quello determinante della partecipazione democratica risponde alla logica di una democrazia individualistica e liberale su cui si possono aprire molte discussioni.

Dicevo sopra che la notizia della valutazione dell’astensionismo elettorale come peccato mi è arrivata in una fase personale in cui mi sto veramente chiedendo, al contrario del cardinale, se votare non sia ormai un peccato. Sto giocando sul paradosso, evidentemente, però non è da escludere che in certi momenti – e questo momento assomiglia molto a questi momenti – il sistema sia così organicamente depravato che accettare le sue regole andando a votare significhi conferirgli in qualche modo una conferma. Nella coscienza nasce una “ribellione” non tanto perché di fatto il mio voto è poca cosa e non potrà cambiare niente – questa valutazione vale sempre in ogni occasione – quanto perché la strutturazione interna del sistema è ormai così ferrea e l’ingranaggio così testato che bisogna pensare a tirarsene fuori e creare qualcosa di nuovo. Non votare, allora, non sarebbe omissione, ma la scelta per una partecipazione alternativa, ri-fondativa, creativa. Questi elementi non credo siano stati considerati dal cardinale Maradiaga, per il quale il sistema democratico merita sempre, per statuto e per definizione, la partecipazione elettorale dei cittadini. Non è però sempre così.

Certo che fa pensare la grande differenza tra questa infatuazione cattolica per la democrazia dei seggi elettorali e la spietata valutazione negativa della democrazia da parte del magistero ecclesiastico di un tempo e di tanti autorevoli pensatori cattolici. Leone XIII  demoliva la democrazia come la “la moltitudine arbitra e moderatrice di se stessa”. Donoso Cortés diceva che nella democrazia “tutti insieme comprano le masse con le promesse, e le masse corrompono tutti con il loro minaccioso muggito”. Augusto Del Noce  collegava la democrazia con “la perdita del sacro”, e se il cardinale Maradiaga pensa ad una democrazia “pura” e sempre degna di venerazione, Del Noce pensa invece che un tale concetto “deve essere ritenuto come il più irrazionale tra i concetti politici”.