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MEDIO ORIENTE

Netanyahu tira dritto con la guerra a Gaza, con o senza l'assenso di Trump

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Il viaggio di Trump in Medio Oriente non pone fine ai combattimenti a Gaza. Netanyahu prepara la grande offensiva e intanto si intensificano i raid aerei, colpendo anche un ospedale a Khan Younis. Il cardinale Pizzaballa non esclude una prossima visita in Terra Santa di Leone XIV. 

- Il presidente Usa nel Golfo di Stefano Magni

Esteri 15_05_2025
Bomba sull'ospedale di Khan Younis (La Presse)

L'elenco dei morti nella Striscia di Gaza si allunga di giorno in giorno, di ora in ora. È una brutale carneficina, una spietata crisi umanitaria. Anche gli ospedali sono sotto attacco da parte delle forze aeree israeliane. A Khan Younis, l’unico nosocomio ancora funzionante è stato colpito utilizzando quelle bombe "pesanti" che l’ex presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, aveva inviato ad Israele, poco prima della fine del suo mandato.  

Quello che si è presentato davanti agli occhi dei soccorritori erano scene raccapriccianti: i corpi delle vittime dilaniati a tal punto che non sono stati neppure recuperati, dispersi intorno al perimetro dell'ospedale. Le operazioni di soccorso sono state poi ostacolate da nuove incursioni che hanno preso di mira chiunque si avvicinasse ai feriti per prestare soccorso. Una guerra disumana quella che lo Stato di Israele sta conducendo nella Striscia, ormai completamente rasa al suolo.

Le autorità di Gaza hanno aggiornato il bilancio delle vittime a 61.709, aggiungendo migliaia di persone disperse o presunte morte. Il capo dell'Ufficio Informazioni del governo, Salama Maarouf, ha dichiarato, in una conferenza stampa, che i corpi del 76% dei palestinesi uccisi nel conflitto sono stati recuperati e trasportati in centri medici. Tuttavia, si ritiene che almeno 14mila persone siano ancora intrappolate sotto le macerie o in aree irraggiungibili ai soccorritori. «Oltre 2 milioni di abitanti sono state sfollati con la forza, alcuni più di 25 volte, in condizioni spaventose e sprovvisti dei servizi di base», ha aggiunto il funzionario, rilevando che 111.588 sono i feriti. Tra le vittime da registrare 17.881 bambini, tra cui 214 neonati.

Parlando al Business Forum di Riyad, in Arabia Saudita, il principe ereditario e primo ministro saudita, Mohammed bin Salman, ha dichiarato: «Bisogna trovare una soluzione alla questione palestinese in conformità con il piano di pace arabo e le determinazioni internazionali». Parole accolte con favore dal presidente palestinese Abu Mazen. Mentre Donald Trump ha aggiunto: «Voglio mettere fine alle vecchie guerre. I cittadini di Gaza meritano un futuro migliore».

Discorso rinviato al mittente da Benjamin Netanyahu, suo maggiore alleato in Medio Oriente, che dà disposizione all'aeronautica militare, senza avvisare gli Stati Uniti, di bombardare a Khan Younis, nel sud di Gaza, la zona dell'ospedale europeo: obiettivo il leader di Hamas, Muhammad Sinwar, fratello di Yahya, ucciso lo scorso anno dalle forze dell’IDF. Sotto le bombe anche Jabalia dove già martedì scorso 15 palestinesi erano morti nell’attacco a una scuola utilizzata come rifugio. Ieri, le vittime sono state decine. Oltre sessanta persone, tra cui 22 bambini, hanno perso la vita, in poche ore, a Khan Younis.  

Il primo ministro israeliano Netanyahu ha infatti ribadito che è questione ormai di ore, oppure di qualche giorno al massimo, e l'esercito con la Stella di Davide entrerà, con tutta la sua potenza bellica, nell'enclave musulmana, precisando inoltre: «Stiamo individuando i paesi disponibili a ricevere i residenti di Gaza, che Tel Aviv intende spostare. Abbiamo creato una struttura burocratica che darà loro gli aiuti necessari per andarsene. È su questo che stiamo lavorando in questi giorni, valutando che oltre il 50% se ne andrà, abbandonando per sempre la Palestina».

Nel frattempo, gli Houthi continuano a lanciare missili contro Israele. Questo è avvenuto ieri un giorno dopo che un missile era stato intercettato e un altro era caduto mentre era in rotta verso Israele. «Mi auguro che la visita in Medio Oriente del presidente Donald Trump possa portare sviluppi positivi in questo ginepraio, in questa situazione dolorosissima e soprattutto che si possa affrontare con chiarezza e determinazione la situazione di Gaza. Innanzitutto, dal punto di vista umanitario, quello a cui assistiamo è inconcepibile. Che si ponga fine a questa guerra che dura da troppo tempo. Servono interlocutori seri, credibili, che sappiano risolvere il problema non con le armi, ma con il dialogo politico», ha detto il patriarca di Gerusalemme dei Latini, il cardinale Pierbattista Pizzaballa.

Pizzaballa non esclude una visita di papa Leone XIV in Medio Oriente e in Terra Santa. «Oltre ad essere la madre di tutte le chiese, Gerusalemme è al cuore di un conflitto che riecheggia in tutto il mondo. Il nuovo papa è chiamato ad intervenire sulla scena internazionale. Ma per ora, bisogna lasciarlo respirare. Ha tante cose da scoprire».

Ma non sono soltanto le bombe ad ammazzare gli abitanti della Striscia. A Gaza, ormai, si muore anche di fame, dopo che il governo Netanyahu ha bloccato il passaggio di qualsiasi aiuto umanitario, dallo scorso mese di marzo. In un rapporto al governo, le forze armate israeliane hanno messo in evidenza, lanciando un allarme, che i palestinesi di Gaza rischiano di essere uccisi per mancanza di viveri se non verranno ripristinate le consegne di cibo e medicinali. Nel rapporto si mette in evidenza che in molte aree della Striscia non c'è più cibo per soddisfare il minimo fabbisogno giornaliero per la sopravvivenza dei suoi abitanti. Non esistono più negozi, né tanto meno panifici. Le cucine delle organizzazioni umanitarie stanno ormai per chiudere avendo terminato le scorte. «La situazione è inaccettabile. La fame non può essere usata come arma di guerra. Facciamo appello a tutti coloro che ne hanno il potere perché pongano fine a questa guerra», ha sottolineato il cardinale Pizzaballa.

Oggi, nonostante la guerra, in tutta la Palestina sarà ricordato il giorno della Nakba, ovvero la "Catastrofe”. Un anniversario per mantenere viva la memoria della cacciata di oltre 800mila palestinesi dalle proprie abitazioni da parte degli israeliani, un esodo forzato, avvenuto nel 1948, a seguito della creazione dello Stato israeliano. In tutta la Cisgiordania sono apparsi striscioni con la scritta «Non ce ne andremo ... La Palestina è per i palestinesi...», un modo per far memoria di quel tragico giorno e per annunciare in modo chiaro che non verranno più accettati gli allontanamenti forzati.