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STATI GENERALI

Movimento 5 Stelle, quel che resta del grillismo

Gli Stati generali dei grillini, svoltisi on line, si sono conclusi ieri e hanno decretato la spaccatura tra governisti e duri-e-puri. Nella loro esperienza di governo, prima con la Lega, poi con il Pd, i grillini che volevano "aprire il Parlamento come una scatola di tonno" hanno dovuto rimangiarsi gran parte delle loro promesse. I sondaggi li danno per spacciati e trascinano in basso anche Conte

Politica 16_11_2020
Stati generali, la conferenza finale di Conte

Viste le percentuali rilevate dagli ultimi sondaggi, qualcuno li ha definiti le esequie del Movimento Cinque Stelle. Gli Stati generali dei grillini, svoltisi on line, si sono conclusi ieri e hanno decretato la spaccatura tra governisti e duri-e-puri. I primi, assaporato il potere, non vogliono rinunciarvi, dopo aver rinnegato praticamente tutti i principi ispiratori; i secondi, disgustati dall’andazzo, vorrebbero proprio un ritorno alle origini e alla corsa solitaria contro la cosiddetta casta e una rinuncia all’alleanza con il Pd.

La scissione tra le due anime non ci sarà, almeno per ora. Tuttavia, la soluzione finale adottata (una segreteria collegiale a sette, che supera la reggenza provvisoria di Vito Crimi) è solo una toppa più grande del buco. Sono emerse lacerazioni profonde e insanabili destinate ad acuirsi man mano che si avvicina la fine della legislatura, con la quasi certezza, per gran parte dei parlamentari grillini, di non tornare in Parlamento e al governo.

Quand’anche il governo Conte andasse avanti fino al 2023, nulla dopo quella data potrebbe più essere come prima per un Movimento nato per “aprire il Parlamento come una scatola di tonno” e ridotto a contenitore e moltiplicatore di ambizioni individuali sfrenate e non supportate in alcun modo da reali competenze. Undici anni fa il comico Beppe Grillo aveva intuito che cavalcando la protesta popolare con il Vaffa avrebbe potuto catalizzare l’attenzione di fasce di persone disperate e pronte a votare chiunque promettesse il crollo del sistema e la caduta della classe politica di allora. La favoletta è durata fino alle elezioni politiche del 2018 quando i pentastellati hanno ottenuto oltre il 32% dei voti e sono andati al governo, prima con la Lega poi con il Pd. In due anni e mezzo hanno rinnegato progressivamente tutti gli impegni assunti con l’elettorato (nessuna alleanza con i partiti come la Lega e il Pd, sempre detestati, ristrutturazione dell’Ilva, netta contrarietà a Tap e Tav), accondiscendendo a tutte le logiche lottizzatorie, spartitorie e assistenzialistiche (statalizzazioni selvagge, assalto a poltrone in Rai, Eni, Enel, Poste e altre grandi aziende di Stato, sostegni a realtà industriali decotte come Alitalia) e usando il reddito di cittadinanza come leva per convertire il voto di protesta in voto clientelare.

I grillini all’esordio nell’agone politico avevano dichiarato un proposito ambizioso: superare le asprezze delle ideologie di destra e sinistra, rivelatesi un forte limite nella crescita delle persone e delle società, e affermare la meritocrazia, per consentire pari opportunità di partenza a tutti. L’imbarazzante mediocrità del ceto politico grillino (nessuno dei vertici può vantare un curriculum professionale apprezzabile) ha svilito quel nobile proclama in una goffa rivincita di chi non ce l’avrebbe mai fatta nella vita, non avendo né titoli né competenze. Un dato su tutti: decine e decine di parlamentari grillini, prima di entrare alla Camera e al Senato, dichiaravano zero euro al fisco e non avevano mai lavorato. Ad alcuni di loro non è sembrato vero di poter finalmente accendere un mutuo in banca per comprare una casa. Ecco perché appare altamente offensivo della tradizione democratico-cristiana l’accostamento, operato da alcuni osservatori e analisti politici, tra gli Stati generali grillini e i congressi della Dc. Pur con tutti i limiti dell’operato del partito di maggioranza relativa che ha guidato l’Italia fino al 1994, risulta imparagonabile la statura morale e intellettuale dei suoi cavalli di razza con quella degli attuali politici pentastellati.

Di qui il drastico crollo nei sondaggi. Attualmente il Movimento è accreditato di un 16%, destinato ad assottigliarsi sempre più, visto che il premier Giuseppe Conte è a sua volta in caduta libera nelle intenzioni di voto e non viene più percepito come un grillino doc da simpatizzanti e ormai ex elettori. Pesa su questa crisi irreversibile del Movimento anche la frattura insanabile con Davide Casaleggio. Quest’ultimo, alla vigilia degli Stati generali, declinando l’invito a partecipare alle assise virtuali, ha accusato i vertici pentastellati di aver già deciso tutto. Il dissidente numero uno, Alessandro Di Battista è stato ancora più caustico, rimproverando ai vertici del Movimento di "essersi genuflessi ai potenti" e di aver dimenticato la trasparenza dei processi decisionali, visto che non hanno diffuso gli esiti delle votazioni on line per l’elezione dei trenta oratori intervenuti agli Stati generali. Di Battista ha inoltre chiesto ai ministri di rimanere fuori dall’organo collegiale del Movimento.

Ma i malumori sono molto più estesi. Anche Nicola Morra, senatore e presidente della Commissione parlamentare antimafia, ha rinunciato a partecipare ai lavori dell’assemblea grillina adducendo ragioni istituzionali: "Devo occuparmi dell’emergenza sanitaria in Calabria, che è sicuramente più importante". Al di là, quindi, degli inviti all’unità e degli incitamenti ad andare avanti rivolti al popolo grillino da Luigi Di Maio (“Il M5S deve contare di più nel governo”) e dal premier Giuseppe Conte (“Bisogna avere il coraggio di cambiare idea su certe cose per il bene del Paese”), il Movimento ha esaurito la sua carica e si avvia a un mesto e inesorabile declino. Il superamento della regola dei due mandati, che Casaleggio e Di Battista vorrebbero mantenere, essendo stata una delle solenni promesse dei grillini agli elettori, è solo rinviato. C’è da scommettere che quando si avvicineranno le elezioni politiche, Luigi Di Maio, Roberto Fico, Vito Crimi e tutti gli altri che hanno già fatto due legislature troveranno il modo di salvare la poltrona e prolungare la loro esperienza politica. Proprio come succedeva nella tanto vituperata Prima Repubblica. Ma del grillismo, dopo il 2023, resteranno solo macerie.