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VATICANO

Milone all'attacco, il revisore licenziato accusa Becciu

Libero Milone, primo revisore dei conti del Vaticano, fu licenziato nel 2017, perché accusato di spiare le vite dei suoi superiori, incaricando un'agenzia esterna. Ora passa al contrattacco, facendo causa al Segretario di Stato Parolin. E lanciando accuse a mezzo stampa su monsignor Becciu. Che nel frattempo subisce altri guai giudiziari.

Ecclesia 12_11_2022
Mons. Becciu

Quella che si avvia alla conclusione non è stata una settimana facile all'interno delle mura leonine. E' iniziata con il siluro arrivato dalla Francia sul fronte abusi per l'ammissione di responsabilità del cardinale Jean-Pierre Ricard che ha confessato una condotta "riprovevole" tenuta 35 anni fa nei confronti di una minore di 14 anni. E si sta concludendo sull'onda del clamore per l'altro tema che vede da anni la Santa Sede sulla graticola, quello degli scandali finanziari. A riportare le luci della ribalta sulla gestione delle casse vaticane è stato nei giorni scorsi Libero Milone, il primo revisore dei conti della storia che fu licenziato nel giugno del 2017.

Un allontanamento con strascichi come rivelò tre mesi più tardi lo stesso manager in una clamorosa intervista rilasciata a Corriere della Sera, Wall Street Journal, Reuters e Sky Tg24 nella quale sostenne di aver subìto un'intimidazione da parte dell'allora comandante della Gendarmeria, Domenico Giani per confessare una distrazione di fondi e di essere stato indotto a dare le dimissioni con tanto di lettera già pronta che avrebbe soltanto dovuto firmare. Accuse pesanti a cui, all'epoca, seguì una nota ufficiale della Santa Sede nella quale si contrattaccava accusando l'ufficio del revisore di aver "incaricato illegalmente una Società esterna per svolgere attività investigative sulla vita privata" di esponenti della Curia. Tra cui quella del cardinale Angelo Becciu, allora potentissimo sostituto per gli affari generali ed oggi, dopo essere stato privato dei diritti del cardinalato, imputato nel procedimento penale vaticano per la vicenda legata alla gestione dei fondi della Segreteria di Stato.

Tirato in ballo da Milone come responsabile del suo licenziamento, Becciu si prese la responsabilità di fornirne pubblicamente le motivazioni: "è andato contro tutte le regole e stava spiando le vite private dei suoi superiori e dello staff, incluso me. Se non avesse accettato di dimettersi, lo avremmo perseguito in sede penale", spiegò Becciu. Tuttavia, è difficile credere che l'ultima parola per il benservito al manager potesse non spettare al Papa direttamente: difatti, nel corso di un'udienza alla Sala Polifunzionale dei musei vaticani nel processo che lo vede imputato, l'ormai ex potente (ma sempre) cardinale aveva raccontato che fu Francesco "in piena autonomia" a chiedergli le dimissioni di Milone perché la fiducia verso di lui era venuta meno. E da Santa Marta non sono arrivate smentite alla versione dell'ex prefetto emerito della Congregazione delle Cause dei Santi.

Convinto di aver subìto un torto, ora l'ex revisore (e l'ex aggiunto Ferruccio Panicco) ha deciso di rivolgersi alla giustizia vaticana presso la quale ha depositato una citazione contro il segretario di Stato, Pietro Parolin e contro l'ufficio che un tempo guidava, chiedendo un risarcimento di quasi 10 milioni di euro per i danni subiti da quello che ritiene essere stato un ingiusto licenziamento. La notizia della domanda giudiziale, fornita nel corso di un incontro con alcuni giornalisti selezionati ed in presenza dei suoi legali, è stata accompagnata da una serie di rivelazioni sul contenuto delle sue indagini da revisore generale tra il 2015 ed il 2017. Milone ha fatto sapere alla stampa che è pronto ad allegare alla citazione anche i documenti relativi a quello che avrebbe scoperto nel corso dello svolgimento del suo incarico. Materiale di cui presumibilmente sono state fornite anticipazioni al Corriere della Sera che in un articolo ha riportato alcuni dettagli 'succulenti' come la presenza di "una busta di plastica della spesa dove c’erano mazzette di banconote per 500mila euro" nell'ufficio dell'allora prefetto della Congregazione per la dottrina della fede. Oppure la denuncia di un bonifico da 500mila euro partito dai conti Ior dell’Ospedale Bambin Gesù alla Fondazione omonima per una campagna pubblicitaria e che invece, secondo quanto sostenuto da Milone, sarebbero stati "in realtà destinati al finanziamento illecito di partiti".

Queste ed altre accuse, tutte da dimostrare, sarebbero evidentemente emerse nel corso dell'attività condotta ai tempi del suo incarico in Vaticano anche tramite il ricorso ad una società investigativa specializzata. Un lavoro contestato dalla Santa Sede nella nota ai tempi del licenziamento perché avrebbe esulato dalle competenze del revisore e che invece Milone difende sostenendo che "in Vaticano hanno confuso la revisione con lo spionaggio". L'attività investigativa, comunque, ci fu ed ora sarà la giustizia vaticana a dover stabilire se il manager 'sconfinò' o no rispetto ai compiti assegnatigli dal mandato che ricopriva: Milone, infatti, è ancora attualmente indagato per peculato ed abuso d’ufficio. A quest'inchiesta penale si aggiunge ora la citazione civile da lui promossa con richiesta di risarcimento contro il cardinale Parolin, l'uomo che - a suo dire - lo scelse nel 2015 insieme ai cardinali Reinhard Marx e George Pell.

Intanto, l'altro grande protagonista di questa vicenda, il cardinale Angelo Becciu, ha dovuto incassare un'amara sconfitta sul fronte della giustizia italiana: la seconda sezione civile del tribunale di Como, dopo aver respinto la sua richiesta di risarcimento ai danni dell'ex collaboratore monsignor Alberto Perlasca e la sua amica Genoveffa Ciferri per una lamentata azione persecutoria nei confronti suoi e dei suoi familiari, ha anche condannato Becciu a rifondere ai due le spese processuali versando loro la cifra di circa 40mila euro totali per "abuso dello strumento processuale". Cifferi è una sedicente 007 - così si era presentata a Giacomo Amadori e Giuseppe China de La Verità che l'avevano però smentita - che ha ceduto gratuitamente qualche anno fa i propri beni immobiliari - in cambio soltanto dell'impegno all'assistenza morale e spirituale e a dire Messe post-mortem in sua memoria -  a monsignor Perlasca, l'ex funzionario dell'ufficio amministrativo della Segreteria di Stato prima indagato per lo scandalo del palazzo di Londra e poi grande accusatore di Becciu.

Nelle prime fasi dell'indagine vaticana, quando il prelato comasco era indagato per peculato a differenza dell'allora prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, la donna si era recata nell'appartamento del cardinale a cui, con toni spicci, avrebbe contestato di non aver difeso abbastanza Perlasca. Durante quell'incontro, secondo la sedicente appartenente ai Servizi Segreti, Becciu si sarebbe alterato al punto da bestemmiare e lanciare improperi contro il Papa. Una ricostruzione, pubblicata su La Verità, chiaramente smentita dal cardinale che per questo aveva deciso di presentare querela per diffamazione contro Ciferri. Nella sconfitta in causa civile dell'ex sostituto potrebbe essere stata determinante l'archiviazione di Perlasca in Vaticano decisa a sorpresa nel novembre del 2021 e alla quale, non a caso, si erano appellati i difensori del prelato nel processo a Como.