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LA STORIA

María, l'ex abortista trasformata dall'Amore di Dio

María (già Amaya) Martínez Gómez, ex anticlericale e femminista, ha raccontato il suo passato da infermiera per una clinica di aborti a Bilbao, dove le sue mani «si macchiavano di sangue innocente», ma che ora «sono state purificate dal Sangue di Gesù». Nel 2017, già pronta a suicidarsi, fu salvata da un fatto inspiegabile. Poi la chiamata per il Nepal e l’incontro incredibile con le suore di Madre Teresa, preludio di una conversione che tocca il cuore.
- IRLANDA DEL NORD, I VESCOVI ESORTANO A RESISTERE ALL'ABORTO, di Ermes Dovico

Vita e bioetica 21_12_2019

Questa non è solo la storia di un’ex abortista pentita che oggi mostra al mondo il vero volto (sadico e diabolico) dell’aborto, ma è la testimonianza del fatto che Gesù Cristo è un Dio vivente e potente, che può, se glieLo si concede, stravolgere persino un’anima imbevuta di peccato per farne un riflesso della Sua luce purissima. Oggi, infatti, a guardare María Martínez Gómez, 45 anni, che un tempo aveva le mani «che si macchiavano di sangue innocente», viene una sana invidia. L’ex infermiera, poi fisioterapista, ha raccontato la sua conversione avvenuta nel 2017, dopo anni in cui «ero fortemente ostile alla Chiesa cattolica, perseguitavo i cristiani, ero anticlericale, femminista abortista a favore dell’aborto».

Così ha cominciato la sua testimonianza per la diocesi di San Sebastiano lo scorso agosto, ricordando il suo vecchio nome (Amaya): «La verità è che le mani che vedete qui e che ora sono state purificate dal Sangue di Gesù, un tempo si macchiavano di sangue innocente». La donna lavorava infatti come infermiera in una clinica di aborti a Bilbao prima di incontrare «l’Amore puro, incondizionato… che trasforma le ferite… che vuole salvare tutti noi».

Nella clinica «l’essenza del mio lavoro era di far sì che la donna non creasse problemi… ogni 15 minuti ne arrivava una… la portavo in sala operatoria. Lo scopo era isolarla così che non avesse rimorsi». Accompagnandola in sala operatoria, «le tenevo la mano con questa mano, che allora non era molto umana… guardavo l’ecografo e dicevo alla donna quello che avrebbe sentito». Il freddo e i tremori: «È l’inizio dell’eliminazione di un’anima… poi cominciava lo smembramento del bambino… la cassa toracica, poi le gambe e le braccia, perché deve essere smembrato per essere poi aspirato».

Addolorata ma non più disperata, María ha aggiunto: «Ecco io ero la persona davanti allo schermo e vedevo tutto… distruggevamo la vita del bambino, della madre, del ginecologo e la mia. Il mio cuore era abbastanza indurito da non sentire e la mia coscienza era addormentata» dalle scuse per cui la donna ha «il diritto di scegliere… di vivere senza problemi la sua vita». La realtà è che María voleva «comprare una macchina, andare in vacanza», perché «è tutto un business».

Il racconto è proseguito mostrando l’impatto tremendo, sulle madri, dell’omicidio dei figli: «Erano quasi tutte in stato di shock, spesso rimuovevano l’aborto e mi dicevano di non portarle in sala operatoria perché avevano cambiato idea… gli spiegavo che la realtà era un’altra» e poi «tornavo in sala operatoria velocemente a svuotare la sacca con i resti dei bambini». Sebbene María si trovasse davanti agli arti di persone morte torturate, riusciva a non vedere più la realtà: «Ricordo il primo aborto e quando svuotai il sacchetto e trovai un piccolo piede, una collega che passava dietro a me, che vedeva che la fissavo, mi chiese cosa avessi: dissi che avevo visto un piede. Mi disse: “Vuoi tenerti questo lavoro?”. “Sì”, dissi. “Beh, allora questo non è un piede ma è un grumo di sangue”».

Come sia possibile arrivare a tanto, l’ex infermiera lo ha fatto capire ricordando che «quando vivi nell’oscurità il cuore diventa molto duro, i miei capelli cominciarono a cadere». Allora si prova a dimenticare. Infatti, «cominciai a correre e correre e correre perché ero piena di disgusto, ma non andava via».

María era così efficiente che i medici della clinica le dissero che come infermiera era sprecata e che avrebbe dovuto iscriversi a Medicina. Lei però scelse Fisioterapia. In quel periodo si sposò con «l’amore della mia vita». Allora «non avevo soldi per pagare gli studi, ma la clinica mi diede un assegno in bianco per il mio buon lavoro» e lei accettò senza scrupoli, perché «non mi importava di nulla se non di me, della mia carriera e del mio successo e aprii uno studio a Bilbao».

A questo punto María abbandonò gli amici di vecchia data per frequentare i suoi clienti, «i ricchi di Bilbao, avvocati, calciatori, giudici: passavo da party a party dove non ci curavamo di quante bottiglie di champagne avessimo… avevo tutto quello che sognavo di avere… ma quando hai tutto, o credi di avere tutto, sei insaziabile, continui a cercare, quindi mi dedicai alla corsa, andai a correre in montagna» e «più pericoloso era meglio era, cercavo continuamente il limite tra la vita e la morte… mio marito mi seguiva», finché «arrivai ad un punto dove io e mio marito eravamo l’invidia di tutti, eravamo la coppia perfetta».

Finché la realtà del dolore e del male, che María non voleva guardare, fu impossibile da scansare: «Il 12 gennaio 2017 [mio marito] mi disse che mi stava lasciando… eravamo insieme da 28 anni e qui arrivò la distruzione totale». La donna provò a scappare di nuovo andando a correre in montagna. Ma fu l’ultima corsa che fece, perché pochi giorni dopo tentò il suicidio per fuggire al vuoto mentre «una voce ti dice che non c’è speranza».

Ma proprio quando cercò di uccidersi, successe qualcosa di inspiegabile: uno dei suoi cani, solitamente «molto tranquillo, che non badava mai a me», quel giorno, mentre era pronta a soffocarsi con il gas, le saltò addosso senza che se ne potesse liberare, tanto che «non sono riuscita ad alzarmi dal divano per ore e ore» e alla fine si addormentò. Poco dopo ricevette una chiamata da una guida con cui era andata in Nepal e che a causa di un terremoto cercava un medico che aiutasse la popolazione: «Dissi che mi sarebbe piaciuto andare ma che non potevo». Peccato che «mia madre era vicina a me quel giorno… ora so che fu mossa dallo Spirito Santo… prese il telefono e disse di sì, che avrei subito preso i biglietti per andare in Nepal».

María partì l’8 maggio, giorno di festa mariana in Spagna. «Quando arrivai in Nepal, mi consideravo buddista perché era facile credere in Buddha», perciò «a Katmandu un giorno visitai un tempio induista e buddista, vicino a cui c’era un luogo dove venivano seppelliti i più poveri». La donna chiese di vederlo, «ma la mia guida mi disse di no… in quell’area ci andavano solo le suore di Madre Teresa, gli risposi “no, no, non parlarmi di Madre Teresa, quella donna non la sopporto, la odio letteralmente”… la mia rabbia, il mio orgoglio, il mio ego mi facevano dire così».

Un giorno, però, mentre camminava per le strade di Katmandu, con un angolo dell’occhio vide due sai bianchi e blu. «Venivano verso di me… improvvisamente una mano prese il mio braccio… mi disse in inglese che dovevo andare da quella parte». La guida disse loro che «non volevo avere a che fare con loro», ma «quella notte lo Spirito Santo non mi fece dormire… non potevo togliermi dalla mente queste parole: “Tu devi andare là, tu devi andare là”. Mi svegliai e dissi alla guida che dovevo assolutamente tornare sulla strada… andammo all’incrocio dove avevamo incontrato le suore… lo Spirito Santo ci portò in un luogo dove una donna aprì la porta». Era la casa in cui nove suore di madre Teresa vivevano: «Mi dissero che era ora. Dissi: “Cosa vuol dire ‘era ora’?”… Mi dissero che non volevano ricevermi quel giorno, ma il successivo».

Alle 5.30 della mattina seguente, María tornò, fu portata in cappella e durante la celebrazione della Messa «una voce mi disse: “Benvenuta a casa, quanto hai tardato ad amarmi”. Guardai e vidi che era la croce di Cristo che mi parlava… caddi in ginocchio, misi la testa sul tappeto e piansi e piansi e piansi per la profonda tristezza di essermi allontanata dal Suo amore e insieme di gioia, l’immensa gioia di sperimentare la misericordia di Dio… sentivo pace per la prima volta, provavo il perdono, l’amore, sentivo benedizione, mi sentivo resuscitata. Mi disse ancora: “Non preoccuparti del passato, la sola cosa che importa è quello che d’ora in avanti faremo insieme”».

María aveva pianto tre ore e si era trovata completamente cambiata. Le suore le dissero che era «un miracolo di Maria». Infatti, «per tutto l’anno la comunità aveva pregato per l’arrivo di una fisioterapista volontaria» che aiutasse una suora malata. María domandò alla suora come avesse capito che era lei: “Figlia, perché lo Spirito Santo mi ha detto: “È lei”».

Così María rimase con loro per quattro mesi, in cui il vuoto fu riempito dall’amore, l’inquietudine divenne pace, dopodiché «potevo o tornare a casa o rimanere. Allora le donne della preghiera (le suore, ndr) lo chiesero, come fanno per tutto, all’unico che sapeva, Dio Padre». La risposta fu che «Dio aveva una missione per me qui». La donna perse tutto: «Potete chiedermi: “Cosa è accaduto a tuo marito?”, la situazione è la stessa, sono stata lasciata con nulla… ma cammino con lo Spirito Santo… e prego per lui. Poi le suore pregavano perché trovassi una comunità». E l’11 agosto, il giorno della festa di santa Chiara, le clarisse di Medina de Pomar le aprirono le porte, insegnandole «cosa sia la croce e come Lui si mostra nella vita mia, nel mio matrimonio; e sono nel difficile cammino di pregare per mio marito».

Infine, paragonandosi commossa «al passaggio di Ezechiele in cui il profeta parla alle ossa secche e Dio le fa risorgere», María spiega che era necessario perdere tutto per vivere solo di Dio, che oggi la chiama a parlare della misericordia, come «speranza per i più peccatori tra i peccatori. La misericordia di Cristo è la bontà suprema che tutti noi possiamo accogliere». La misericordia per cui Dio amava María anche quando partecipava all’omicidio violento dei suoi fratelli più piccoli. La misericordia che cambia l’uomo con l’amore. La misericordia che, fatta eccezione per chi la rifiuta orgogliosamente, non ha limiti.