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INDI GREGORY

Lo schiaffo dei giudici inglesi all'Italia esige una risposta

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La lettera di risposta del giudice Peel al Console italiano a Manchester sul trasferimento in Italia di Indi Gregory è una clamorosa presa in giro del governo italiano. Da cui ci si aspetta una risposta adeguata. Ma anche coerenza in Italia nella difesa della vita.

Vita e bioetica 14_11_2023
Il giudice Robert Peel

«Avrà certamente sentito che molto tristemente Indi Gregory è morta….»: le parole scritte dal giudice dell’Alta Corte britannica, Robert Peel, al Console italiano a Manchester, Matteo Corradini, suonano come una inaccettabile presa in giro nei confronti dell’Italia. È un disgustoso sberleffo nei confronti di chi si era assunto l’incarico di salvare una bambina di 8 mesi, gravemente malata, da una morte procurata, decisa proprio dal giudice Peel e dai suoi colleghi. Ma è anche un aberrante oltraggio a Indi e alla sua famiglia, a cadavere ancora caldo. E dice soprattutto qualcosa sulla totale assenza di umanità in questi giudici, a cui non basta aver vinto facile in tribunale la loro battaglia per la morte, pretendono anche l’umiliazione degli avversari: è il trionfo della barbarie, che fa rivivere quello spirito tribale che evidentemente rappresenta la radice culturale del giudice Peel.

Come si ricorderà il console italiano Corradini, nella sua qualità di giudice tutelare di Indi da parte italiana, aveva richiesto cinque giorni fa al giudice Peel di cedergli la giurisdizione sul caso ai sensi dell’articolo 9§2 della Convenzione dell’Aja del 1996. La risposta è arrivata beffardamente soltanto ieri, poche ore dopo la morte di Indi. «Caro signor Corradini – scrive Peel nella lettera datata 13 novembre – grazie per la sua lettera del 9 novembre in cui, in base all’articolo 9 della Convenzione dell’Aja del 1996, richiede di essere autorizzato a esercitare la giurisdizione allo scopo di fare i passi necessari per trasferire Indi Gregory in Italia. Avrà certamente sentito che molto tristemente Indi Gregory è morta domenica notte/prime ore di lunedì. Il mio pensiero va alla sua famiglia. Date le circostanze, presumo che lei non desideri procedere con la sua richiesta di cui all’articolo 9. In attesa di sue notizie, cordiali saluti».

Non ci sono parole adeguate per commentare questa incredibile lettera, che costituisce tra l’altro un sonoro schiaffo al governo italiano che si era prodigato per la vita di Indi. E che ora ci attendiamo risponda adeguatamente a questo affronto. La lettera del giudice Peel non può essere un episodio da far passare nel dimenticatoio, ne va della dignità non solo dei membri del governo ma di tutto il popolo che rappresentano.

Ma avranno la volontà e la forza di iniziative adeguate? Purtroppo c’è da dubitarne, perché significherebbe provocare un incidente diplomatico con il Regno Unito che hanno già dimostrato di voler evitare. Pur essendo infatti meritoria l’azione che il governo italiano ha fatto in questa ultima settimana, prima concedendo la cittadinanza italiana a Indi e poi ponendo le basi giuridiche per il trasferimento in Italia, è difficile concordare sull’affermazione che «è stato fatto tutto il possibile» come ieri hanno detto sia il presidente del Consiglio Giorgia Meloni sia il leader della Lega Matteo Salvini.

Bisogna essere realisti: i precedenti – nei casi di Alfie Evans, Archie Battersbee e del cittadino polacco RS – avevano chiaramente mostrato che i giudici del Regno Unito neanche considerano le pressioni che arrivano da altri Paesi così come gli interventi di organismi giuridici internazionali quali la Corte. Per cui qualsiasi iniziativa del genere, salvo miracoli, è destinata all’insuccesso. A meno che si sia disposti allo scontro diplomatico con il governo del Regno Unito, e neanche in questo caso si sarebbe sicuri di ottenere qualcosa. Questo sarebbe «tutto il possibile». Ma il governo italiano, a cui va comunque dato atto di essersi spinto laddove nessun altro finora aveva fatto, evidentemente non intendeva arrivare fin lì.

Ora però ha la possibilità di dimostrare almeno che non era soltanto una bella iniziativa umanitaria acchiappa-consensi. Non solo prendendo adeguate iniziative per rispondere alla presa in giro del giudice Peel, ma soprattutto dando seguito all’iniziativa per tutelare la vita dei più deboli e renderla istituzionale. Per restare al caso di Indi Gregory, il governo italiano potrebbe ora studiare una Convenzione da proporre al Regno Unito (e ad eventuali altri Paesi) per accogliere d’ufficio dei pazienti inguaribili, che vogliono sottrarsi alla morte anticipata. Non un gesto isolato, dunque, ma un intervento strutturato e continuo.

Ma per essere preso sul serio, dovrebbe anche impegnarsi in Italia, per intervenire sulle leggi italiane eutanasiche, ad esempio modificando la legge 219/17 che ha introdotto il testamento biologico, con l’ammissione della possibilità dell’obiezione di coscienza per il personale sanitario.

Dopo la morte di Alfie Evans nel 2018, Giorgia Meloni, allora semplice segretaria di Fratelli d’Italia, consegnò al padre Thomas e alla madre Kate il “Premio Atreju” all’interno della festa romana del partito. Possiamo star sicuri che anche questa volta penserà di “premiare” in qualche modo Dean e Claire, i genitori di Indi. Iniziative lodevoli, senz’altro, ma da chi può preferiamo i fatti. Come si diceva una volta: non fiori, ma opere di bene.



LA QUESTIONE

Indi Gregory, ecco perché non c’è accanimento terapeutico

In un’intervista al Corriere il responsabile del Comitato etico della Siaarti, Alberto Giannini, sostiene, contraddicendosi, che per Indi ci sia accanimento terapeutico. In realtà le terapie salvavita fornite alla bimba anglo-italiana sono efficaci e proporzionate.

il caso

«Incurabile». Il benvenuto di morte della stampa a Indi

08_11_2023 Andrea Zambrano

I media italiani si accodano al best interest sancito da medici e giudici definendo Indi «incurabile». Che però non è sinonimo di inguaribile. Un asservimento della stampa alla mentalità eutanasica dominante. 

REGNO UNITO

Sì, vale la pena lottare per la vita di Indi Gregory

07_11_2023 Riccardo Cascioli

Malgrado la speranza generata dalla concessione della cittadinanza italiana, la strada resta in salita per salvare la bambina inglese di 8 mesi che medici e giudici vogliono lasciar morire. Ma la dignità della persona esige che la battaglia per la vita sia portata fino in fondo.

INTERVISTA / DEAN GREGORY

«Mia figlia Indi messa a morte da un Sistema diabolico»

Si è riaccesa una piccola speranza per Indi Gregory, la bambina di 8 mesi gravemente malata a cui oggi i medici potrebbero togliere i supporti vitali: il governo italiano le ha concesso la cittadinanza italiana così da facilitare un eventuale trasferimento al Bambin Gesù di Roma. Alla Bussola il papà di Indi, Dean Gregory, consegna un messaggio di gratitudine per tutto quanto sta facendo l'Italia. E sulla sua vicenda dice: «In tribunale ho visto l’inferno, per questo ho fatto battezzare mia figlia».