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MANOVRA

Le fibrillazioni sulla manovra minano il futuro del Governo

Una manovra finanziaria minimalista, oggetto di liti fra i partiti della maggioranza e in particolare fra il governo e la Lega, che deve rinunciare a quasi tutte le sue richieste a tutela dei pensionati. Il ministro Giorgetti preso tra due fuochi. 

Politica 23_12_2025
Giancarlo Giorgetti (La Presse)

Sono ore decisive per la manovra finanziaria del governo Meloni, che oggi dovrebbe essere approvata in Senato e, tra Natale e Capodanno, anche alla Camera. Nei giorni scorsi la legge di bilancio ha tagliato il traguardo più delicato del suo iter parlamentare, quello del passaggio in commissione, ma lo ha fatto lasciandosi alle spalle una scia di tensioni, correzioni in corsa e segnali di fragilità che difficilmente possono essere ignorati.

Al di là delle dichiarazioni di facciata sulla compattezza ritrovata, la quarta legge di bilancio dell’esecutivo appare come una manovra difensiva, costruita più per galleggiare che per indicare una rotta chiara, e già oggi lascia intravedere le difficoltà che il Governo dovrà affrontare l’anno prossimo, quando verrà meno la spinta del Pnrr e sarà inevitabile stringere ulteriormente i cordoni della borsa.

Un passaggio politicamente esplosivo, perché nessuna forza di maggioranza sembra disposta ad assumersi il costo di scelte impopolari con l’orizzonte delle elezioni politiche del 2027 che si avvicina, e con ogni partito impegnato soprattutto a non scontentare il proprio elettorato di riferimento. Le nubi, insomma, si addensano all’orizzonte dell’esecutivo, e le opposizioni potrebbero presto trovare terreno fertile per attaccare una strategia che appare già oggi priva di respiro.

Le ultime ore di lavoro in commissione al Senato hanno restituito l’immagine di una maggioranza costretta a rincorrere gli eventi: prima lo stralcio delle misure per le imprese, poi il dietrofront con il loro rientro in manovra attraverso un emendamento last minute, nel tentativo di rimediare a un pasticcio che aveva sollevato più di un allarme, soprattutto in Confindustria.

Tornano così i fondi per Transizione 5.0, per le Zone economiche speciali e per fronteggiare il caro-materiali, ma il prezzo da pagare è un nuovo intervento sul fronte previdenziale, terreno da sempre minato e simbolico soprattutto per la Lega. Viene infatti cancellata la possibilità di anticipare la pensione di vecchiaia cumulando gli assegni dei fondi pensione, una misura fortemente voluta dal Carroccio e che molti hanno letto come il segno più evidente dello scontro interno tra falchi e colombe nel partito di Salvini, diviso tra la linea identitaria e la necessità di fare i conti con i vincoli di bilancio.

La Lega incassa il risultato politicamente più spendibile, lo stop all’aumento dell’età pensionabile, ma deve ingoiare il boccone amaro dello stop al cumulo, oltre a ulteriori tagli alle risorse per il pensionamento anticipato dei lavoratori precoci e usuranti e all’ampliamento delle imprese obbligate a versare il Tfr all’Inps. Le opposizioni parlano apertamente di un accanimento contro i lavoratori e di una manovra che fa cassa sulle pensioni, mentre dal centrosinistra arriva una bocciatura senza appello di quella che viene definita la più debole legge di bilancio degli ultimi anni.

In questo clima si inserisce anche il cosiddetto “giallo Giorgetti”, che aggiunge un ulteriore elemento di incertezza politica. Il ministro dell’Economia, finito nel mirino delle opposizioni dopo le frizioni nella maggioranza, si presenta a sorpresa in commissione e respinge l’ipotesi di dimissioni, ma lo fa con una frase che suona come una confessione a metà: dice di non avere alcuna intenzione di lasciare, salvo poi aggiungere, con tono ironico ma non troppo, che per il suo bene personale forse sarebbe meglio farlo. Un’uscita sibillina, letta da molti come il segnale di una crescente esasperazione e di rapporti sempre più complicati sia con il suo partito sia con una parte del governo, alle prese con una gestione dei conti pubblici che diventa ogni mese più complessa.

Il dibattito sulla manovra, tra rallentamenti, sospensioni e nuovi momenti di tensione, si è poi acceso quando ha fatto capolino un emendamento in materia di riapertura del condono del 2003; la maggioranza è stata però costretta a una rapida marcia indietro dopo le proteste delle opposizioni, che parlano di tentativo di blitz.

Anche nel centrodestra emergono nervosismi, con battibecchi in commissione e aggiustamenti dell’ultimo minuto che confermano quanto l’equilibrio sia tutt’altro che solido. La visita finale del presidente del Senato Ignazio La Russa, che ha ringraziato maggioranza e opposizione per il lavoro svolto, ha suggellato nei giorni scorsi il via libera della commissione, ma non ha cancellato l’impressione di una manovra nata più per necessità che per convinzione.

Se oggi, come pare, il testo riceverà il via libera dal Senato, lunedì approderà alla Camera dove il governo porrà la fiducia per blindarne l’approvazione entro fine anno ed evitare l’esercizio provvisorio. Ma al di là delle scadenze parlamentari, il vero nodo resta politico: questa legge di bilancio non sembra in grado di affrontare le sfide strutturali che attendono il Paese e appare piuttosto come l’anticamera di un futuro fatto di sacrifici rinviati, promesse ridimensionate e crescenti difficoltà, in un contesto in cui la campagna elettorale permanente rischia di paralizzare ogni scelta coraggiosa.