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IL PERSONAGGIO

L’Alba della carità, angelo dei poveri e dei clochard

Capelli bianchi, viso squadrato, espressione volitiva, ma soprattutto una tempra che viene da un’altra epoca. Alba Mignani Dossi, ex-insegnante di religione e maestra elementare è volontaria storica della Ronda della Carità di Milano, associazione che si occupa di dare soccorso e aiuto alle persone in difficoltà. 

Cronaca 04_05_2016
Distribuzione dei pasti da parte dei volontari della Ronda della Carità di Milano

Capelli bianchi, viso squadrato, espressione volitiva, ma soprattutto una tempra che viene da un’altra epoca. Alba Mignani Dossi, ex-insegnante di religione e maestra elementare è volontaria storica della Ronda della Carità di Milano, associazione che si occupa di dare soccorso e aiuto alle persone in difficoltà. «Dai più piccoli ho imparato che l’insegnamento deve diventare esperienza, vita, non astrazione. Perché se è solo teoria, rischia di essere poco fecondo, di non raggiungere il cuore. Forse per questo la mia fede è pragmatica e i miei modelli sono i Santi che si sono battuti sulle strade e che hanno condiviso con gli ultimi sofferenze e sogni», dice Alba. 

«Amo in modo particolare San Francesco, il suo coraggio. Sul Vangelo c’è scritto che bisogna dare da mangiare agli affamati, vestire chi non ha abiti e una sera, lo ricordo ancora precisamente, passeggiavo intorno a stazione Garibaldi e dopo aver visto alcuni clochard che trascinavano le loro cose sciupate e maleodoranti mi sono chiesta: “Alba, cosa hai davvero capito del Vangelo? Che valore ha andare a Messa e pregare se poi di fronte a queste persone ti giri dall’altra parte inghiottita dall’indifferenza? Sono seguite giornate di ripensamento e proprio in quel periodo ho conosciuto Magda Baietta, fondatrice e attuale presidente della Ronda e ho cominciato a fare qualcosa per queste persone, senza star troppo a pensare. Alcune sere dopo ho caricato sulla mia auto un paio di zaini carichi di panini e sono tornata in quella stazione e ho cominciato a distribuirli. Era il 1998». 

Alba Mignani Dossi, classe 1931, cinque figli, quattordici nipoti, da allora non ha più smesso questa attività di aiuto e ascolto degli ultimi annientati da malattie, solitudine, paura. «Allora non c’era ancora la crisi e Milano, la sera, scintillava di luci, specialmente il sabato. Magda e io sceglievano la penombra delle sale d’aspetto a Garibaldi, i sottopassaggi, i vani d’ingresso delle toelette ossia tutti quei luoghi dove di notte si annida l’umanità che nessuno vuol vedere. Non potevo fare diversamente, l’attrazione verso questo mondo “altro” è stata più forte». 

«Sono rimasta vedova, senza lavoro, a 37 anni, il più piccolo dei miei figli aveva solo tre anni. Dopo la morte di mio marito ho insegnato religione e poi ho ripreso in mano il mio diploma magistrale e mi sono messa a studiare per dare il concorso a scuola. Il maggiore dei miei ragazzi aveva 11 anni e studiare in quel caos di voci, giochi, lavoro domestico no-stop è stato davvero difficile. Ancor più duro è stato far studiare e laureare tutti e cinque con il solo stipendio da insegnante! Conosco il dolore, so cosa vuol dire avere difficoltà a mettere insieme il pranzo con la cena. Vedere persone affamate, abbandonate, sole mi rattrista, ma nello stesso tempo mi spinge a fare qualcosa per portare sollievo, speranza». Perché, come diceva l’Abbé Pierre non si può essere felici quando gli altri, vicino a noi, soffrono. 

«Alla stazione, di notte, credo di aver compreso meglio il significato della parola ascoltare che come dice papa Francesco non è mai facile perché comporta fatica, perché significa prestare attenzione, avere desiderio di comprendere, di dare valore, di custodire la parola altrui. Nell’ascolto si verifica una sorta di sacrificio di sé. L’ascolto ci consente di uscire dalla tranquilla condizione di spettatori, di utenti, di consumatori. Ascoltare non è qualcosa di passivo, ma significa essere capaci di condividere domande e dubbi, di percorrere un cammino fianco a fianco mettendo le proprie capacità al servizio degli altri. 

«Uno dei capitoli della vita di San Francesco che più amo di più è quella in cui si racconta l’incontro fra lui e il lebbroso, ho sempre guardato quel brano come un modello, un’esortazione a vincere il fastidio e il senso di repulsione che possono dare, in certi momenti, le persone ai margini. All’inizio l’ho provato anch’io: non è facile offrire un panino toccando una mano sudicia, fermarsi a chiacchierare con chi da tempo non ha più regole igieniche e di convenienza sociale».

Alba ha vinto le resistenze perché davanti a ogni senzatetto vedeva sua madre, uno dei suoi figli, se stessa. Sì perché ciascuno di noi può arrivare a quel traguardo “negativo”. «Fino a pochi anni fa sono stata volontaria “sulla strada”, ma da tre anni da quando ho subito un intervento all’anca sono stanziale nella sede Ronda di via Picozzi dove attivo corsi di italiano per gli stranieri». Ora ha un gruppo-classe di primo livello composto da ragazzi del Bangladesh, dell’Afghanistan, del Nord Africa. Ma tende a seguire un metodo di insegnamento individualizzato perché ogni ragazzo ha ritmi propri di apprendimento e non ha mai creduto molto al programma che tutti devono seguire e rispettare. Il lavoro di insegnante qui fra gli stranieri però non le ha impedito di perseverare nel suo impegno pratico: continua a preparare panini, pietanze, marmellate, cesti di frutta che la sera vengono portati in strada da altri volontari più giovani. 

Ora i collaboratori della Ronda non si muovono più come ai suoi tempi con le auto personali, ma con un’unità mobile, non si limitano a dare coperte e pasti, ma lavorano con più incisività: dopo aver agganciato la persona ne valutano i bisogni e si attivano per mettere in campo percorsi di recupero. E ad Alba tocca il compito di accogliere chi ha bisogno, ma anche di dare regole, senso di casa e stabilità. 

Accanto all’insegnamento e alla cucina si occupa di riciclare stoffe, lana e dell’organizzazione dei corsi di musica, informatica, inglese, teatro, matematica che vengono proposti ai ragazzi ospiti della Ronda per favorire il loro inserimento. «Sono molto importanti queste attività sia per proporre percorsi di crescita personale sia per attivare itinerari di riqualificazione». Quella di Alba è una spiritualità del fare, dell’aiutare, del darsi senza risparmio di sé. Ma è anche una spiritualità dell’essere presenti. «Sia se piove, sia se c’è bel tempo io sono qui: questa è una frase che amo ripetere ai ragazzi ospiti». 

«Ricordiamolo: loro i poveri non hanno niente di sicuro e io cerco di essere sempre presente per dare loro sicurezza, almeno quella affettiva». Alla sua età è davvero eccezionale questa disponibilità, ma lei non vuole essere definita generosa e altruista. Commenta così il suo impegno: «Direi che c’è anche una componente egoistica nella mia dedizione agli altri: quando i miei figli si sono sposati e mia mamma è morta ho avvertito forte il bisogno di famiglia. E qui alla Ronda l’ho soddisfatto! In secondo luogo cerco di mettere a frutto i talenti che ho, d’altronde il Vangelo dice di non nascondere sotto terra le nostre capacità, i doni che Dio ci ha dato. Questo non significa essere dolci e accomodanti, anzi, a volte, vuol dire andare in collera, sgridare, indicare nuove strade. Perché il tutto facile non è sinonimo di amore».