La sepoltura di Cristo – Il testo del video
San Tommaso dà tre ragioni di convenienza della sepoltura di Cristo, che è il prototipo della nostra: morendo in Lui, risorgeremo alla gloria. Perché la sua sepoltura fu onorifica e perché sono importanti i dettagli del giardino e del sepolcro nuovo (e altrui).

Affrontiamo oggi la quæstio 51 della III parte della Summa. Il tema che andiamo a trattare è quello della sepoltura di Cristo. Stiamo passando in rassegna i misteri della vita del Signore: abbiamo dedicato sei lezioni alla passione, una alla morte e, ora, una alla sepoltura. La prossima volta vedremo il grande capitolo della discesa agli inferi. Ricordo che stiamo commentando il Credo, dove professiamo che Gesù Cristo «patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto».
L’art. 1 della quæstio 51 affronta ancora una volta la questione della convenienza, cioè se fosse conveniente che Cristo venisse sepolto. Andiamo a indagare in tutta umiltà, sulla scia di san Tommaso – nella luce della fede e di quella sapienza che ha illuminato questo grande santo facendo sì che la sua teologia fosse poi profondamente accolta e presa come punto di riferimento per la Chiesa cattolica e in particolare per la Chiesa latina –, le ragioni per cui nel progetto di Dio era appunto conveniente, sapiente, espressione di un disegno di grande sapienza che Cristo venisse sepolto.
San Tommaso dà tre ragioni di convenienza della sepoltura di Cristo: «Primo, per dimostrare la realtà della sua morte, perché nessuno viene deposto nel sepolcro se non quando se n’è constatata la morte» (III, q. 51, a. 1). È un tema apologetico, potremmo dire, perché ci sono alcune correnti, anche nell’islam, che non accettano che Cristo possa essere realmente morto perché, anche nell’ottica islamica, Cristo era un profeta e dunque, ai loro occhi, non era conveniente che Cristo subisse questa morte.
Invece la fede cristiana, sulla base chiaramente delle testimonianze evangeliche e della tradizione della Chiesa, attesta non solo la morte del Signore ma anche la sua sepoltura. E come dice giustamente san Tommaso, la sepoltura è la conferma definitiva della morte. Lo sperimentiamo anche noi quando assistiamo ai riti funebri: il momento della sepoltura di una persona è in qualche modo il sigillo della morte di un corpo destinato alla terra. Dunque, il primo motivo della sepoltura è che non vi fossero dubbi relativamente alla morte di Cristo. Perché non dovevano esserci dubbi relativamente alla morte di Cristo? Perché colui che è risorto è realmente morto, altrimenti la sua risurrezione sarebbe solo apparente.
Vediamo la seconda ragione: «Poiché la risurrezione di Cristo dal sepolcro dà la speranza di risorgere per mezzo suo a coloro che giacciono nei sepolcri, secondo le parole evangeliche: “Tutti coloro che sono nella tomba udranno la voce del Figlio di Dio, e quelli che l’avranno ascoltata vivranno”» (ibidem). Qui ritorna il grande tema dell’unione tra il corpo e il capo, tra il capo e le membra. È un tema che stiamo enfatizzando da qualche Ora di dottrina, perché è il cuore per comprendere il senso della redenzione. E Tommaso ci dice che la risurrezione di Cristo è la speranza della risurrezione della carne di tutti coloro che giacciono nei sepolcri. Detto in altro modo, secondo il senso forte della parola speranza, in Cristo noi abbiamo la certezza che anche coloro che muoiono in Lui risorgeranno.
A ben vedere, tutti i corpi risorgeranno, ma con una distinzione: taluni per unirsi con le loro anime alla condanna eterna; altri, cioè coloro che sono morti in Cristo, per unirsi alle loro anime e ridondare in qualche modo della beatitudine di cui già godono le loro stesse anime, in modo che tutto l’uomo – anima e corpo – entri nella gloria del Regno.
Dunque, la risurrezione di Cristo è la grande speranza. Noi sappiamo che quando il nostro corpo mortale verrà sepolto, allora verrà sepolto, possiamo dire, per com’è vissuto: se è morto in Cristo, viene sepolto in Cristo, e in Cristo risorgerà per la gloria. Noi spesso dimentichiamo questa realtà, che è una realtà straordinaria: in tutto il panorama della storia delle religioni è una notizia inaudita. E ahimè, nonostante essa faccia parte dei punti forti della nostra fede, spesso noi non sappiamo cosa farcene; talora nei nostri ambienti abbiamo un po’ l’idea che il corpo è destinato alla terra e ci si chiede se poi c’è qualcosa… ma la nostra fede ci insegna, e non solo a parole, che il nostro capo, Cristo, è realmente risorto dai morti per non morire più.
La risurrezione di Cristo non è un semplice tornare alla vita, perché anche Lazzaro è tornato alla vita: Lazzaro, fratello di Marta e Maria di Betania, è stato risuscitato dal Signore ma è poi dovuto morire nuovamente. Quello che accade al Signore non è “solo” un ritornare alla vita, ma il fatto che il suo corpo entra nella dimensione della gloria: un corpo glorioso, un corpo eterno che non perirà mai più, che non dovrà mai più affrontare la morte.
Terza ragione di convenienza della sepoltura di Cristo: «Per essere il prototipo di coloro che per la morte di Cristo muoiono al peccato, cioè di coloro che sono nascosti e lontani dalla “rissa degli uomini”, da cui le parole di san Paolo: “Voi siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio”. Per cui anche i battezzati che con la morte di Cristo sono morti al peccato sono consepolti con Cristo attraverso l’immersione nell’acqua, secondo le parole dell’Apostolo: “Per mezzo del Battesimo siamo stati sepolti assieme a lui nella morte”» (ibidem). Qui abbiamo una bellissima teologia del battesimo, anche questa un po’ dimenticata. Non è la prima delle cose che ci vengono in mente, quando pensiamo al battesimo, che esso ci immerge nella sepoltura di Cristo. Nel battesimo noi siamo sepolti.
Una certa modalità di comprendere il cristianesimo ci porta subito alla fine della storia – “e vissero felici e contenti” – tralasciando la parte intermedia. È vero che con il battesimo rinasciamo a vita nuova; e tuttavia il battesimo, come spiega san Tommaso citando due testi importanti delle epistole di san Paolo, ci immerge in Cristo, in qualche modo ci rende sepolti con lui. Cosa vuol dire sepolti? Che sepoltura è quella che vediamo nel battesimo? Non è certamente la sepoltura della morte corporale: è la sepoltura della morte al peccato. Noi viviamo precisamente perché siamo morti al peccato. Tra la vita e la morte, su questo piano, c’è incompatibilità. E dunque la sepoltura di Cristo, ci dice san Tommaso, è il prototipo della nostra sepoltura: come Cristo è stato sepolto nella morte per risorgere alla gloria, così noi, non solo per la risurrezione della carne ma anche per la nostra vita cristiana, veniamo sepolti; la nostra natura mortale e corrotta, segnata dal peccato originale, viene sepolta con Cristo e rinasce una vita nuova. Vedete la densità di questo art. 1.
Anche l’art. 2 è particolarmente interessante e anche stavolta san Tommaso si fa una domanda sulla convenienza, ma in questo caso non della sepoltura di Cristo in generale, bensì di alcuni dettagli di questa sepoltura. Questo metodo lo abbiamo già ritrovato diverse volte: nei diversi misteri della vita di Cristo, san Tommaso prima si interroga sulla convenienza di un dato mistero (il Battesimo, la Trasfigurazione, eccetera) e poi anche sulla convenienza dei suoi dettagli. È una esegesi bellissima del testo sacro, che dimostra che la teologia medievale era una teologia fortemente ancorata al testo biblico ed erede della tradizione dei Padri, che sono stati i maestri di questo approccio alle Scritture.
Così ci dice Tommaso: «Le circostanze della sepoltura di Cristo risultano convenienti» (III, q. 51, a. 2). E dà una serie di ragioni. Ma a noi interessa andare direttamente a questi dettagli, non senza però aver affrontato le obiezioni che san Tommaso si pone. Nella prima obiezione, san Tommaso ragiona sul fatto che il seppellimento del Signore «doveva corrispondere alla sua morte; ora, Cristo subì una morte sommamente ignominiosa (…). Quindi non fu giusto che a lui venne data una sepoltura onorifica» (III, q. 51, a. 2, arg. 1). Cioè, in sostanza si domanda: perché nella sapienza divina si è scelta una morte ignominiosa per il Signore Gesù e, invece, una sepoltura onorifica? Pensiamo al sepolcro nuovo, di proprietà di Giuseppe d’Arimatea, al telo, la Sindone di una certa fattezza sacerdotale, agli unguenti, eccetera: dunque non fu una sepoltura misera e sicuramente c’è una sorta di contrasto tra la morte e la sepoltura di Cristo.
San Tommaso ci dà un principio importantissimo che è una chiave di lettura proprio per comprendere il senso della vita del Signore e della sua persona. E ci dice così: «Nella morte di Cristo vanno ammirate la pazienza e la costanza di colui che la subiva. E tanto più quanto più la morte fu ignominiosa. Nella sepoltura onorifica invece viene considerata la potenza di colui che muore, il quale contro l’intenzione dei crocifissori viene sepolto con onore anche dopo la morte e viene prefigurata la devozione dei fedeli che avrebbero servito il Cristo morto» (III, q. 51, a. 2, ad 1).
Ci soffermiamo sulla prima parte. Nella morte ignominiosa del Signore noi abbiamo davanti agli occhi soprattutto l’umanità del Signore, l’umanità nella sua “miseria”, cioè il fatto che Egli ha dovuto subire degli oltraggi, degli scherni, delle ferite, delle percosse. Abbiamo davanti a noi l’umanità nelle sue virtù piene: la pazienza e in particolare la costanza, ci dice san Tommaso. Ma attenzione: la modalità della sepoltura ci dice un’altra cosa, cioè chi è colui che ha patito in quel modo, perché se ci fermassimo all’apparenza della sua morte potremmo commuoverci di fronte al mistero dell’umanità e fermarci lì. Uno potrebbe dire: “meglio che niente”, ma il dogma della fede non ci parla solo dell’umanità di Cristo, ci parla invece della sua divino-umanità. E nella sepoltura, nei suoi segni, emergono gli elementi che indicano, che svelano la potenza di colui che muore, come ci dice san Tommaso: la regalità, il sacerdozio, la grandezza di colui che era morto in modo ignominioso. Se ci fossimo fermati alla croce, forse non avremmo visto una grande differenza tra questo Crocifisso e gli altri due, dal punto di vista esterno. Nella sepoltura e in alcune sue modalità, iniziano ad emergere alcuni elementi che ci mettono sull’attenti: colui che è morto come un assassino, uno schiavo, un servo, non era in realtà un assassino, uno schiavo, un servo, secondo le nostre concezioni umane. E vedremo poi in particolare questo contrasto nell’articolo successivo.
Adesso andiamo a vedere come san Tommaso spiega alcuni dettagli della sepoltura del Signore. Il primo dettaglio importantissimo riguardo alla sepoltura del Signore è che viene sepolto in un giardino. È san Giovanni a darci questo dettaglio (cf. Gv 19, 41). Ora, san Tommaso, sulla scorta dei Padri, trattando un aspetto che è stato approfondito da studi anche recenti e molto belli, ci dice che «Cristo fu sepolto in un giardino per indicare che dalla sua morte e sepoltura siamo liberati dalla morte incorsa per il peccato di Adamo commesso nel giardino del Paradiso terrestre» (III, q. 51, a. 2, ad 4). Questa espressione “giardino” ha immediatamente fatto alzare le antenne ai Padri in ragione di quel parallelo di contrasto tra Adamo e Cristo, tra il primo Adamo e il nuovo Adamo. Noi troviamo che la storia dell’umanità nasce in un giardino, nel giardino dell’Eden, e da quel giardino noi sappiamo che i nostri progenitori sono stati cacciati finendo in una terra che produceva triboli e spine. Ora, qui abbiamo un nuovo giardino, in cui viene seminato il seme dell’immortalità e dell’incorruttibilità. Ricordiamo un altro passo del Vangelo di san Giovanni: «Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Gv 12, 24). Questo chicco di grano che cade in terra, che viene seminato sulla terra è proprio il corpo del Signore che viene sepolto nel giardino, a indicare il seme, l’inizio di una nuova umanità che in Lui non eviterà la morte corporale ma la supererà, la vincerà. Adamo, per come era stato creato da Dio, non doveva conoscere la morte: la morte è entrata nel mondo a causa del peccato. Nella redenzione del nuovo Adamo, nel nuovo giardino, noi non abbiamo che la morte è stata evitata ma che è stata vinta: e verrà vinta da tutti coloro che saranno trovati in Cristo nella loro vita e nel momento della loro morte.
Ancora, san Tommaso ci dice che questo sepolcro non era un sepolcro proprio, di Cristo, ma era un sepolcro di altri, che altri avevano messo a disposizione. E sulla scorta di sant’Agostino, san Tommaso ci dice che Cristo «era morto per la salvezza altrui», non per la propria salvezza. Dunque, in qualche modo questa salvezza doveva passare agli altri per i quali Cristo è morto. Ancora, altri commentatori ci dicono che è il segno della sua povertà: il Figlio dell’uomo – che non aveva dove posare il proprio capo, come aveva detto il Signore stesso (cf. Mt 8, 20) – non aveva nemmeno dove posare il proprio corpo, a insegnarci in qualche modo la povertà intesa come l’abbandono completo alla Provvidenza divina, in vita e in morte.
Ancora, il sepolcro è un sepolcro nuovo. Questa è una sottolineatura importante degli evangelisti, che non è passata inosservata ai Padri. Perché è un sepolcro nuovo? Anzitutto perché il sepolcro nuovo, il sepolcro vergine, cioè dove nessun altro è stato deposto, dove nessun cadavere è entrato, dove nessuno ha occupato il suo spazio, richiama un altro grembo, che è quello della Vergine. Dunque, vedete il parallelo tra la nascita e la morte, un parallelo che viene espresso significativamente anche in molte icone bizantine; spesso si vede il Bambino Gesù, avvolto in fasce, come se fosse un morto, a indicare l’unione tra questi due misteri: come Cristo nasce alla vita terrena per mezzo di un grembo verginale, quello della Vergine Maria, così nasce alla vita immortale in un sepolcro nuovo, un sepolcro nel quale nessuno è stato ancora posto. Questo riferimento al “nuovo” è molto importante nelle Sacre Scritture. Pensate a quanti Salmi dicono «cantate al Signore un canto nuovo». C’è questa novità di vita, questa novità che nasce da un’incessante purificazione del cuore dell’uomo, che è proprio la condizione perché Cristo possa realizzare i suoi misteri nella vita dell’uomo, nella vita dei suoi figli.
Dunque, vedete che abbiamo dei dettagli – il giardino, il sepolcro nuovo – che ci danno realmente una ricchezza straordinaria, una comprensione del mistero e del suo contenuto teologico.
Infine, commentiamo l’art. 3, dove san Tommaso si domanda se il corpo del Signore posto nel sepolcro abbia subito la corruzione, quindi se si sia ridotto in polvere. E così risponde san Tommaso: «Non era conveniente che il corpo di Cristo andasse in putrefazione o che comunque si riducesse in cenere. (…) Perciò Cristo, affinché la sua morte non fosse attribuita all’infermità della natura, non volle che il suo corpo fosse soggetto in qualche modo alla putrefazione e alla dissoluzione, ma per mostrare la virtù divina volle che restasse incorrotto» (III, q. 51, a. 3).
Facciamo un passo indietro: abbiamo detto che c’è una diversità tra la morte e la sepoltura del Signore: la morte ignominiosa, la sepoltura onorifica. Qui abbiamo una dissonanza ancora più forte. Perché? Perché mentre tutti i morti conoscono la corruzione del corpo, che va in putrefazione e poi diventa polvere, non fu così per il corpo di Cristo. Uno potrebbe chiedersi: perché questa diversità? Perché il Signore, che ha assunto la nostra morte, non ha voluto assumere anche la nostra putrefazione? San Tommaso inizia a darci una “spia”: non volle questo, cioè la putrefazione, «per mostrare la virtù divina». La morte indica la vera umanità e anche la sepoltura la indica; ma l’incorruttibilità del corpo di Cristo indica inequivocabilmente la potenza divina.
E nella risposta alla prima obiezione san Tommaso ribadisce: «Se il suo corpo si fosse assoggettato alla putrefazione o al dissolvimento, ciò avrebbe piuttosto danneggiato l’umana salvezza perché non si sarebbe creduto che in lui ci fosse la potenza di Dio» (III, q. 51, a. 3, ad 1). Il punto è importantissimo perché da un po’ di tempo a questa parte abbiamo una lettura dei Vangeli eccessivamente umana, potremmo dire, eccessivamente intenta a ricercare la somiglianza di Cristo con noi; ma attenzione: questo dato esiste, ma esiste anche l’altro, c’è anche una forte dissomiglianza, perché Cristo è comunque il Figlio di Dio. E dunque nei misteri della sua vita, da un lato, si deve vedere la reale umanità, la debolezza anche della sua carne; ma dall’altra parte si deve “toccare” in questo corpo – che pure è un corpo umano, vero – la potenza della sua divinità. La verità della non corruzione, della non putrefazione, del non dissolvimento del corpo del Signore è l’elemento che ci indica quella divinità. E in particolare ci ricorda l’unione ipostatica che permane anche dopo la morte: anche allora il corpo del Signore è continuato a rimanere ipostaticamente unito alla divinità, che l’ha preservato dalla corruzione. Dio ha scelto di non essere preservato dalla morte per salvarci attraverso la sua morte e perché non avessimo dubbi sulla sua reale umanità, sulla sua reale morte; ma ha scelto anche di porre un limite alla morte e di vincere la morte tramite il segno della non corruzione del suo corpo.
C’è un altro brano importante che Tommaso trae stavolta da un testo di san Giovanni Crisostomo, che dice: «Per gli altri uomini che compivano grandi cose, le gesta arrisero mentre erano vivi: ma morti loro, perirono con essi. In Cristo invece avvenne tutto il contrario: prima della croce tutto in lui è mesto e debole; ma dopo che fu crocifisso tutto divenne splendido, perché tu riconosca che non fu crocifisso un puro uomo». Allora, se è vero che già nella vita di Cristo abbiamo molti aspetti che ci fanno capire che lì non c’era un puro uomo – pensiamo ai miracoli, compresi i miracoli più straordinari, come quelli di risurrezione –, è altresì vero che la potenza della sua divinità la conosciamo dopo la sua morte, dopo la sua crocifissione «perché tu riconosca – come dice il Crisostomo – che non fu crocifisso un puro uomo».
I segni, i barlumi della divinità che il Signore aveva sparso nella sua vita e in particolare nei tre anni della sua vita pubblica per confermare la fede dei discepoli e per mostrare i segni della sua realtà messianica, con la sua passione e crocifissione sembrano svaniti. Nella passione e morte del Signore, l’iniquità, il male, il dolore, la morte sembrano aver vinto definitivamente. Potremmo dire che la sepoltura del Signore, la pietra che chiude il sepolcro era in qualche modo il sigillo della sconfitta. Ma è proprio lì che appare invece il segno più grandioso del fatto che Egli non era un puro uomo: era veramente uomo, altrimenti non avrebbe patito e non sarebbe morto, ma non era un puro uomo, perché altrimenti non sarebbe risorto e il suo corpo non sarebbe rimasto incorrotto.
Dunque, è importante, ogni volta che ci accostiamo al mistero di Cristo, non perdere mai di vista queste due polarità della sua persona: la sua natura umana e quella divina: quella umana ci invita alla confidenza, ci è esempio di virtù, ci chiama alla compassione, ci dà il senso dell’accondiscendenza divina; la sua natura divina, invece, deve sempre suscitare in noi il senso della sua divinità, della riverenza, dell’adorazione, del timore del Signore, nel senso più bello di questo termine. Perdere di vista uno di questi aspetti, oltre ad essere un’eresia, porta anche ad una falsa pietà. Questo è un aspetto decisivo del nostro rapporto con il Signore. Ne abbiamo parlato anche a proposito del mistero del Natale: non dobbiamo pensare solo all’aspetto umano di Gesù Cristo perché altrimenti amputiamo il mistero; se Cristo fosse solo un uomo, chiaramente la nostra fede sarebbe vana, perché una fede riposta in un uomo si chiama idolatria. E l’idolatria è, se vogliamo, l’atto più stupido che l’uomo possa fare perché, come ci ricorda il profeta Geremia, «maledetto l’uomo che confida nell’uomo» (Ger 17, 5).
Dunque, la fede cattolica tiene insieme la divinità e l’umanità del Signore e confessa che quella persona unica è la persona del Verbo divino. Ecco perché, per esempio, quelle manifestazioni nel culto che scadono in un’errata familiarità con Cristo, che dimenticano la maestà della sua divinità, che dimenticano dunque l’adorazione filiale, affettuosa, ma appunto adorazione, in fondo sono un’eresia pratica che porta prima o poi anche ad un’eresia formale.
La prossima volta inizieremo il capitolo che riguarda il grande mistero della discesa di Cristo agli inferi.
La sepoltura di Cristo
San Tommaso dà tre ragioni di convenienza della sepoltura di Cristo, che è il prototipo della nostra: morendo in Lui, risorgeremo alla gloria. Perché la sua sepoltura fu onorifica e perché sono importanti i dettagli del giardino e del sepolcro nuovo (e altrui).
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