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SANTI DA LEGGERE / 9

La Madonna protagonista della nostra letteratura: un filo che attraversa i secoli

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La centralità della Madonna nella nostra tradizione culturale. Una vastissima produzione artistica e letteraria ha consacrato, nel corso dei secoli, la bellezza di Maria, Madre di Dio.

Cultura 09_12_2025
Madonna di Monteluce

Lo scrittore Giuseppe Antonio Borgese (1882-1952), nel saggio Il senso della letteratura italiana del 1931, osservava con lucidità: «Il tema più essenziale della letteratura italiana, finché essa si è mantenuta sui vertici, è quello del Giudice divino e della Vergine. [...] La letteratura e l’arte italiana sorsero da un ceppo religioso e di esso continuarono a nutrirsi. Protagonista fu il Pantocrator, il Cristo vincente della Divina Commedia e del Giudizio universale. Eroina fu la Paneghia, la tutta santa, la tutta pura, la Vergine amata, la beata beatrix».

Parole che restituiscono con forza la centralità della Madonna nella nostra tradizione culturale. Una vastissima produzione artistica e letteraria ha infatti consacrato, nel corso dei secoli, la bellezza di Maria, Madre di Dio. Non si può raccontarla se non attraverso alcune delle opere che hanno costellato il panorama letterario: dallo Stabat Mater dolorosa di Iacopone da Todi al Vergine madre, figlia del tuo figlio di Dante, dal Vergine bella che di sol vestita di Petrarca agli Inni sacri di Manzoni e all’Appressamento della morte di Leopardi.

Il dolore di Maria nello Stabat Mater

Attribuito a Iacopone da Todi (1230-1306) e musicato da artisti come Giovanni Battista Pergolesi (1710-1736) e Antonín Dvořák (1841-1904), lo Stabat Mater rappresenta la Vergine Maria nella sua umanità, nel dramma di madre sofferente ai piedi della croce, «afflitta e addolorata» per «le pene del suo figlio ripiegato». Madre e figlio sono i due poli su cui Iacopone insiste continuamente, e in essi si riflette anche il rapporto di Maria con noi.

Il laudese si rivolge direttamente alla Madonna con parole che vibrano di dolore e amore: «Fa’ ch'io provi il tuo dolore,/ fammi con te piangere./ Il mio cuore sia fervente/ verso Cristo sofferente,/ Salvatore amabile./ Siano impresse nel mio cuore/ le ferite del Signore/sul duro patibolo».

Il poeta chiede di poter condividere la pena della crocifissione di Cristo finché sarà in vita, e allo stesso tempo desidera un giorno gioire con Lei nel Paradiso: «Quando un dì dovrò morire/ possa, Cristo, a Te venire,/ per Tua Madre amabile./ E, se il corpo avrà la morte,/ giunga l'anima alle porte/ dell'eterna patria».

Donna de Paradiso: la tragedia della Passione

Accanto allo Stabat Mater, la più conosciuta tra le laude drammatiche di Iacopone è la Donna de Paradiso, che vede come protagonisti la Madonna, san Giovanni Evangelista, un messaggero e il popolo. Nelle trentatré strofe – numero che richiama simbolicamente gli anni di Cristo – vengono ripercorsi i momenti salienti della Passione. Esattamente al centro della lauda, tra la sedicesima e la diciottesima strofa, si colloca la descrizione della crocifissione, cuore pulsante del dramma.

Oggi, la rappresentazione della Passione di Cristo in Donna de Paradiso può apparire quasi insopportabile per la sua crudezza. Il mondo contemporaneo sembra accettare più facilmente l’idea di un Dio lontano, oppure di un Dio presente in mezzo a noi ma non pienamente sofferente. Un Dio disincarnato ci rende meno responsabili della croce che gli abbiamo inflitto e degli atteggiamenti che continuiamo ad assumere; ci rende meno consapevoli della croce che siamo chiamati a portare sull’esempio di Gesù. La drammaticità e il pathos raggiungono vertici tali da essere con fatica tollerati dallo sguardo umano.

Eppure, uno dei maggiori meriti di questa lauda è proprio quello di aver presentato Cristo come vero uomo, che ha sofferto fino in fondo l’ignominia dell’ingratitudine e il dolore della croce. L’umanità di Gesù rifulge ancor più nella sofferenza della madre, che assiste con indicibile strazio al suo calvario e che, con voce spezzata, esclama: «Voglio teco morire,/ non me voglio partire/ fin che mo ’n m’esc’ el fiato./ C’una aiàn sepultura,/ figlio de mamma scura,/ trovarse en afrantura/ mat’e figlio affocato». La voce della Madonna diventa qui grido di dolore universale, che travolge il lettore e lo costringe a guardare senza veli la tragedia della Passione. È la madre che piange il figlio, ma è anche l’umanità intera che prende coscienza della propria colpa e della propria responsabilità di fronte alla croce.

L’inno di San Bernardo: l’umiltà che diventa grandezza

L’ultimo canto del Paradiso si apre con la preghiera Vergine madre, figlia del tuo figlio, recitata da San Bernardo, preludio alla visione di Dio. È una delle più belle invocazioni mai rivolte alla Madonna, tanto da essere entrata anche nella liturgia.

La preghiera, lunga trentanove versi, si struttura in due parti: la prima (vv. 1-21) è un elogio di Maria, la seconda (vv. 22-39) una supplica affinché Dante possa conservare sani i suoi sensi dopo aver visto Dio.

Nella prima parte, San Bernardo apostrofa la Madonna con tre antitesi che racchiudono misteri incomprensibili: vergine e madre, figlia del suo stesso figlio, umile e al tempo stesso più alta di tutte le creature. Tre paradossi che sintetizzano la verginità feconda, il miracolo di una creatura che diventa madre del suo stesso Creatore, la grandezza che nasce dall’umiltà.

Maria ha reso nobile la natura umana, tanto che Dio non ha disdegnato di farsi uomo. Nel grembo della Vergine si è riacceso l’amore tra Dio e l’uomo: la maternità di Maria ha permesso l’incarnazione e la redenzione. Con la morte e la resurrezione di Cristo è germinata la Candida Rosa, dimora dei santi. La santità, amore verso Cristo che porta a seguirlo e imitarlo, è possibile da quando Dio si è incarnato.

Maria, corredentrice e madre universale

La Madonna ha collaborato alla redenzione del mondo, ed è per questo considerata corredentrice. In grazia dei suoi futuri meriti, Dio l’ha preservata dal peccato: Maria è la sine labe concepta, l’Immacolata concezione, ricettacolo di misericordia, pietà e carità.

È fiaccola d’amore in Paradiso e fontana di speranza per gli uomini. Va in soccorso non soltanto a chi la supplica, ma anche a chi la dimentica. Dante stesso sperimenta questa benevolenza: all’inizio del viaggio non pensa a pregare Maria, eppure Lei aveva già mobilitato Lucia, che aveva chiesto aiuto a Beatrice, la quale aveva inviato Virgilio. La Madonna, che racchiude in sé misericordia, pietà e magnificenza, è presentata da Dante in tutta la sua umanità di madre: mamma di Gesù, ma anche madre nostra.

Proseguiremo il viaggio con Petrarca, Manzoni, Leopardi e sentiremo anche la voce del poeta francese Charles Péguy: altre voci che hanno cantato la bellezza e la misericordia della Vergine, ciascuna con il proprio stile e sensibilità, ma tutte unite da un medesimo afflato di fede e poesia.