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LA VERA CRISI ECONOMICA

La guerra delle banche centrali contro il risparmio

Il risparmio, giuridicamente protetto anche dalla Costituzione, viene costantemente eroso dalla politica delle banche centrali. Emettendo sempre più moneta per incentivare prestiti a famiglie e imprese, questa politica porta solo a "tassare" chi risparmia.

Economia 23_04_2021
iper-inflazione

Nell’articolo 47 della Costituzione italiana, con cui si chiude il Titolo III dedicato ai “Rapporti economici”, si legge che «la Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme». Il risparmio, cioè il reddito sottratto ai consumi, è la base su cui si fondano gli investimenti; gli investimenti fanno salire la produttività del lavoro, consentendo una crescita in termini reali, cioè di potere d’acquisto, di salari e stipendi. Il risparmio, quindi, è alla base del benessere, e per questo motivo va tutelato e incentivato. È, insomma, una componente del bene comune della società.

Il piccolo risparmiatore tradizionalmente tende a investire la maggior parte dei propri risparmi in strumenti obbligazionari governativi a basso rischio, mantenendo una parte residua in liquidità per far fronte a eventuali imprevisti. E qui casca l’asino. Sì, perché le politiche monetarie ultra-espansive delle Banche centrali degli ultimi due lustri hanno progressivamente azzerato i rendimenti dei titoli obbligazionari, sancendo così la fine della redditività di tale investimento. Per di più, le banche commerciali dei 19 Paesi appartenenti all’Eurosistema che depositano presso la Banca centrale europea delle riserve “in eccesso” devono pagare alla Bce un tasso di interesse dello 0,50%. Dall’ottobre 2019 si considera “in eccesso” solo la parte di deposito che supera di 6 volte la quota di riserva obbligatoria mentre prima si considerava tutta la parte che eccedeva la quota di riserva. Nelle intenzioni della Bce, la remunerazione negativa dei depositi dovrebbe spingere la banche commerciali ad aumentare i prestiti a famiglie e imprese, ma non sempre ci sono le condizioni economiche e patrimoniali per farlo. Ecco allora che le banche commerciali sono tentate di “trasferire” tali rendimenti negativi sui depositi bancari dei propri clienti, laddove possibile. Molti correntisti si saranno accorti che i tassi positivi sui propri conti, dopo avere galleggiato per anni appena sopra allo zero (mentre le spese di tenuta conto sono magari salite), hanno iniziato in alcuni casi a scendere addirittura in territorio negativo, sancendo così la fine della rimuneratività anche delle giacenze liquide, che diventano ora un costo per il correntista.

Le politiche monetarie ultra-espansive e gli obiettivi inflazionistici perseguono il fine dichiarato di stimolare gli investimenti e la ripresa economica; in realtà sono principalmente orientate alla stabilizzazione del sistema finanziario, i cui gravi squilibri (un eccessivo indebitamento, pubblico e privato) sono tenuti sotto controllo dai rendimenti artificialmente repressi, i quali però sono una delle cause dell’eccessivo indebitamento, ieri come oggi. Un meccanismo perverso che si autoalimenta da molti anni, ben prima del Covid-19, e che richiede dosi crescenti di “droga monetaria” per stare in piedi, fino al controsenso di “tassare” di fatto il risparmio, di far pagare chi concede un prestito con l’imposizione di “rendimenti reali negativi”, beffando così la formica a beneficio della cicala: dove la formica è tendenzialmente il piccolo e medio risparmiatore, mentre la cicala sono i grandi gruppi industriali e finanziari e gli Stati sovrani, pesantemente indebitati. Una sorta di anti-Robin Hood, un’usura al contrario, che sfocia nel “socialismo finanziario” delle Banche centrali: con buona pace di chi si è fidato dell’art. 47 della Costituzione.

Il risparmio che, secondo il dettato costituzionale, andrebbe salvaguardato in tutte le sue forme, compresa la difesa del valore della moneta contro l’inflazione, viene così sacrificato, nell’indifferenza generale, sull’altare dell’ingegneria finanziaria delle Banche centrali, divenute ostaggio delle proprie politiche monetarie, e degli ambiziosi piani di investimenti pubblici a debito (i debiti pubblici, anche i debiti “buoni”, funzionali alla crescita, di cui parla il presidente Mario Draghi, sono comunque tasse future che graveranno sui contribuenti), senza che nessuno tra i media finanziari mainstream sollevi critiche o riserve. Le ragioni profonde e strutturali della crisi economica e finanziaria dei Paesi sviluppati – a cui si è aggiunta l’emergenza Covid-19, che non ne costituisce però la causa ultima – rimangono il suicidio demografico e l’invadenza statalista: di ciò neppure si parla. Si continua, invece, a rinviare i problemi al futuro aumentando l’intensità di quelle stesse politiche che sono all’origine degli squilibri finanziari: l’unico “vaccino” contro la crisi sembra essere quello di battere moneta e di indebitarsi, senza mettere in conto gli effetti avversi. Neppure Keynes si sarebbe spinto a tanto.  

La mancata remunerazione del risparmio non è solo un danno per il singolo risparmiatore, ingiustamente defraudato, ma va anche a erodere la base degli investimenti e l’accumulazione di capitale a livello aggregato, fornendo nel contempo segnali distorti agli operatori economici e finanziari: il denaro a costo nullo può spingere infatti a investimenti azzardati, sia lato economia reale (i cosiddetti malinvestment di cui parla la Scuola austriaca di economia) sia lato mercati finanziari, con spreco di risorse e rischio di crescite a bolla seguite da rovinosi tracolli.

La più grande sfida per i risparmiatori, negli anni a venire, sarà quindi la preservazione del potere d’acquisto per i propri risparmi: come proteggerli dal rischio inflazione – un rischio crescente viste le politiche monetarie e fiscali fortemente espansive – se gli investimenti obbligazionari comportano rischi crescenti senza rendere più nulla e se la stessa liquidità diviene un costo? Investendo sui mercati azionari? Ma questi sono in bolla, gonfiati dai fiumi di liquidità immessi nei circuiti finanziari dalle Banche centrali, e si rischia di rimanere col cerino in mano. Investendo su obbligazioni a lunga scadenza, emesse da debitori con basso standing creditizio o in valute esotiche, pur di portare a casa delle cedole decorose? Ma così facendo si assumerebbero dei rischi molto alti, che non riflettono certamente il profilo e gli obiettivi di investimento dell’italiano medio.

Nel New Normal dei rendimenti reali negativi, che cosa dovrebbe fare il povero risparmiatore orfano dei BOT che ha ingenuamente commesso il peccato capitale di “risparmiare”, per tutelare la libertà e l’autonomia personale e della propria famiglia? La risposta, se c’è, non è facile: di questo, però, parleremo la prossima volta.