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medio oriente

La Corte dell'Aja gela Israele: «Fermare l'offensiva a Rafah»

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«Israele deve fermare l'offensiva a Rafah e aprire il valico tra l'Egitto e la Striscia per far entrare gli aiuti». Il verdetto della Corte internazionale di giustizia è stato accolto da Israele con freddezza e rabbia. «Volete chiederci di non esistere più». Hamas soddisfatto della decisione. 

Esteri 25_05_2024

«Israele deve fermare l'offensiva a Rafah e aprire il valico tra l'Egitto e la Striscia, in modo da consentire alle organizzazioni umanitarie di far entrare, senza ostacoli, tutti gli aiuti indispensabili per la sopravvivenza del popolo palestinese». Ma non solo, la Corte dell’Aja ordina ad Hamas il rilascio incondizionato e immediato di tutti gli ostaggi ancora detenuti a Gaza. È questa, in sintesi, la sentenza emessa dai giudici della Corte Internazionale di Giustizia. Il verdetto è arrivato ieri, in seguito ad una richiesta, presentata dal Sudafrica ai quindici giudici internazionali, di intimare ad Israele di «ritirarsi totalmente e incondizionatamente» dalla Striscia di Gaza, e in particolare dalla città meridionale di Rafah, dove si è rifugiato più di un milione di palestinesi. 

«In conformità con queste indicazioni, sotto la convenzione del genocidio, Israele deve immediatamente fermare la sua offensiva militare e ogni altra azione nel governatorato di Rafah, che potrebbe infliggere sui palestinesi di Gaza condizioni di vita che potrebbero portare alla loro distruzione fisica, del tutto o in parte», ha affermato il presidente della Corte, Nawaf Salam, aggiungendo poi che la Corte ha espresso una profonda preoccupazione per la sorte degli ostaggi israeliani, trovando particolarmente preoccupante che molti di essi siano ancora prigionieri.

Se il Sudafrica ha espresso soddisfazione per la sentenza, nei palazzi di Tel Aviv il verdetto è stato accolto con molta freddezza e rabbia, e su richiesta specifica dei giornalisti, il portavoce del governo israeliano, Avi Hyman, ha dichiarato: «Nessun potere sulla terra impedirà a Israele di proteggere i suoi cittadini e di attaccare Hamas a Gaza». Mentre Bezalel Smotrich, ministro delle Finanze, ha commentato in questi termini: «Chiunque chieda di cessare la guerra contro Hamas sta chiedendo ad Israele di non esistere più». Hamas, da parte sua, ha accolto positivamente la decisione della Corte dell'Aja, anche se su Telegram ha affermato che non è abbastanza, facendo appello alla fine dell'offensiva in tutta la Striscia di Gaza.

Nel gennaio scorso, la Corte si era già espressa su un’altra causa intentata sempre da Pretoria contro Tel Aviv e aveva ordinato a Israele di attuare misure immediate per impedire genocidi e consentire l’ingresso degli aiuti umanitari nella Striscia. Israele, dal canto suo, nega fermamente le accuse di genocidio, affermando di fare il possibile per proteggere la popolazione civile durante le operazioni militari. È la terza volta che la Corte dell’Aja tiene udienza sulla guerra a Gaza, da quando, a dicembre, sempre il Sudafrica accusò Israele di genocidio.

Poco dopo la pronuncia della sentenza di ieri, nel sud della Striscia, carri armati e soldati appoggiati dagli aerei da guerra israeliani hanno effettuato nuove azioni nel centro di Rafah provocando, ancora una volta, morte e distruzione. La situazione umanitaria è sempre più grave. Alice Jill Edwards, relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla tortura, ha affermato di aver ricevuto segnalazioni da parte di detenuti originari da Gaza e detenuti in strutture israeliane, di essere stati picchiati, tenuti in celle bendati e ammanettati per lunghi periodi di tempo. La rappresentante Onu ha invitato Israele a indagare sulle veridicità o meno delle accuse. Secondo il Ministero della Sanità di Gaza, controllato da Hamas, dall’inizio della guerra almeno 35.800 abitanti della Striscia sono stati uccisi, mentre i feriti sono 80.000.

Sono trascorsi oltre duecento giorni da quel tragico 7 ottobre dello scorso anno, e da più parti, ci si chiede come sia potuto accadere che i miliziani di Hamas varcassero i confini di Israele provocando una strage tra gli abitanti di quei luoghi. Se lo è chiesto anche Benny Gantz, ministro del Gabinetto di guerra: «In questo momento non basta più assumersi la responsabilità di quanto accaduto. Dobbiamo assumerci la responsabilità di agire affinché ciò non accada mai più», ha detto Gantz, insistendo sul fatto che «l’unico modo per farlo è attraverso una commissione d’inchiesta governativa da istituirsi il prima possibile».

Ma è ormai certo che l'orrendo attacco dei miliziani di Hamas che provocò la morte di 1200 persone e il rapimento di 250, non è stata una sorpresa né per i servizi segreti di Israele, né tanto meno per il governo guidato da Benjamin Netanyahu. Ne sono una dimostrazione le chat tra il capo dell'intelligence israeliana e lo stesso Netanyahu, rese note in questi giorni.

I servizi segreti, infatti, avrebbero avvertito il premier dell’intenzione di Hamas di effettuare un attacco terroristico tra il mese di marzo e di luglio dello scorso anno. Lo avrebbero informato attraverso quattro segnalazioni, in cui mettevano in evidenza che le divisioni politiche e sociali all'interno di Israele avrebbero favorito delle azioni inconsuete da parte "dei nemici di Israele".

Nonostante le chat, l'ufficio del primo ministro, giovedì scorso, ha negato che questi messaggi contenessero degli avvertimenti di minaccia e di attacchi imminenti da parte di Hamas. «Non solo non vi è alcun avvertimento in nessuno dei documenti sulle intenzioni di Hamas di attaccare Israele da Gaza, ma in realtà contengono valutazioni completamente opposte», si legge in una dichiarazione di Netanyahu, che così prosegue: «Le due menzioni di Hamas nei quattro documenti affermano che Hamas non vuole attaccare Israele da Gaza ed è propenso a un accordo. Nella prima menzione del 19 marzo 2023 è scritto che la strategia di Hamas è di "mantenere la zona di Gaza"».  

Il 29 ottobre 2023, dopo aver rilasciato una dichiarazione congiunta con il ministro senza portafoglio Benny Gantz e il ministro della Difesa Yoav Gallant, il primo ministro scrisse un post su X (ex Twitter): «Contrariamente alle false affermazioni: in nessuna circostanza e in nessun momento il primo ministro Netanyahu è stato avvertito delle intenzioni di guerra di Hamas». Post però, immediatamente cancellato. 

È certo, invece, che il capo della divisione di ricerca dell'intelligence militare avesse personalmente avvertito Netanyahu, con due lettere separate, che la crisi sociopolitica del paese, causata dal tentativo del suo governo di rivedere il sistema giudiziario, stesse incoraggiando l'Iran, Hezbollah e Hamas a rischiare un'azione contro il paese, anche contemporaneamente. Aharon Haliva, il generale al comando della direzione dell'intelligence militare israeliana, il 7 ottobre, infatti, si dimise per il fallimento dell'esercito nel prevenire l'attacco compiuto da Hamas, sottolineando, quel giorno, che quei tragici eventi rappresentavano «un fallimento dell'intelligence militare».