Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Giovanni della Croce a cura di Ermes Dovico
LA STORIA DI DARIA

«Io, dall’abisso dell’aborto alla vita nuova in Dio»

«Non c’è nessun peccato e nessun male che non venga perdonato se l’uomo si pente. E veramente il Signore, dal male più grande, sa trarre il bene più grande. Io vedo questo nella mia vita…». Daria, trentottenne, racconta alla Nuova BQ il baratro in cui era sprofondata dopo aver abortito a 20 anni e da cui è venuta fuori grazie alla sua conversione e a un ritiro con la Vigna di Rachele. E oggi dice: «Questo bambino mi protegge e mi guida dal Cielo»

Vita e bioetica 30_06_2019

«Non c’è nessun peccato e nessun male che non venga perdonato se l’uomo si pente. E veramente il Signore, dal male più grande, sa trarre il bene più grande. Io vedo questo nella mia vita, vivendo sempre nell’attesa di incontrare un giorno questo figlio, e spero di incontrarlo andando direttamente in Paradiso». Le parole che Daria, oggi 38 anni, ci dice al telefono sono le parole di chi, dopo aver abortito, ha visto sprofondare la sua vita in un baratro di dolore misto a disperazione, salvo poi sperimentare concretamente cosa significhi essere abbracciata dalla Misericordia divina. La sua è una delle storie di rinascita favorita dai ritiri organizzati periodicamente dalla Vigna di Rachele, l’apostolato che aiuta sia le donne che gli uomini reduci dall’esperienza di un aborto volontario a riconciliarsi con Dio, con sé stessi e con gli altri, a partire dal bambino che non è stato accolto.

Daria aveva 20 anni quando, fidanzata, rimase incinta. «Non avevo voluto la gravidanza, però avevo deciso di tenere il bambino». Le pressioni dei familiari, unite al mancato appoggio del fidanzato, che «mi lasciò sola nella scelta», la convinsero ad abortire, anche se Daria spiega che «non mi piace neanche precisarlo perché sembra di voler scaricare la responsabilità, che rimane mia». Già allora, era il 2002, «soffrii tantissimo, andai in depressione per un anno e non fui curata. I miei genitori mi lasciarono un po’ a me stessa in quella situazione, non accettarono questa sofferenza perché secondo loro era un problema che si era risolto». Non così per lei, lacerata da quella ferita aperta e così profonda. Che un giorno, trascorsi circa 7-8 mesi dall’aborto, la spinse a cercare l’aiuto dei sacramenti: «Nonostante non fossi praticante, un giorno ebbi un moto interiore, forte, di correre in chiesa e mi andai a confessare in cattedrale. Quella fu già una grande grazia. Sentivo che avevo commesso un peccato, ero cosciente di aver ucciso un altro essere umano, mio figlio. Non ricordo la data esatta, ma ricordo che in questo grande dolore che vivevo ebbi questa ispirazione celeste di confessarmi».

A un anno dall’aborto, Daria e il suo fidanzato («andò in depressione anche lui perché mi vedeva stare male») si lasciarono e qualche mese più tardi la donna, corteggiata, si mise insieme a un altro ragazzo, «che era credente e mi fece avvicinare pian piano alla fede, alla Chiesa». È così che in seguito, nel 2008, Daria ebbe quella che chiama la sua conversione: «Sì, mi convertii allora, perché da ragazzina non avevo una fede matura. Lì era iniziata la mia prima rinascita interiore, andavo a Messa, sapevo che il Signore mi aveva già perdonato e sentivo veramente il Suo perdono, sentivo il Suo amore. La mia era stata una conversione molto forte, ero proprio una soldatessa di Cristo, mi sentivo tale». Con quel suo fidanzato, pur senza ancora fissare la data, erano iniziati i preparativi per il matrimonio, quando Daria decise di rivelargli l’aborto avuto anni prima e la dolorosa esperienza attraverso cui era passata. Alla fine, l’anno seguente, il 7° di fidanzamento, il giovane, intanto innamoratosi di un’altra, la lasciò, «penso anche sull’onda di ciò che gli avevo confessato». Per reazione, Daria si invaghì di un altro uomo, «ma non fui ricambiata e lì ebbi un crollo».

A nove anni di distanza, quel dolore viscerale, legato al suo bambino, riemerse. «Era il 2011 ed ebbi questa crisi fortissima che si manifestò come un disturbo psichiatrico e che due anni dopo mi diagnosticarono come un disturbo bipolare. Io sono convinta che fosse legato al trauma che avevo vissuto anni prima, perché effettivamente quando mi si scatenò io ricominciai a soffrire lo stesso dolore che avevo patito subito dopo l’aborto e a ripensare continuamente all’aborto». Ripiombata nel buio, Daria racconta che la fede l’aiutò a stare a galla, dandole «consolazione», ma la ferita era così grande che «non trovavo pace».

Arrivò dunque il 20 gennaio 2013, quando la donna lesse un articolo della Nuova Bussola in cui si parlava degli Stati Uniti e dei milioni di bambini abortiti a 40 anni di distanza dalla Roe contro Wade: in fondo all’articolo si faceva cenno alla Vigna di Rachele, sorta proprio negli Usa e già allora attiva in Italia, come missione di recupero spirituale. Daria si aggrappò a quel nome, trovò il sito Internet dedicato e scoprì che di lì a poco - a febbraio - si sarebbe tenuto un ritiro di tre giorni in quel di Bologna. E decise di parteciparvi. «In quel ritiro è iniziata la mia rinascita perché ho potuto sperimentare su me stessa, e poi vederla sugli altri, una grazia immensa. Rimasi colpita dal fatto che ci fosse misericordia per chi aveva abortito, cioè tanta attenzione verso chi aveva commesso un peccato così grande, il peggio che c’è, l’omicidio, tra l’altro di mio figlio… è vero che la Chiesa è sempre Madre, è sempre misericordiosa verso i suoi figli, ma lì per lì questa sensibilità mi sorprese. La cosa più bella che sperimentai subito fu quella di sentirmi veramente in una famiglia, con delle persone con cui non ci si era mai visti prima e ci si voleva profondamente bene, capivamo che dolore stavamo vivendo. Feci esperienza di una premura verso di me e di un amore che non mi sarei mai aspettata di meritare, tra momenti di condivisione e di espressione di quello che si prova. Ecco, quello che sentii fu proprio la presenza dello Spirito Santo».

L’ultimo giorno del ritiro, come di consueto, si tenne la funzione commemorativa dei bambini abortiti. E Daria riuscì a convincere i suoi genitori a prendervi parte, accanto a lei. «I miei non sono praticanti, quindi tra di noi c’è anche quella difficoltà di comprensione: pure dopo il ritiro io mi sentivo davvero entusiasta perché avevo avuto un miracolo di guarigione spirituale, ma loro continuavano a dirmi di non dare risalto alla cosa. Però, poi, in realtà anche loro hanno fatto un cammino, hanno capito il loro sbaglio, so che si sono anche confessati, e questo per me è stata una grande gioia». Non è stata l’unica, nel frattempo. Appena tre mesi dopo il ritiro, il 12 maggio 2013, Daria partecipò alla Marcia per la Vita, «cosa che non avrei mai fatto se non avessi trovato pace nel mio cuore. E io ci vedo veramente un segno della Provvidenza e dell’aiuto di questo bambino, che dal Cielo mi protegge e mi guida, ne sono sicura: in quell’occasione ho conosciuto colui che oggi è mio marito. Poi mi corteggiò, ci fu tutto un percorso travagliato e alla fine, nel dicembre 2017, ci siamo ritrovati per non perderci più».

Già nel 2014, Daria è diventata lei stessa una componente preziosissima dell’équipe della Vigna (una decina i ritiri a cui ha partecipato da allora; e anche al prossimo, il 12-14 luglio, è prevista la sua presenza), aiutando diverse altre persone, aperte al pentimento e all’azione della Grazia come lo è stata lei, a vivere quell’esperienza di misericordia che le ha cambiato la vita. E, intanto, della sua testimonianza hanno beneficiato anche i ragazzi di una scuola superiore della Toscana, che al racconto di Daria «rimasero molto toccati. Penso che la testimonianza di quello che ho vissuto abbia lasciato il segno, cioè non sono rimasti indifferenti, anzi. Una ragazza mi venne anche a dire: “Se dovessi rimanere incinta, so che non abortirò”».

Secondo Daria, quella che viene chiamata sindrome post aborto, con il carico di sofferenza che porta con sé, prima o poi affiora, anche se in modi diversi a seconda delle esperienze personali. «Mi ricordo che al ritiro a cui partecipai io c’era un’ex femminista, anche lei convertitasi, che del suo aborto mi diceva: “Guarda, in quel momento per me fu come andare a prendere un caffè, non ebbi nessun dubbio. Poi a distanza di anni ho trovato il Signore e adesso so cosa ho fatto”». È alla luce della sua esperienza e delle persone conosciute in questi anni che Daria può dire che «la legge di Dio è scritta nel nostro cuore, è scritta nel cuore di tutti gli uomini, sue creature, e quindi è inevitabile che prima o poi venga fuori questo dolore. Alla Vigna sono venute persone che portavano questo dolore da anni, da decenni, quindi ci sarebbe bisogno di tanto apostolato per questa realtà. Se chi cade nel peccato dell’aborto non trova una mano che lo aiuti a rialzarsi diventa tutto molto difficile, perché è un baratro, è un abisso in cui l’anima sprofonda. Se invece c’è una sensibilità come quella che ho trovato io, si può realmente sperare nella totale rinascita e nel Paradiso!».

A una persona che pensa di abortire, Daria direbbe che «l’aborto non risolve nessun problema ma anzi ne crea a milioni. Se purtroppo l’aborto c’è già stato, non bisogna perdere la speranza perché il Signore ci ama oltremisura e veramente, aprendosi al pentimento e chiedendo perdono, si può ritrovare la piena pace interiore e la gioia!».