Internet presenta il conto: in Italia non leggiamo più
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In Italia una persona su tre non è più in grado di leggere un libro o un testo lungo. Nel suo report l'Ocse ha sottolineato che l’Italia è uno dei Paesi più vulnerabili al ritorno dell’analfabetismo.

In Italia una persona su tre non è più in grado di leggere un libro o un testo lungo. Il recente Report OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) 2025 “Uno sguardo sull’educazione” infila il dito nella piaga e, da un lato conferma una tendenza già in atto da anni, dall’altro testimonia il rischio di un analfabetismo di ritorno.
In un mondo dominato dalla digitalizzazione, in cui la maggior parte delle interazioni avviene attraverso gli schermi dei dispositivi e delle piattaforme social, la capacità di leggere, comprendere e mantenere l’attenzione su testi articolati o semplicemente più lunghi sta via via sempre più scomparendo. Tutto ciò comporta che una notevole parte della popolazione italiana stia lentamente perdendo l’alfabetizzazione funzionale, ovvero quella capacità di saper utilizzare le proprie competenze linguistiche per orientarsi nella complessità del mondo contemporaneo.
L’atto di leggere non è un lusso o un hobby per soli intellettuali ma simboleggia uno strumento di libertà, di pensiero critico, di cittadinanza. La mancanza della lettura affievolisce la capacità di distinguere tra il vero e il falso, tra l’informazione e la manipolazione, indebolendo di conseguenza la stessa democrazia. Nonostante questo, oggi, sempre più persone, sia giovani che adulti, confessano di non riuscire a leggere più di una o due pagine senza distrarsi. Il formato dominante è ormai quello breve e superficiale; esempi ne sono lo status, il post, il titolo clickbait, il reel, il video breve da 15 secondi. Tutto ciò che richiede tempo, concentrazione e riflessione viene evitato; e questo ha un prezzo altissimo, non solo di tipo culturale ma anche sociale ed economico.
A giocare un ruolo decisivo in questo processo c’è, soprattutto, l’utilizzo eccessivo degli smartphone e dei social network. La costante connessione ha modificato profondamente il nostro rapporto con l'informazione. Ormai si tende a leggere per reagire piuttosto che per capire; non si approfondisce ma si scorre; non si riflette ma si commenta, spesso anche di impulso. Le notifiche interrompono ogni tentativo di concentrazione e il modo in cui sono strutturate le stesse piattaforme digitali è pensato per massimizzare il tempo di permanenza e la reazione immediata, invece che la comprensione profonda.
Infatti, diversi studi neuroscientifici hanno apertamente parlato di “cervello digitale”, in cui l’attenzione diventa intermittente, la memoria si affida al cloud e l’approfondimento viene sostituito dall’istantaneità.
La scuola, in questo contesto, dovrebbe rappresentare un valido alleato per ostacolare questa tendenza negativa. Infatti, è un luogo dove si insegna a leggere, ad analizzare, a resistere alla continua frenesia del mondo esterno. Tuttavia, il rapporto OCSE ha chiaramente sottolineato che la scuola italiana è in grave difficoltà. In primo luogo, a causa degli stipendi dei docenti della scuola primaria, i quali sono inferiori del 33% rispetto a quelli dei lavoratori a tempo pieno con laurea. E’ emerso che gli insegnanti italiani guadagnano il 17% in meno rispetto ai colleghi degli altri Paesi OCSE.
Ovviamente il problema non riguarda unicamente la scuola ma l’intera nazione. In un Paese in cui quasi il 60% della popolazione non legge neanche un libro all’anno, l’educazione alla lettura dovrebbe diventare una priorità nazionale. Tuttavia, invece che procedere in tale direzione, si tagliano i fondi, molte librerie vengono chiuse, si riduce il tempo scolastico dedicato alla lettura autonoma e si affidano i giovani ai tablet e alle piattaforme, senza nessuna guida.
È corretto digitalizzare la scuola e impiegare le nuove tecnologie, ma ciò non deve avvenire a discapito delle competenze di base. La lettura non può essere sostituita da un video educativo o da una sintesi generata da un algoritmo. Leggere è un atto complesso e fondamentale, in grado di formare il pensiero, la memoria e il linguaggio. Coloro che non leggono di conseguenza parlano, scrivono e pensano peggio.
L’OCSE, all’interno del Report, ha sottolineato che l’Italia è uno dei Paesi più vulnerabili al ritorno dell’analfabetismo. Non si tratta solamente di una mancanza di abilità tecniche. Il vero problema è molto più profondo: riguarda la perdita del piacere della lettura, della curiosità intellettuale, del desiderio di conoscere. Un Paese che non legge è un Paese che si appiattisce, che non innova e non evolve.
Non si può contrastare l’analfabetismo di ritorno solo attraverso campagne pubblicitarie o con iniziative periodiche. E’ necessaria una strategia a lungo termine, che coinvolga la scuola, le famiglie, i media, le istituzioni e il governo. Ciò che risulta essere fondamentale è un cambiamento culturale; sempre di più c’è bisogno di tornare a considerare la lettura come un valore, non come un’attività per pochi o un’abitudine del passato.