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In morte di ST, quando lo Stato odia la vita

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È morta di infarto ST, la 19enne inglese impegnata in una battaglia legale contro i medici che volevano darle la morte perché inguaribile. La sua vicenda però è esemplare per comprendere l'abisso in cui l'Occidente sta precipitando.

Editoriali 16_09_2023 English

«Sono impegnata in una corsa contro il tempo per fuggire da questo sistema e dalla morte certa che mi vuole imporre». Aveva detto così ST appena una settimana fa in una intervista al Daily Mail. Il 14 settembre però ST è morta: per infarto, dicono le cronache. Ma dietro una morte apparentemente naturale si nasconde un “omicidio di stato”, e di quelli più brutali.

Ricorderete la storia: ST è la ragazza britannica diciannovenne, affetta da una rarissima forma di malattia mitocondriale (la stessa di Charlie Gard), che da un anno lottava contro i medici dell’ospedale in cui era ricoverata che, non vedendo possibilità di cure, volevano toglierle immediatamente la vita. Pur in terapia intensiva, costretta alla dialisi e pur avendo subito una tracheotomia a causa di complicazioni provocate dal Covid, ST era perfettamente in grado di intendere e di volere. E voleva «vivere fino alla morte», come aveva detto, voleva anche provare una terapia sperimentale in uno dei tre ospedali tra Canada e Stati Uniti che si erano già detti pronti a ricoverarla. Ma i medici inglesi e i giudici glielo hanno impedito.

Ora si potrebbe dire che la sua morte ha messo fine al contenzioso, che la vicenda finisce in un nulla di fatto. Ma non è così, perché in realtà si è affermata la violenza del “sistema”, che stritola chiunque si opponga alla sua logica di morte: chi non è utile, chi non è desiderato, chi afferma la vita, deve essere eliminato.

Sapere di avere ormai i giorni segnati a causa della malattia non spegne la voglia di vivere, perché noi siamo fatti per la vita; e la vita è più grande della finitezza della nostra condizione umana. Non siamo oggetti o macchine che, finito di funzionare, siamo destinati alla discarica. I medici di ST hanno dimostrato di ridurre l’uomo a oggetto: non si può guarire, non si può riparare, va buttato. E di fronte alla reazione di ST e della sua famiglia, che non hanno accettato questa riduzione della persona umana, sono diventati violenti e ancora una volta i giudici sono scesi in campo al loro fianco: il “sistema”, appunto.

Anzitutto, pretendendo di essere pietosi – con una proposta di cure palliative per farla morire “tranquillamente” – hanno reso l’ultimo anno di vita di ST un inferno. L’hanno costretta a una battaglia legale per sfuggire alla mano di chi vedeva la sua vita ormai inutile; continuamente frustrata nella speranza di poter accedere a cure sperimentali; umiliata perché siccome non rinunciava alla speranza, dottori e giudici hanno deciso che non aveva «la capacità mentale di prendere decisioni sulla sua salute». E vista la decisione dei medici, che non hanno esitato a portare in tribunale la ragazza per la sua voglia di vivere, si possono avanzare anche molti dubbi sull’adeguatezza delle cure che in questo anno le sono state comunque somministrate.

Inoltre lo stesso inferno l’hanno passato anche i genitori che, oltre allo strazio per la condizione della figlia e allo scontro che hanno dovuto affrontare con i medici, si sono dovuti indebitare per pagare le spese legali (25mila sterline, circa 30mila euro) per difendere le ragioni della vita della figlia.

A questo si aggiunga la condanna all’anonimato perché il giudice ha vietato la diffusione del suo nome (ST è la sigla decisa dal tribunale per identificare il suo caso), e di quello dei suoi familiari, nonché dell’ospedale e del luogo in cui era ricoverata. Decisione che ha anche impedito alla famiglia di lanciare una campagna raccolta fondi (servivano 1,5 milioni di sterline) per trasportare ST con un aereo ambulanza in uno degli ospedali nordamericani per la terapia sperimentale.

Basterebbe già questo per inorridire davanti a tanta violenza da parte dello Stato contro i suoi cittadini più fragili. Ma c’è da aggiungere la questione più importante: con la morte di ST finisce la battaglia legale senza arrivare alla sua conclusione. Il che potrebbe far pensare che resti in sospeso il passaggio più inquietante e drammatico di questa vicenda, ovvero la possibilità che lo Stato ignori la volontà attuale di un cittadino sulla sua vita – volontà espressa in piena coscienza – per decidere che il suo “migliore interesse” è la morte.

Purtroppo non è affatto in sospeso, perché l’indirizzo del giudice è abbastanza chiaro per intuire come sarebbe finita. Il giudice ha oscurato il suo nome e impedito che ST andasse in Nord America e che raccogliesse i fondi necessari. E ancora il giudice poche settimane fa ha deciso che se una persona malata, anche in fase terminale, non vuole l’eutanasia, allora la sua volontà non è libera e quindi le viene affidato un tutore che deciderà al suo posto, per il suo “migliore interesse”. Ovvio come sarebbe andata a finire.

Questo passaggio verso la barbarie, verso uno Stato padrone dei suoi cittadini, uno Stato che ha potere di vita e di morte, deve fare paura. E la questione non riguarda soltanto il Regno Unito: sta accadendo ovunque nel mondo occidentale.

 



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