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La questione

Il salario minimo non è il salario giusto

Giusto rigettare il “salario minimo legale”, perché rappresenterebbe un intervento indebito dello Stato, contro il principio di sussidiarietà. E poi c’è da riscoprire l’insegnamento di Leone XIII sul “salario familiare”.

Dottrina sociale 17_07_2023

Si è già concluso, con una bocciatura da parte della maggioranza, il confronto sulla proposta delle opposizioni di un “salario minimo legale” eventualmente da fissarsi a 9 euro l’ora. Il professore Marco Ferraresi, docente di diritto del lavoro, ha chiarito molto bene la questione in un suo video-editoriale [vedilo QUI]. La proposta non convince ed è giusto rigettarla perché realizzerebbe un intervento indebito dello Stato in un campo che deve essere lasciato alle forze sociali, perché favorirebbe un abbassamento generale dei salari sentendosi gli imprenditori spinti ad allinearli al salario minimo inteso automaticamente come il salario giusto, e infine perché una definizione generalizzata e appiattita di salario minimo non terrebbe conto delle diversità dei luoghi né della diversa situazione produttiva e finanziaria delle imprese in cui i lavoratori sono occupati. Insomma, un intervento centralistico, astratto e dannoso. Meglio lasciare libero campo alla contrattazione responsabile, secondo il principio di sussidiarietà, e agire su altri fronti come, per esempio, la riduzione del cuneo fiscale.

A questa saggia valutazione vorrei aggiungere alcune considerazioni. Utilizzare il principio di sussidiarietà per lasciare (giustamente) il compito della determinazione del salario alla contrattazione tra le parti sociali, in pratica tra Confindustria e sindacati di categoria, non fa automaticamente di questa contrattazione la soluzione ottimale. I sindacati sono a loro volta dei centri di potere (politico) che spesso sovrappongono questa loro caratteristica a quella della rappresentanza dei veri bisogni dei lavoratori. Sul piano numerico la loro capacità di rappresentare i lavoratori è molto bassa, i loro legami con i partiti e i governi sono ancora molto stretti, ma soprattutto essi non esprimono la “soggettività della società civile”, ma spesso la soffocano. L’ideologia sociale che influenza sia i sindacati dei “padroni” che quelli dei “salariati” è in fondo la stessa, si tratta della visione liberale che contrappone capitale e lavoro. Date queste basi è ingenuo attendersi una contrattazione giusta.

Possiamo fare un esempio. Leone XIII, di cui quest’anno ricorrono i 120 anni dalla morte, diceva che il salario doveva essere un “salario familiare”, ossia tale da permettere al lavoratore (morigerato nei consumi, come egli diceva allora) il mantenimento della propria famiglia. Come tutti sappiamo, invece, ancora oggi il salario è individuale. Poiché l’ideologia sociale delle organizzazioni sindacali è anti-familiare, non è pensabile che dalla contrattazione sindacale emerga una qualche forma di salario familiare. Quella contrattazione continuerà a sfornare contratti commisurati al lavoratore come individuo. Ecco allora che non si soddisfano le esigenze della sussidiarietà solo col dire che non spetta allo Stato fissare un salario minimo ma spetta alle forze sociali, ma bisogna proseguire anche nel valutare le stesse forze sociali che oggi non operano secondo il principio di sussidiarietà. Questo principio è adatto ad una società organica, non ad una società di individui sommati l’uno con l’altro in associazioni universalistiche dipendenti dalla politica.

Per questo motivo, alla bocciatura del salario minimo legale, si dovrebbe aggiungere la proposta di incentivare la piccola impresa familiare, dentro la quale il problema del salario viene risolto dagli stessi componenti della famiglia, di dare vita a forme di partecipazione tra capitale e lavoro fuori del contesto della lotta di classe o di categoria, di ridurre la concentrazione industriale, finanziaria e anche sindacale e moltiplicare i luoghi in cui avviene una contrattazione organica. La questione del salario minimo, sollevata dalla sinistra in questo momento, ripropone quindi il problema dell’assetto complessivo della società e dell’economia. Su questo la Dottrina sociale della Chiesa ha molto da dire.