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SCENARI GLOBALI

Il ritorno della destra populista anti-élites

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La vittoria di Milei in Argentina e di Wilders in Olanda, la concreta possibilità di Trump di tornare alla Casa Bianca, smentiscono quanti dichiaravano finita la stagione dell'antiglobalismo. Segno che le società occidentali sono attraversate da insoddisfazione diffusa e acuta.

Editoriali 27_11_2023
Geerd Wilders

La vittoria di Javier Milei alle elezioni in Argentina e quella del Partito per la libertà di Geert Wilders in quelle olandesi hanno riportato alla ribalta nelle ultime settimane le destre anti-establishment: quelle che il mainstream politico e mediatico bolla in blocco, pur nelle loro sensibili differenze, come “populiste” ed “estreme” (far right), nel tentativo di delegittimarle facendole apparire pericolose.
Al quadro di una “riscossa” populista si aggiunge poi la sempre più concreta possibilità che Donald Trump vinca le primarie repubblicane, e forse anche le elezioni presidenziali del 2024. E in questi giorni l'impressione di un clima di crescente insofferenza e ribellione nelle società europee viene ulteriormente avvalorata da episodi come le sollevazioni popolari in reazione ad atti di violenza compiuti da immigrati, esplose a Grenoble e a Dublino.

Negli ultimi anni tra i commentatori politici occidentali era diventata un luogo comune l'affermazione che la stagione del populismo (o sovranismo, o più in generale antiglobalismo) era tramontata, dopo la fiammata degli anni Dieci che aveva visto i suoi momenti di maggiore impatto nella Brexit, nell'elezione di Donald Trump e in quella di Jair Bolsonaro. La rivolta contro le élites globali – avevano argomentato quei commentatori – ha perso slancio per il suo velleitarismo e le sue contraddizioni interne, orientando gli elettori verso scelte più moderate e prudenti, e favorendo nei settori di destra del quadro politico l'emergere di classi dirigenti più integrate nelle linee guida ideologiche del blocco europeista/internazionalista.

Il “richiamo all'ordine” dell'emergenzialismo pandemico e della crisi economica successiva, e poi la guerra russo-ucraina, con il ricompattamento altrettanto emergenzialistico dell'Occidente intorno all'amministrazione Biden, sembravano aver esercitato un'azione rilevante in tal senso, della quale in Italia la presa di distanza di Giorgia Meloni da atteggiamenti risalenti al suo passato sovranista, la sua fedeltà atlantista, la sua linea collaborativa con i vertici Ue apparivano una inequivocabile manifestazione.

Tuttavia, nonostante gli elementi nuovi sopra accennati, quella frattura profonda tra super-élites globaliste e ampi strati sociali frustrati, impauriti e resi ostili dalle dinamiche dominanti della globalizzazione non si è affatto ricomposta, ma anzi per certi versi si è addirittura ulteriormente allargata. Le conseguenze della ri-polarizzazione internazionale e delle mobilitazioni emergenzialiste ripetute hanno accentuato le tensioni sociali e culturali. La transizione energetica a tappe forzate imposta dall'alto, l'attacco esplicito delle classi dirigenti dell'Unione europea a capisaldi dell'economia e della stabilità sociale come l'agricoltura e la proprietà immobiliare, l'aumento enorme dei costi delle materie prime e l'inflazione, la perdurante percezione d'insicurezza legata alla gestione condiscendente dei fenomeni migratori e al relativismo culturale imperante hanno continuato a nutrire il sentimento di incomunicabilità tra classi politiche e società civile, e la ricerca da parte di quest'ultima di movimenti e leader in grado per quanto possibile di ribaltare gli equilibri di sistema.

Le frettolose liquidazioni come fenomeno passaggero di quella che è invece una situazione strutturale si sono rivelate in gran parte come wishful thinking dell'establishment politico-intellettuale-mediatico. E le prospettive di nuovi smottamenti verso destra a favore di attori politici estremamente critici verso i capisaldi del “pensiero unico” dei tradizionali gruppi politici progressisti e centristi (ambientalismo regressivo, immigrazionismo, agenda Lgbt+/gender contro la famiglia naturale, aumento delle spese militari per la politica di bellicismo a oltranza contro la Russia) si fanno molto concrete anche in altri paesi centrali dell'asse occidentale, come la Francia e la Germania.

D'altra parte, le insoddisfazioni diffuse e acute che gonfiano ancora le vele di populisti, sovranisti, anti-establishment di destra non sono di per sé in contraddizione con le strategie più articolate messe in atto da vari partiti e leader emersi durante la stagione inquieta degli anni Dieci, volte ad esercitare un'influenza maggiore sulle decisioni cruciali che toccano gli interessi della loro coalizione sociale di rifeirmento nelle sedi internazionali, a dividere i propri avversari, e ad attrarre verso sé i settori centristi e moderati, spaventati dall'emorragia di consensi, insieme ai segmenti di élites ai quali essi sono connessi.

Oltre alla già citata linea politica tenuta in Italia dalla Meloni con il tentativo di creare una destra “conservatrice” che abbia concretamente voce in capitolo in ambito Ue e nei rapporti con gli Stati Uniti, va segnalata in questo senso la direzione di marcia da tempo intrapresa da Marine Le Pen per avvalorarsi come credibile e affidabile erede della destra di tradizione gollista, e sfuggire alle prossime presidenziali alla trappola della delegittimazione che la penalizza regolarmente ai ballottaggi: una direzione ultimamente evidenziata dalla sua presa di posizione molto ferma contro l'antisemitismo e in difesa di Israele.
Così come va segnalata la crescente convergenza verso un nuovo modello di coalizione di centro-destra tra popolari e Vox in Spagna, e, con maggiore cautela, tra Cdu/Csu e Afd in Germania. Infine lo stesso Trump, per assicurarsi una posizione più solida in caso di un suo secondo mandato, mostra segni di un riposizionamento – forse attraverso la mediazione di Elon Musk - nei confronti degli apparati del deep state statunitense a lui frontalmente avversi in passato, e oggi desiderosi di sbarazzarsi dell'imbarazzante eventualità di una ricandidatura di Joe Biden,.

Gli equilibri politici in Occidente, insomma, sono in rapida evoluzione, e una disarticolazione sostanziale del blocco di potere progressista/globalista apapre oggi molto più realistica di due o tre anni fa. Soprattutto, i motivi di insoddisfazione e ostilità verso la classe politica che favorirono l'insorgenza populista/sovranista/antiglobalista più di un decennio fa sono ancora tutti presenti, e molti di essi si sono nel frattempo aggravati.



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