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GRANDI MANOVRE

Il Patto del Nazareno è rotto? Solo a parole

Dopo l'elezione del Presidente, Renzi ha ricompattato il Pd, assorbito i dissidenti grillini e Scelta Civica. Dunque sembra poter fare a meno del sostegno di Berlusconi. Ma è così? In Senato, il governo ha ancora bisogno dei voti del centrodestra. E le riforme di Renzi non si fanno con i massimalisti del Pd...

Politica 07_02_2015
Matteo Renzi

La campagna acquisti che il governo Renzi sta portando avanti da settimane e che per ora sta dando frutti copiosi, visto che gli ultimi nove fuoriusciti dal Movimento Cinque Stelle di fatto già gravitano nell’orbita della maggioranza e che ieri ben otto parlamentari di Scelta civica hanno deciso di confluire nel Pd, lascerebbe intendere che il premier abbia deciso di fare a meno di Berlusconi e del Patto del Nazareno, ritenendosi ormai autosufficiente.

I commenti dei più autorevoli opinionisti politici sembrano andare in tale direzione e profetizzano la totale dissoluzione del centrodestra, ormai ridotto a brandelli a causa della (presunta) delusione per l’elezione di Mattarella e del declino inesorabile del suo leader degli ultimi vent’anni. Le cose non stanno proprio così. Ha ragione chi ritiene che il centrodestra sia ormai una polveriera pronta ad esplodere, perché in effetti dentro Forza Italia la resa dei conti è appena agli inizi e il Nuovo Centrodestra rischia di fare la fine di Scelta civica, mentre Lega e Fratelli d’Italia pescano nella protesta ma senza nessuna vocazione maggioritaria. Non è vero, però, che l’accordo Renzi-Berlusconi sia al capolinea e che d’ora in poi il premier farà a meno dell’ex Cavaliere nella partita per le riforme.

Semplicemente è cambiata la strategia. Già in occasione dell’elezione del successore di Napolitano, Renzi ha intuito che solo ricompattando il suo partito non avrebbe corso il rischio di incappare nella stessa figuraccia che toccò due anni fa a Bersani, prima con la candidatura Marini poi con quella Prodi. L’unico modo per riportare il sereno tra i dem era quello di puntare, per il Colle, su un uomo gradito anche alle rissose minoranze interne, mettendo da parte, temporaneamente, l’asse con il leader del centrodestra. Sulla figura di Mattarella il premier è riuscito a far convergere financo Sel e altre forze parlamentari variamente collocate. Ora, però, Fassina, Civati, Bersani e altri oppositori interni sembrano intenzionati a presentare il conto al premier e a chiedergli modifiche all’Italicum e una maggiore collegialità nella definizione dei contenuti di altre riforme, come quella della giustizia.

Nonostante i nuovi parlamentari approdati alla corte di Palazzo Chigi, dagli ex grillini agli ex montiani, il governo non può dunque dormire sonni tranquilli al Senato, dove i numeri sono risicati. Mettere d’accordo le diverse anime del Pd sulla legge elettorale o su altri temi non è impresa facile, ed è per questo che Renzi punta ad allargare i confini della sua maggioranza. Senza Forza Italia, però, o almeno una parte di essa, il premier difficilmente potrà arrivare alla fine della legislatura. Alfano perderà presto altri pezzi e diventerà meno determinante, e i cosiddetti “responsabili”, chiamati a puntellare l’attuale esecutivo nelle votazioni cruciali in Parlamento, sembrano mossi da cinico poltronismo più che da una convinta adesione al programma. Paradossalmente, su legge elettorale, riforma del Senato, riforma della giustizia, così come già successo in parte sul Jobs Act, l’ex sindaco di Firenze è destinato a trovarsi d’accordo più con Berlusconi (o con alcuni dei suoi) che non con la sinistra ideologica che pure in questo momento appare tornata in sintonia con lui.

Ma è pur vero che dentro Forza Italia il termometro dello scontro sale e che sono in tanti a chiedere la testa di Denis Verdini, accusato di fare più gli interessi di Renzi che non quelli di Berlusconi. Con questi assetti organizzativi messi così tanto in discussione, il partito appare dunque in agonia. Ci vuole una scossa. I quaranta parlamentari fittiani, con le relative truppe sparse per l’Italia, si raduneranno sabato 21 per lanciare un’opa sul partito e presentare le ricette dei “ricostruttori” per il futuro dell’Italia. Nel cosiddetto “cerchio magico” si avverte un malessere lacerante, che potrebbe portare a una soluzione dettata ancora una volta da realpolitik e destinata a salvare capra e cavoli: Verdini esce dal partito (lo strappo viene fatto passare come una rottura, ma in realtà viene concordato con Berlusconi), porta con sé una pattuglia di parlamentari che costituiscono un gruppo autonomo di dissidenti e garantiscono un “paracadute” a Renzi votando compatti i suoi provvedimenti, soprattutto al Senato; Forza Italia si ristruttura come partito d’opposizione e cerca di rilanciarsi come polo attrattivo verso i moderati, anche per arginare l’avanzata leghista, che rischia di monopolizzare l’intera rappresentanza di centrodestra. Gli alfaniani in parte restano in Ncd, in parte tornano in Forza Italia, in parte confluiscono in gruppi di soccorso al premier. 

La geografia del centrodestra potrebbe, dunque, ridisegnarsi in questo modo, ma di qui a ipotizzare una rottura traumatica tra Renzi e Berlusconi ce ne vuole. L’uno ha bisogno dell’altro, anche se oggi può apparire che il primo sia invincibile e il secondo sia in caduta libera. La politica italiana ci ha abituato a repentini capovolgimenti di fronte. Chi vuole strafare e stravincere rischia di dissipare in breve tempo il potere che si trova a gestire. Non va mai dimenticata l’anomalia che il Paese sta vivendo in questa fase storica: un Parlamento dichiarato illegittimo dalla Corte Costituzionale sta varando riforme epocali per l’assetto istituzionale del Paese e sta modificando la Costituzione; un governo non eletto dal popolo ma creato attraverso manovre di palazzo e alchimie estranee alla politica pretende di fare incetta di incarichi e posti di potere e di cambiare in modo spesso autoritario il corso della storia del Paese. Da questo punto di vista, la democrazia in Italia sta scontando preoccupanti deficit, che la momentanea boccata d’ossigeno garantita all’economia dalle iniezioni di liquidità da parte della Bce, dal calo del prezzo del petrolio e dal cambio favorevole col dollaro faranno momentaneamente passare in secondo piano. Per la gioia di Renzi e dei suoi accoliti.