Il caso di don Pompei: qual è la volontà di Dio?
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La sospensione a divinis di don Leonardo Maria Pompei, prete con grande seguito sui social, è un altro caso doloroso di sacerdote che rifiuta la comunione gerarchica della Chiesa per approdare a un non meglio precisato "mondo della tradizione". Una scelta oggettivamente sbagliata.

Nella mattinata di giovedì 4 settembre, il vescovo della Diocesi di Latina-Terracina-Sezze-Priverno, Mons. Mariano Crociata, ha emanato un decreto che sospende il rev. Don Leonardo Maria Pompei, fino ad allora parroco di S. Maria Assunta in Cielo in Sermoneta, «da tutti gli atti della potestà di ordine, da tutti gli atti della potestà di governo e dall’esercizio di tutti i diritti o funzioni inerenti all’ufficio». Il decreto precisa inoltre che «qualunque atto di governo dovesse essere posto dal presbitero in parola è da ritenersi invalido. Al Rev. Don Leonardo Pompei è concessa la dispensa dall’obbligo di portare l’abito ecclesiastico ed è chiesto di non presentarsi pubblicamente come sacerdote».
La sospensione del sacerdote, noto per la sua diffusa presenza sul web e sui social network, è stata motivata dal fatto che don Pompei ha violato un precetto penale che il proprio vescovo gli aveva imposto il 2 settembre scorso, precetto «che imponeva e ordinava al presbitero, sotto pena di sospensione, di non convocare alcun incontro o assemblea parrocchiali con i fedeli della parrocchia di S. Maria Assunta in Cielo in Sermoneta, e di sospendere qualunque tipo di attività sui social media». L’azione del vescovo è stata motivata dal fatto che il sacerdote aveva comunicato la sua volontà di diffondere tramite una diretta web le ragioni che hanno motivato la sua scelta di esercitare d’ora in avanti il proprio ministero sottraendosi alla giurisdizione del proprio vescovo, per unirsi ad un non meglio definito “movimento tradizionalista cattolico”. La sera del 3 settembre, don Leonardo M. Pompei ha comunque tenuto l’annunciata diretta pubblica, esponendosi in tal modo alle sanzioni comminategli dall’Ordinario.
Sarebbe riduttivo e fuorviante pensare che mons. Crociata sia ricorso alla sospensione a divinis semplicemente perché don Pompei avrebbe disobbedito al suo ordine di sospendere ogni attività sui social. Crociata è l’Ordinario della diocesi di Latina dal 2013, e per oltre dieci anni non ha mai impedito al sacerdote in questione di esercitare il suo apostolato su internet. Il senso della sua decisione, in tutta la sua gravità, sta nel fatto che don Pompei aveva comunicato al vescovo la sua intenzione di dichiarare pubblicamente il suo atto che appare di natura scismatica. In una seconda diretta, trasmessa la sera del 5 settembre, il sacerdote ha infatti così riassunto il senso della sua comunicazione con il vescovo: «Eccellenza, io ho maturato la volontà di non continuare a esercitare il ministero dentro la comunione gerarchica con la Chiesa cattolica, per impossibilità oggettiva, e di unirmi al mondo della tradizione che esercita il sacerdozio cattolico di sempre, in circostanze del tutto eccezionali».
La dichiarazione, per quanto vaga e che dovrebbe essere precisata, lascia intravedere la dinamica sottesa ad ogni scisma: rifiuto della comunione gerarchica con la Chiesa cattolica e adesione ad una realtà, nel caso, un non meglio precisato “mondo della tradizione”, che ha la caratteristica di rifiutare a sua volta tale comunione gerarchica. Non si tratta pertanto di esprimere un dissenso riguardo a pochi o molti punti dell’attuale corso ecclesiale, e nemmeno di disubbidienza nei confronti degli ordini di un’autorità, ma di volersi porre deliberatamente al di fuori della comunione della legittima gerarchia della Chiesa cattolica. Atto che lascia supporre che i provvedimenti del vescovo non si fermeranno alla sospensione a divinis. Occorrerà comunque verificare con attenzione se vi siano gli elementi tipici di uno scisma, quale per esempio, il rifiuto di ricevere i sacramenti da e con i ministri della Chiesa, in comunione con il Papa.
Allo stato attuale, Don Pompei non può più esercitare legittimamente il suo ministero, né può più porre atti di governo validi. Ciò significa che tutti i sacramenti da lui celebrati sono illeciti, e nessun cattolico vi può assistere. Inoltre, è importante ricordare che egli non può assolvere validamente in confessione né assistere validamente ai matrimoni; per la validità di questi due sacramenti non è infatti sufficiente l’ordine sacro, ma occorre anche che l’Ordinario ne conferisca le facoltà.
La comprensione sincera per le enormi difficoltà che un prete cattolico deve oggi affrontare per continuare ad esercitare il proprio ministero in modo legittimo non può condurre all’approvazione di una scelta come quella di don Pompei, per il semplice fatto che non esiste circostanza eccezionale che legittimi una separazione di principio e di fatto dalla comunione con la legittima gerarchia della Chiesa cattolica. Non è in discussione la sincerità soggettiva della sua scelta, ma la bontà oggettiva. Rimanere nell’unità visibile della Chiesa cattolica, mediante i vincoli giuridici del diritto canonico, è volontà di Dio imprescindibile; nessun vero bene della Chiesa e delle anime può essere raggiunto al di fuori di questa volontà. Va da sé che vi sono state e vi possono purtroppo essere sanzioni canoniche ingiuste, dalle quali è legittimo e doveroso difendersi; ma la dichiarazione di don Pompei di volersi sottrarre alla gerarchia cattolica e di voler rendere nota la propria decisione pubblicamente ai fedeli giustifica sia il precetto penale che la sospensione a divinis; e probabilmente anche una futura scomunica.
Due riflessioni ulteriori si impongono, dopo l’ascolto dei due video dell’ex-parroco. Più volte don Pompei afferma essere volontà di Dio per lui “essere apostolo”, in particolare sul web. Egli non nasconde che, dopo il suo spostamento nella piccola parrocchia di Sermoneta (circa 700 anime), è stato letteralmente salvato da internet da una situazione in cui non aveva più nulla da fare, dal momento che i fedeli devoti erano sì e no una ventina. In cuor suo, egli ha avvertito che il Signore lo ha sempre chiamato ad una vita da apostolo, ossia ad una vita di predicazione, di ministero attivo. Non potendo più, a suo avviso, vivere in questo modo nella Chiesa attuale, almeno non senza “crepacuore”, egli ha deciso di rompere i vincoli con la gerarchia legittima. E tuttavia, domandiamo, la volontà di Dio non si manifesta anche in ciò che capita contro la nostra volontà e i nostri desideri? La volontà di Dio significata non si esprime anche negli ordini dei legittimi superiori, purché non espressamente contrari alla legge di Dio? Rimanere nella comunione gerarchica, nonostante tutte le defezioni della gerarchia, non è forse volontà di Dio esplicita, più certa dell’idea che noi abbiamo della nostra stessa presunta vocazione? E non è forse la più feconda via della croce, quella che ci capita contro noi stessi, contro ogni nostro più intimo e buon desiderio?
Seconda considerazione. Un piccolo chiarimento sul nebuloso “mondo della tradizione”, che don Pompei intende raggiungere, è doveroso. Si tratta di un mondo formato da un insieme di realtà e personaggi piuttosto diversi tra loro. Si va dalle realtà sedevacantiste “storiche”, in Italia rappresentate soprattutto dall’Istituto Mater Boni Consilii di Verrua Savoia, alla Fraternità Sacerdotale San Pio X, alla “resistenza”, venutasi a creare con la scissione del vescovo lefebvriano, ora defunto, Mons. Richard Williamson, fino alla recente rete di sacerdoti che si sono legati alla persona del vescovo condannato per scisma dalla Santa Sede, Mons. Carlo Maria Viganò. Secondo alcune indiscrezioni e secondo quanto sembra trasparire dai suoi video, don Pompei sembrerebbe rientrare in quest’ultima realtà, composta per lo più da sacerdoti generalmente sospesi dal loro ministero, non incardinati, o ordinati in modo illegittimo.
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