Ignazio Maloyan, martire e testimone del genocidio armeno
Ignazio Maloyan è santo martire armeno, assassinato dai turchi in odium fidei l'11 giugno 1915, nel giorno della Festa del Sacro Cuore. Fu testimone del genocidio armeno, troppo a lungo negato.

Fra i sette nuovi santi proclamati da Papa Leone XIV domenica 19 ottobre, c’è anche il martire armeno Ignazio Maloyan. Il premier armeno Nikol Pashinyan, benché ai ferri corti con la Chiesa nel suo paese (due vescovi arrestati, con l’accusa di golpismo, per le manifestazioni dell’anno scorso), era presente alla cerimonia. Ha definito la canonizzazione “un atto di giustizia” per gli armeni e che fa luce sulla loro drammatica storia. Il santo martire armeno è infatti un testimone d’eccezione del genocidio del 1915.
Choukrallah Maloyan nacque a Mardin, nell’Anatolia orientale, Impero Ottomano, il 15 aprile 1869. L’arcivescovo di Mardin, Melkon Nazarian notò la sua forte fede e lo inviò nel 1883 al convento di Bzommar in Libano (allora provincia ottomana), sede dell’Istituto del Clero Patriarcale armeno. Il giorno della solennità del Corpus Domini del 1896 fu ordinato sacerdote prendendo il nome di Ignazio.
Dopo un primo periodo ad Alessandria d’Egitto, nel 1910 veniva nominato Vicario patriarcale nella sua città natale, a Mardin. Ignazio Maloyan tornava a Mardin dopo 27 anni. Venne consacrato vescovo da San Pio X il 22 ottobre 1911, durante Sinodo nazionale della Chiesa armena. Molte cose erano cambiate in Turchia. Fra il 1894 e il 1896 gli armeni avevano subito una serie di sanguinose persecuzioni nella provincia di Diyarbekir, ad opera del sultano Abdul Hamid. Nel 1909, nel suo ultimo anno di regno, il sultano scatenò un’altra ondata di persecuzioni, questa volta nella provincia di Adana. Queste prime forme di genocidio, ancora non organizzate, avevano comunque causato 250mila morti, terrorizzando i sopravvissuti. I Giovani Turchi avevano preso il potere con un colpo di Stato nel 1908 e stavano riformando lo Stato secondo le linee del nazionalismo europeo. Nel 1911, mentre Maloyan si trovava a Roma, l’Italia era entrata in guerra con una Turchia ormai indebolita, per sottrarle la Libia.
Appena tre anni dopo, l’Impero Ottomano, suo malgrado, veniva trascinato dai tedeschi nella Grande Guerra. Tanto per cominciare, le forze ottomane rimediarono una sonora sconfitta nella battaglia di Sarikamish, contro i russi, nel Caucaso. Quindi proprio a ridosso delle regioni a maggioranza armena ci si preparava a un’invasione russa. Per i Giovani Turchi fu il pretesto giusto per sbarazzarsi del tutto della minoranza armena.
La Turchia, tuttora, nega la natura genocida dello sterminio e minimizza le cifre. Chi usa il termine di “genocidio” commette un reato secondo il codice penale turco. Eppure non solo i documenti (come gli ordini contenuti nel “telegramma Talaat” che i turchi tuttora considerano un falso storico), ma anche le modalità stesse indicano l’intenzione genocida: quella di eliminare del tutto un popolo. Prima vennero fucilati in massa gli armeni che prestavano servizio sotto le armi. Poi, eliminati i maschi abili alle armi, vennero deportati i più deboli: vecchi, donne, bambini. Ma non si trattava di deportazioni, bensì di massacri programmati. Nei lunghi percorsi, le colonne di armeni venivano infatti attaccate e massacrate, o dai turchi stessi, o da guerriglieri curdi, aizzati dagli ottomani anche dietro la promessa di saccheggiare le proprietà delle vittime. Nei luoghi di destinazione delle deportazioni, nei campi di concentramento allestiti nel deserto siriano, i prigionieri erano lasciati morire di fame e di stenti. Fra il 1915 e il 1916 ne morì più di un milione, la metà dell’intera popolazione armena in Turchia.
Il genocidio viene ricordato in Armenia nel giorno del Metz Yeghern (Grande Male) ogni 24 aprile. In realtà, lo sterminio era iniziato già in febbraio, ma il 24 aprile venne condotta, a Costantinopoli, una grande retata di polizia in cui furono arrestati tutti i capi politici, religiosi e gli intellettuali della comunità armena. Ignazio Maloyan, a Mardin, venne arrestato in questa fase del genocidio, il 30 aprile. Le autorità ottomane imbastirono anche una finta indagine, per produrre prove compromettenti (armi e documenti che dimostrassero un tradimento) che però non vennero mai trovate.
La natura del genocidio resta oggetto di dibattito anche per chi non ne nega l’esistenza storica. I Giovani Turchi erano laici, massoni e nazionalisti. Si ispiravano alla rinascita delle patrie europee, prendevano ad esempio il Risorgimento italiano (da cui il nome che rievoca la mazziniana Giovine Italia) volevano modernizzare la Turchia. Condividevano l’ideale di una nazione mono-etnica, libera da qualunque corpo estraneo. Di qui la tesi prevalente che il genocidio non sia stato contro i cristiani, ma contro gli armeni in quanto etnia. I motivi laici, oltre al nazionalismo e alla paura di una collaborazione con il nemico russo, si ritrovano, come spesso accade, nell’invidia: gli armeni, fra le minoranze turche, erano i più ricchi e intraprendenti, i più connessi con la comunità internazionale e cosmopoliti.
Ma i curdi e i turchi che sterminarono materialmente gli armeni furono motivati soprattutto dal furore religioso. Nel 1914, il sultano Maometto V aveva proclamato il jihad contro le potenze dell’Intesa. Il jihad era vissuto anche all’interno dell’Impero, come guerra santa contro le minoranze cristiane. Il martirio di Maloyan è la testimonianza di questo furore religioso. Al vescovo venne chiesto più volte di convertirsi all’islam in cambio della libertà. Venne anche torturato barbaramente perché si convertisse. Condannato ai lavori forzati, dopo dieci giorni di carcere duro, fu incolonnato assieme agli altri deportati, ma assassinato appena due giorni dopo la sua partenza da Mardin, l'11 giugno 1915, giorno della festa del Sacro Cuore. Prima di ucciderlo, gli aguzzini turchi gli proposero di nuovo di convertirsi per salvarsi. Venne ucciso in odium fidei, non perché semplicemente armeno, ma perché cristiano, dalla fede incrollabile, pronto al martirio.
La fede che eccelle, la Chiesa ha sette nuovi santi
Ieri Leone XIV ha canonizzato gli italiani Bartolo Longo, Maria Troncatti, Vincenza Maria Poloni, l’armeno Ignazio Maloyan, il papuano Peter To Rot e i venezuelani Carmen Rendiles Martínez e José G. Hernández. Tutti testimoni di fede «capaci di diffondere la luce di Cristo».