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L'ANNIVERSARIO

Ideologico e statalista: il solito 25 aprile dossettiano

Ideologia della Resistenza, costituzionalismo, statalismo: il modo in cui ancora oggi si festeggia in Italia il 25 aprile può essere definito “dossettiano”. I tanti errori che fece: non vide che il fascismo come male assoluto era la scusa per legittimare il comunismo nel nostro Paese tramite la retorica della “salute nazionale”. A farne le spese fu l’etica della politica, con i dossettiani che in Parlamento scelgono sistematicamente la fedeltà alle procedure istituzionali piuttosto che i principi della legge morale naturale e della fede cattolica.

Editoriali 25_04_2022

Il modo con cui ancora oggi si festeggia in Italia il 25 aprile 1945 può essere definito “dossettiano”. È questo una dei tanti lasciti di lungo termine che il pensiero e l’azione di Giuseppe Dossetti – politico e monaco – ha seminato nella società italiana. Dalla lotta al fascismo, dalla resistenza, dalla nuova repubblica, dalla Costituzione era emersa secondo lui la necessità epocale di una nuova democrazia compiuta, una democrazia popolare diversa, anzi opposta, alla democrazia liberale. Opposta anche a quella proposta da Pio XII nel radiomessaggio del ’44, e soprattutto opposta a quella di Alcide De Gasperi e di Luigi Gedda. Una democrazia compiuta in cui la presenza dei cattolici in politica fosse laica e addirittura invisibile.

A questo scopo, Dossetti pensava che l’apertura al Partito Comunista Italiano fosse strategicamente essenziale. Non solo e non tanto per distogliere i comunisti da Mosca, quanto per impegnarli in quella democrazia compiuta alternativa alla democrazia liberale che egli sognava. Dopo Franco Rodano e Felice Balbo, Dossetti puntò tutto su questa collaborazione con i comunisti. Durante i lavori della Costituente, nella Commissione sui doveri e i diritti, egli collaborò fianco a fianco e di buona intesa con Palmiro Togliatti. Si disse molto deluso di come De Gasperi e Gedda avevano impostato la campagna elettorale per le elezioni politiche del ’48, ossia come uno scontro frontale con le sinistre. Non condivise l’affossamento del governo tripartito DC-PCI-PSI da parte di De Gasperi per dare vita, dopo le elezioni, ad un monocolore democristiano con l’aggiunta di Einaudi e Merzagora, perché vedeva sfumare la sintesi politica nata dalla Resistenza. Non avrebbe voluto che l’Italia entrasse nella NATO, preferendo la neutralità.

Sul 25 aprile 1945 e le dinamiche politiche di quei tempi, Dossetti fonda tutti i punti principali della sua visione politica: democrazia anti-liberale, collaborazione con i comunisti, esaltazione della Costituzione – quando Matteo Renzi disse di aver giurato sulla Costituzione e non sul Vangelo si dimostrava dossettiano senza volerlo e forse anche senza saperlo – vista come un progetto rivoluzionario a valore assoluto da realizzare nel tempo, centralità dello Stato per realizzare dall’alto la rivoluzione democratica.

Era un progetto politico che richiedeva però anche una rivoluzione nella Chiesa cattolica. Ispirandosi a Maritain e alla sua “nuova cristianità”, ma superando poi anche Maritain, egli voleva andare otre una presenza cattolica legata in qualche modo alla religione per una piena laicità della separazione tra le due sfere. La presenza della Chiesa e dei cattolici doveva essere “monacale”, come egli dimostrò poi facendosi sacerdote nel 1959 e vivendo da monaco a Monte Sole e a Monteveglio. Un cattolicesimo puramente spirituale perché basta il Vangelo e un impegno politico completamente autonomo perché basta la Costituzione.

Dossetti fece numerosi errori di interpretazione dell’Italia nata dal 25 aprile 1945. Errori che il dossettismo dopo Dossetti ha ulteriormente sviluppato. Non vide, come invece vide molto chiaramente Del Noce, che il fascismo come male assoluto era la scusa per legittimare il comunismo nel nostro Paese tramite la retorica della “salute nazionale”. Non vide che l’inserimento del comunismo nella democrazia non lo migliorava ma lo peggiorava, perché ne sviluppava al massimo grado l’effetto secolarizzante. Non vide che il comunismo evoluto democraticamente non avrebbe contrastato ma favorito la democrazia liberale che egli combatteva. Non vide che la società secolare cui egli tendeva avrebbe minacciato la stessa democrazia, svuotandola di valori civici oltre che religiosi. Non vide che la sua esaltazione della Costituzione era ideologica e privava la stessa Costituzione dei suoi fondamenti naturali. Non vide che la democrazia compiuta avrebbe relativizzato la stessa Costituzione, sovvertendo il quadro dei diritti e dei doveri come dimostra l’attività della Corte costituzionale in tutti questi anni.

Giuseppe Dossetti lasciò la Democrazia Cristiana, dimettendosi nel 1951 dal Consiglio nazionale e nel 1952 da deputato. Poi fece la “scelta religiosa”, sacerdotale e monacale. Ma con ciò non lasciò la politica. Nel 1994 egli intervenne contro il “berlusconismo” con lo scritto “Sentinella, quanto resta della notte?”, confermando la linea di appoggio alla sinistra e il disprezzo per la democrazia liberale e dimostrando un fraintendimento dell’intera vicenda Mani Pulite. Nel 2002 Francesco Saverio Borrelli pronunciò proprio a Monteveglio il suo discorso con l’appello “Resistere! Resistere! Resistere!”. Romano Prodi è stato frutto del dossettismo, tramite Beniamino Andreatta. L’Ulivo fu benedetto dal monaco di Monteveglio.

Nel frattempo l’ideologia della Resistenza, il costituzionalismo, lo statalismo separavano sempre di più la politica da un lato e la religione dall’altro. A farne le spese fu anche l’etica della politica, con i dossettiani che in Parlamento scelgono sistematicamente la fedeltà alle procedure istituzionali piuttosto che i principi della legge morale naturale e della fede cattolica.