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NAPOLITANO

I nuovi senatori, una scelta faziosa

Ma era proprio necessario nominare quattro nuovi senatori a vita in un periodo di spending review e antipolitica ruggente? Il presidente ha compiuto questa scelta più per motivi politici che per altro. Per fortuna che era imparziale.

Editoriali 02_09_2013
Napolitano

All'indomani della dipartita di Giulio Andreotti ed Emilio Colombo,qualcuno evidenziò che ormai erano rimasti soltanto due senatori a vita (l'ex capo dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi e l'ex premier, Mario Monti) e che si sarebbe dovuto ripensare a quell'istituto, magari per cancellarlo, visto che aveva perso gran parte della sua intuizione originaria. Fu pensato dai Costituenti come "riserva della Repubblica", per far sì che personalità eccelse, in primis i capi di Stato a fine mandato, potessero continuare a dare nella Camera più prestigiosa un contributo di saggezza, un supplemento di riflessione nei momenti critici della vita dello Stato, mantenendo un profilo super partes e decisamente istituzionale. L'attuale Presidente della Repubblica evidentemente la pensa in modo diametralmente opposto, avendo deciso, alcuni giorni fa, di avvalersi dei poteri conferitigli dall'art.59 della Costituzione e di procedere alla nomina di ben quattro nuovi senatori a vita. Ciascun Capo dello Stato può nominarne cinque, anche se alcuni costituzionalisti ritengono che il tetto dei cinque debba riferirsi a quelli complessivamente in carica e non a quelli di diretta nomina da parte di ciascun Presidente della Repubblica.

Napolitano aveva nominato soltanto Mario Monti, che altrimenti (è storia di dominio pubblico) non avrebbe accettato di fare il premier di un governo di emergenza nazionale senza ricevere come garanzia un'incoronazione di questo tipo. Ma c'era proprio bisogno di riempire queste caselle in un'epoca di spending review e di ruggente antipolitica? Qualche dubbio francamente lo si può nutrire. Agli occhi di molti italiani, Napolitano è un presidente "dimezzato", rimasto lì perché il gioco dei veti incrociati (e soprattutto di quelli interni al centro-sinistra) ha reso inevitabile la sua riconferma al Quirinale.

Napolitano è anche colui che ha legato il prolungamento del suo mandato al mantenimento delle larghe intese, che molti elettori di centro-destra e di centro-sinistra considerano un tradimento della volontà popolare. Napolitano è anche colui che sta sollecitando a più riprese l'avvio di un processo di radicale riforma istituzionale e costituzionale, che porti anzitutto al dimezzamento del numero dei parlamentari, alla riduzione delle indennità, al taglio dei costi della politica. Ma se l'obiettivo è ridurre i parlamentari, perché nominarne altri quattro? Quali competenze così utili per il bene del Paese possono vantare il direttore d’orchestra Claudio Abbado (80 anni), il professor Carlo Rubbia (79), l’architetto Renzo Piano (76), ma anche la biologa Elena Cattaneo (51)? Nei rispettivi ambiti sono certamente dei numeri uno, tranne la Cattaneo, la cui giovane età (e non solo quella) rende davvero opinabile la scelta del Colle.

Tuttavia, in una fase storica così controversa,nella quale la differenza la fanno gli accenti di modernità e la capacità di individuare soluzioni illuminanti ai problemi del Paese, non si comprende come possa contribuire in modo costruttivo alle scelte di politica estera o di politica economica il genio di Abbado o quale valore aggiunto possano dare alle attività d'aula le discutibili ricerche che la Cattaneo conduce da anni sulle staminali. E perché non pensare a Giorgio Albertazzi o a Riccardo Muti o ad altre decine di protagonisti del mondo dell'arte, della cultura, della scienza ugualmente meritevoli? Al di là, dunque, delle reazioni, peraltro comprensibili, della gente comune, che legge queste quattro nomine come l'ennesima sfacciata manovra della "casta", esistono altre fondate ragioni per criticarle. Quattro nuovi lauti stipendi a vita attribuiti ad altrettante personalità che non avrebbero certamente bisogno di quell'assegno mensile appaiono uno schiaffo al buon senso. Diverso sarebbe se l'incarico di senatore a vita fosse gratuito e puramente onorifico. Potrebbe a quel punto configurarsi come un semplice riconoscimento a personalità di primo piano, senza gravami per le tasche dei contribuenti.

Infine, una considerazione di natura politica. La maggioranza che sostiene il governo Letta al Senato è instabile e appare legata alle vicende giudiziarie di Berlusconi e al futuro (precario?) delle larghe intese. È verosimile che alla fine il governo tenga e che si possa superare l'impasse. Ma qualora non fosse così, qualora il Pdl uscisse dal governo come ritorsione per l'eventuale voto compatto del Pd a favore della decadenza da senatore del Cavaliere, il governo non avrebbe più i numeri per restare in sella. E a quel punto, anziché sciogliere le Camere, Napolitano potrebbe ridare l'incarico a Letta affinché esplori la possibilità di formare una nuova maggioranza. Facile intuire che i quattro voti dei nuovi senatori a vita, tutti riconducibili ad un'area culturale di sinistra, potrebbero tornare utili alla causa di un Letta bis. I rimanenti voti potrebbero derivare da transfughi grillini e da qualche dissidente pidiellino. Ecco, allora, che questa scelta di Napolitano appare,tutto sommato, il gesto di un capo dello Stato che, pur di salvare la legislatura e la governabilità, rinuncia alla sua cifra di imparzialità lodevolmente coltivata per anni e dimostrata in altre occasioni e mostra di parteggiare per una riedizione del centro-sinistra di memoria prodiana che tanti guai ha procurato al Paese nella quindicesima legislatura, non a caso durata soltanto due anni (2006-2008), durante la quale solo le stampelle dei senatori a vita hanno consentito di prolungare l'attività di un governo con una maggioranza risicatissima e paralizzata dalle laceranti rivalità tra mastelliani e bertinottiani. Non sarebbe un bene per il Paese tornare a quegli anni.