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CONFUSIONE

Gay Pride, a Genova la Chiesa pensa come il mondo

Un imperdibile video in cui il responsabile per le comunicazioni sociali della diocesi di Genova spiega perché sono state negate le chiese alle preghiere riparatrici per il Gay Pride cittadino, è l'emblema di una Chiesa in stato confusionale.

Editoriali 18_06_2019
Don Silvio Grilli spiega il no alle preghiere riparatrici per il Gay Pride

Caro direttore,

a conclusione delle polemiche ecclesiastiche - non oso scrivere "ecclesiali" - che hanno accompagnato il recente gay pride genovese, è giunta a conclusione e come la ciliegina sul gelato la dichiarazione dell'addetto genovese ecclesiastico alle comunicazioni sociali in un video che proprio non bisogna lasciarsi sfuggire:

 

Le ossa del card. Giuseppe Siri, che ho conosciuto personalmente e che almeno due o tre volte parlò bene di me (ahimè, oggi complimenti del genere potrebbero essere un marchio infamante)  e la cui anima voglio sperare sia in paradiso, si rivolteranno nella tomba. D'altra parte credo che si siano già rivoltate vedendo una foto del vescovo ausiliare di Genova in maglietta rossa con croce e stola (a destra nella foto). Sì, lo so, la Chiesa di Dio né sta a galla né va a fondo per una stola posizionata su di una maglietta rossa a maniche corte e i problemi sono altri ecc.

Tornando al video, credo che sia costruttivo riflettere sulle parole sentite, sulle parole del sacerdote e sulle parole degli intervistati  "praticanti".

Cominciamo dalle parole del sacerdote. Il problema non è di non perdere e di accogliere gli omosessuali che cercano di vivere in castità e vengono a confessarsi, ma di distanziarsi - cioè non essere né solidali né accoglienti, ma soltanto ben educati - con quanti pubblicizzano questo sistema come una valida proposta di vita, salva ovviamente per tutti la libertà di manifestare con i permessi delle autorità civili (ma con altrettanta civile moderazione).

Ed è proprio su questa distinzione che il prete è scivolato, inducendo confusione su confusione e non mancando di evocare la frase magica: «Chi sono io per giudicare?». Bastava che dicesse: «Riconosciamo la vostra libertà di manifestare secondo le leggi civili; la Chiesa è aperta ad accogliere chiunque voglia convertirsi e vivere nella castità che Gesù Cristo ha proposto e il CCC attualmente propone; la Chiesa però non può accettare che la vostra sia una valida proposta di vita, anzi la Chiesa - non a nome suo ma a nome di Dio - scorge in questi comportamenti una strada "oggettiva" verso la perdizione, per cui invita tutti a convertirsi. Naturalmente rispettando la vostra libertà, che Dio per primo rispetta, ma sull'uso della quale chiederà conto a tutti nel giorno del giudizio».

L'altra considerazione amara ma realistica è che fermenti ecclesiastici del genere coesistevano già vivente e governante il card. Giuseppe Siri, per cui certe radici sono ineliminabili e presto o tardi vengono allo scoperto. E si potrebbe sviluppare un analogo discorso su Pio XII e su quanto è emerso dopo di lui ma che era già presente durante il suo pontificato ecc.

Veniamo ora alle parole degli intervistati, parole che prendo in considerazione non imputandole direttamente alle persone che le hanno pronunciate, ma ritenendole emblematiche di un certo modo di dire e di porre la questione, per cui avrebbero potuto essere proferite anche da altri. Sono parole formalmente calme, direi dignitose, che in parte si compiacciono della posizione della Chiesa genovese in questa circostanza, in parte esortano la Chiesa tutta ad andare avanti su questa linea. Ma più a fondo sono parole che esprimono una invidiabile tranquillità e pace di coscienza, tipo: "Noi siamo tranquilli e sereni, Dio e Gesù Cristo, che non giudicano né condannano, sono con noi; la Chiesa non lo è ancora del tutto, ma speriamo in passi futuri". Queste frasi non sono state pronunciate esattamente come è scritto qui, ma esprimono il sentimento e il background che le frasi hanno evocato in me e, immagino, in altri che le hanno sentite.

Ora, come credente non sono convinto di questa pace che le parole vorrebbero manifestare. Infatti mi rifiuto di pensare che Dio, il quale condanna certi peccati, che è entrato in quelle anime e in quei corpi con la grazia del Battesimo rendendoli tempio dello Spirito Santo, non sia sollecito ad avvertirli che stanno sbagliando, che stanno camminando verso la perdizione, sempre, si capisce, con la proposta del perdono e di un nuovo accoglimento da parte sua.

Se Dio non ispirasse questi sentimenti nel loro cuore, sarebbe un puro legalista - oggi si direbbe un Dio fariseo - nel condannare un peccato e nel lasciare che i trasgressori si perdano abbandonandoli in una prospettiva di infelicità eterna. Ma questo non capita e gli interessati lo sanno e avvertono questa voce - anche se possono tentare di soffocarla -, che prima di essere giudicante è salvatrice e paterna. Per questo non credo alla pace e alla tranquillità che emerge da quelle parole e invito tutti i credenti non tanto a non prenderli sul serio, ma a pregare per loro.

In attesa dei prossimi gay-pride e con un caro ricordo nel Signore