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Dopo Francesco

Fidiamoci del Papa e speriamo che sciolga i nodi della Chiesa

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Leone XIV si è già distinto per diversi discorsi fedeli al Magistero di sempre, ma al contempo non mancano i richiami ai temi di Francesco. C’è chi si interroga sulla sua posizione, ma il fedele deve tornare a guardare con fiducia al successore di Pietro, sperando che sciolga presto sei nodi.

Ecclesia 02_06_2025
Leone XIV, Giubileo famiglie, 1 giugno 2025 (Vatican Media - LaPresse)

«La pace […] proviene da Dio»; è necessaria una «conversione missionaria di tutta la comunità cristiana»; «quanto bisogno abbiamo di recuperare il senso del mistero, così vivo nelle vostre liturgie [delle Chiese Orientali], che coinvolgono la persona umana nella sua totalità, cantano la bellezza della salvezza e suscitano lo stupore per la grandezza divina che abbraccia la piccolezza umana! E quanto è importante riscoprire […] il senso del primato di Dio, […] dell’intercessione incessante, della penitenza, del digiuno, del pianto per i peccati propri e dell’intera umanità»; occorre «accogliere le opportunità che si presenteranno per confermare nella fede tanti fratelli e sorelle sparsi per il mondo»; la «famiglia, [è] fondata sull’unione stabile tra uomo e donna»; «la Chiesa non può mai esimersi dal dire la verità sull’uomo e sul mondo, ricorrendo quando necessario anche ad un linguaggio schietto»; c’è l’«urgenza di portare Cristo a tutti i popoli»; «I Papi passano, la Curia rimane»; «Gesù è il Cristo, il Figlio del Dio vivente, cioè l’unico Salvatore»; ci sono «molti battezzati, che finiscono così col vivere […] in un ateismo di fatto»; «sparire perché rimanga Cristo». Lo avrete riconosciuto: è Leone XIV. Sembrano frasi di una Chiesa antica, arcaica, paleocristiana di quasi 11 o 12 anni fa.

Poi però papa Leone rilancia molto spesso gli evergreen del suo predecessore, assai citato nei suoi messaggi, omelie, eccetera, insieme ai pontefici che lo hanno preceduto e ai Padri della Chiesa; evergreen quali: la sinodalità, il camminare insieme, la fraternità universale, l’abbattere muri e costruire ponti, l’impegno per costruire una cultura dell’incontro, il dialogo, l’amicizia sociale, la giustizia ecologica, sociale e ambientale.

Alcuni si domandano se davvero la sua persona è così convintamente posizionata sul crinale esatto che separa i cattolici fedeli al Magistero di sempre da quelli fedeli sempre al Magistero di Francesco oppure se è un abile diplomatico, un giustamente prudente stratega che sta tentando di cucire il sacro manto in cui è avvolta la Chiesa e che è stato lacerato in più punti dal suo predecessore. Un colpo al cerchio e un colpo alla botte in nome dell’unità. Per ora si registra questa posizione mediana, però poi i nodi verranno al pettine e una risposta non più interlocutoria dovrà essere data. E i nodi saranno l’omosessualità, il pluralismo religioso, il diaconato femminile, il celibato ecclesiastico, la Messa in vetus ordo e la questione Cina. I magnifici sei del pensiero eretico progressista.

La domanda – persona realmente moderata o abile stratega? – e la relativa risposta hanno sicuramente un loro peso, ma assai minore rispetto al peso della fiducia, dell’onore, del rispetto e dell’ossequio filiale dovuto al successore di Pietro. Per 12 anni siamo stati abituati male da Francesco. Mancando al suo dovere di padre, di Santo Padre, alcuni e forse molti fedeli sono stati costretti, loro malgrado, ad iniziare a sospettare che il Papa non confermasse più i fratelli nella Fede, bensì volesse confermarli nella fede nella giustizia sociale, nell’ambientalismo, nella fratellanza universale e così via.

E così non pochi di noi appaiono prudenti, addirittura sospettosi verso le parole di Leone XIV, le soppesano tra le mani come fossero sì un diamante ma in cui individuare impurità, ossia incertezze, ambiguità e addirittura errori. Molti dicono: “Vedremo, attendiamo altri discorsi, aspettiamo a giudicare, è presto”. Questo è l’amaro lascito di Francesco: un popolo di figli che dubita del padre, che si difende da lui. Un popolo di diffidenti. Ma il padre deve essere ascoltato e seguito docilmente fintantoché, com’è accaduto con papa Francesco, in modo palese dice e fa cose contrarie alla dottrina. Ma fino a quel punto dobbiamo essere figli e non giudici, figli e non ispettori, figli e non censori altrimenti saremmo noi a diventare discepoli di Francesco che aveva sminuito il papato per ingigantire la sua persona. Sì, perché ogni volta che assumiamo questa postura sospettosa quando il Papa si pronuncia, ogni volta che prendiamo in mano la matita rossa e blu quando tiene un discorso, ogni volta che saliamo in cattedra al suo posto sviliamo anche noi l’importanza del munus petrino, non riconosciamo la sua importanza, dunque le sue esigenze e quindi i nostri doveri verso lo stesso. È tempo di abbandonare le cattive abitudini, questo habitus mentale che purtroppo si è inevitabilmente incardinato in molti di noi. È tempo di tornare a trattare il Papa da Papa.

È con questo rinnovato filiale affidamento verso Leone XIV che lo attenderemo non al varco, bensì con fiducia affinché possa sciogliere quei nodi a cui si faceva cenno prima e possa far veleggiare finalmente la barca di Pietro lontano dalle secche dell’eresia e del secolarismo.



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