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FEDERALISMO SBAGLIATO

Draghi contro l'unanimità, ultima diga contro il centralismo Ue

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Mario Draghi propone di abolire il principio di unanimità nel processo decisionale europeo. Per lui è un ostacolo che blocca l'Ue. Ma è l'ultima diga che ancora impedisce a Bruxelles di diventare uno super-Stato centralista e non più democratico.

Politica 27_10_2025
Mario Draghi (La Presse)

Mario Draghi propone il “federalismo pragmatico” e flessibile data l’attuale incapacità, secondo lui, dell’Unione Europea di procedere ad una maggiore integrazione resa necessaria dalle nuove emergenze. Lo ha detto a Oviedo, in Spagna, dove ha ricevuto il premio Princesa de Asturias per la “Cooperazione internazionale”.

Questo “federalismo pragmatico” permetterebbe di ovviare al principio dell’unanimità che, secondo Draghi, sta bloccando l’Unione. Come è noto questo principio sancito dai Trattati dell’Unione stabilisce che le decisioni politiche del Consiglio dell’Unione debbano essere prese con il voto favorevole di tutti gli Stati membri, che attualmente sono 27. Egli propone tre esempi concreti di federalismo pragmatico: coalizioni di “volonterosi” pronti ad impegnarsi per obiettivi strategici, Paesi che concordano una collaborazione comune su obiettivi tecnologici forti, nazioni con industrie della difesa avanzate che condividono ricerca e sviluppo. Non è chiaro come si dovrebbe concretamente articolare il progetto, vale a dire se simili iniziative possano essere prese dal basso da parte di gruppi di Stati dell’unione che hanno interessi comuni. L’unica cosa certa di questo piano è che intende essere un passaggio verso la fine del principio dell’unanimità. Una fase di transizione, una strategia di avvicinamento inavvertito verso una unità politica centrale capace di decisioni.

È da tempo che l’Unione utilizza le cosiddette “emergenze” per spingere verso una maggiore unità politica e nuove e definitive cessioni di sovranità a Bruxelles. Prima c’era stato il Covid, dopo ci si è inventati la crisi climatica, ed infine si è fatto appello alla necessità di armarsi. In realtà in tutte e tre queste “emergenze”, a ben vedere l’Unione ha avuto anche un ruolo nel provocarle, cosa che in molti fa nascere il sospetto della strumentalità dell’argomentazione. Una di esse in particolare, vale a dire quella climatica, è stata completamente inventata e ancora oggi Draghi chiama “negazionisti” coloro che si mostrano consapevoli di questa costruzione fatta a tavolino.

La verità è che la debolezza dell’Unione è interna ad essa e non deriva dalle cosiddette emergenze. Un primo e fondamentale aspetto di questa debolezza è la crisi profonda delle democrazie dei Paesi europei. Capi di Stato e di governo vengono eletti con il 15% degli aventi diritto al voto e questa la chiamano rappresentanza; leggi sempre più permissive sui principali valori della vita e della famiglia distruggono i legami sociali naturali; un immigrazionismo incontrollato crea situazioni “balcaniche” con no goes areas giuridica, sociale ed economica; ci sono intimidazioni e persecuzioni contro chi si oppone ai principi del pensiero unico liberal come capita per chi viene arrestato perché prega contro l’aborto.

Quanto il vicepresidente degli Stati J.D. Vance diceva dell’Unione Europea alla Conferenza di Monaco del 16 febbraio 2025 corrisponde al vero. La situazione di democrazia malata della Francia, dell’Inghilterra e della Germania sono sotto gli occhi di tutti. Questi governi fanno la voce grossa ma la loro democrazia formale non riesce a nascondere un profondo malessere, messo bene in evidenza dal crollo della partecipazione al voto, così come le frequenti ingerenze di Bruxelles per orientare gli esiti elettorali. A sostenere questa democrazia che produce malessere ormai sono rimasti solo i vescovi della Chiesa Cattolica, che l’hanno sposata pensando così di evangelizzarla.

Il secondo elemento della debolezza è che negli Stati dell’Unione è in atto un notevole accentramento fondato soprattutto sulle nuove tecnologie. Si dicono democrazie “liberali” ma sono sempre meno libere, meno partecipate e più irregimentate. I cittadini sono sempre più controllati e schedati nei loro movimenti, e sempre più impediti nelle loro esigenze naturali di vera libertà economica. La dipendenza per l’acqua, l’energia, le informazioni da un sistema tecnologico sempre più centralizzato, l’impossibilità imposta di usare il contante, l’obbligo di fruire dell’unica istruzione statale spesso ideologicamente impostata fanno sì che il cittadino delle democrazie europee si senta come in gabbia. Anche le emergenze delle quali aver paura sono, alla fine, imposte.

In questo contesto va collocato l’attuale insistente dibattito sull’unanimità delle decisioni del Consiglio europeo. La debolezza patetica delle democrazie europee, che si permettono di boicottare Paesi fratelli come l’Ungheria o la Slovacchia perché mettono in Costituzione valori semplicemente naturali, per garantirsi la sopravvivenza dovrebbe indebolirsi ancora di più, delegando nuova e definitiva sovranità superando il principio della unanimità. Questo principio è il nuovo limite non valicabile di chi vuole ancora mantenere in Europa i principi del diritto naturale e delle autonomie delle famiglie, dei corpi intermedi, delle comunità locali, dei popoli e delle nazioni. Il progetto del federalismo pragmatico è una via che vuole portate a superare questo limite.

La presidente Meloni si è detta contraria ad eliminare l’unanimità. Il ministro Tajani si è detto Favorevole. Per noi ha ragione Giorgia Meloni.