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Dicono che è risorto: il piacere di una riscoperta

In questo tempo di Pasqua 2021, anno secondo della Pandemia, quanto mai opportuna viene la riedizione di un famoso libro di Vittorio Messori: Dicono che è risorto. Un’indagine sul sepolcro vuoto di Gesù (Ares). Infatti, per l’incredulo è relativamente facile credere nella Passione, ma anche i credenti fanno fatica con la Resurrezione. Messori offre le prove in questo grande classico indispensabile. 

Cultura 04_04_2021

In questo tempo di Pasqua 2021, anno secondo della Pandemia, quanto mai opportuna viene la riedizione di un famoso libro di Vittorio Messori: Dicono che è risorto. Un’indagine sul sepolcro vuoto di Gesù (Ares, pp. 416, €. 19,90). Infatti, per l’incredulo è relativamente facile credere nella Passione, ma anche i credenti fanno fatica con la Resurrezione. Sì, perché di resurrezioni nella Scrittura ce ne sono diverse, la più clamorosa è quella di Lazzaro. Ma erano resurrezioni a tempo, perché i resuscitati (da un profeta, da Gesù, da un santo) dopo qualche tempo tornavano a morire, e definitivamente.

La Resurrezione di Cristo, invece, è unica: Gesù risorge senza che nessuno lo richiami in vita, e non muore più, per sempre. Ora, dice Pascal, «non sapere è assai meglio che sapere in modo sbagliato». Da qui la meticolosa indagine di Messori sull’enigma del Sepolcro Vuoto. Innanzitutto, quel che vi trovarono dentro i primi accorsi, Pietro e Paolo. Sì, le donne e Maddalena videro il Risorto prima, ma non erano entrate nella tomba. Giovanni, più giovane, arriva prima, ma non entra: cede il passo a Pietro, il capo. Solo dopo entra anche lui. E che vedono? La lunga pietra su cui stava il corpo. Su di essa, la sindone ancora avvolta dalle bende e il sudario, che avvolgeva il capo, è ancora lì, nella stessa posizione di quando fu avvolto.

Solo che dentro non c’è niente. Chi ruba cadaveri guardati a vista (c’era un corpo di guardie, messe lì dai farisei) non perde certo tempo a svolgere le bende, aprire la sindone, svolgere il sudario e poi, tolto il cadavere, rimettere tutto a posto com’era prima. E poi, perché farlo? No, Gesù attraversò letteralmente l’involucro che lo avvolgeva e, come sappiamo, il flash della Resurrezione lasciò un’impronta sulla sindone.

Volutamente. Poi attraversò anche la pietra che chiudeva la tomba. Solo dopo, un angelo la rovesciò e vi si sedette sopra, sconvolgendo le guardie che, infatti, scapparono. I sinedriti fecero loro dire di essersi addormentati e che erano stati i discepoli del giustiziato a trafugarne il cadavere. Non erano certo romani, che il loro centurione avrebbe fatto mettere a morte (a bastonate) se trovati dormienti a un turno di sentinella.

Tuttavia, come fa notare sant’Agostino, anche la versione ufficiale dei sinedriti fa acqua: se dormivano, come fanno a sapere chi è stato a portar via il cadavere? Sia come sia, per molti (anche teologi) la Resurrezione è un pio mito fabbricato col tempo dai cristiani. E’, tuttavia, uno stravagante mito: il Risorto mica appare al Sinedrio e a Pilato per dire «visto, che avevo ragione io?». No, si mostra, in sordina, agli amici più stretti. E, anche qui, tutto finisce in una mangiata: il primo miracolo, Cana, avviene a tavola; il miracolo più grande, l’Eucarestia, pure; il Risorto, appena apparso, chiede un piatto di pesce arrostito; e pure l’apparizione sul lago di Tiberiade finisce in "pic-nic". Non è così che si inventa, dice l’insospettabile Rousseau.

Per giunta, non è facilmente riconoscibile: la Maddalena lo scambia per un giardiniere, i due di Emmaus lo riconosco solo (ancora!) a tavola. Messori riempie un intero e corposo libro di mille particolari che dimostrano (dimostrano!) la storicità della Resurrezione. Anche se certo progressismo clericale ancora oggi fa il difficile. Non per niente Messori ricorda che «certi cattolici milanesi, non sopportando che la Facoltà Teologica si aprisse nella piazza chiamata, da sempre, «delle Crociate», insistettero presso le sconcertate autorità comunali perché lo slargo venisse ribattezzato «Paolo VI». Città che, tra l’altro, ha nel suo stemma proprio l’emblema delle crociate, cui partecipò generosamente con uomini e con denaro, sin dalla prima, la sola vittoriosa». C’è anche un’opera lirica al riguardo: I Lombardi alla Prima Crociata. Ma non è il caso, anticipando troppo di togliere ai lettori il piacere della scoperta di questo fondamentale libro.