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OTTOCENTO DA CAPIRE/12

Così Verga abbracciò il verismo

Verga, già romanziere e novellista di successo, abbracciò lo stile verista negli anni '70 dell'Ottocento dopo l'incontro con l'autore Luigi Capuana, a Milano. Lo scrittore verista è colui che racconta fatti oggettivi sparendo dalla narrazione, facendo parlare i personaggi col loro idioma e modo di pensare. Con la raccolta Vita dei Campi (1880), Verga inizia il suo percorso.

Cultura 04_06_2017
Vita dei Campi, un'antica edizione

Nella prefazione all’Amante di Gramigna, una lettera indirizzata all’amico Salvatore Farina, romanziere molto prolifico, Verga spiega in cosa consista la poetica verista esponendo il canone dell’eclissi dell’autore. La novella deve sembrare qualcosa di raccolto tra i campi tanto che «l’opera d’arte sembrerà essersi fatta da sé». L’opera d’arte raggiungerà la perfezione quando «la mano dell’artista rimarrà assolutamente invisibile» e saranno solo le cose a parlare. Verga passa così da una «poesia di parole» ad una «poesia di cose». Per poesia dobbiamo qui intendere l’atto creativo: ogni termine utilizzato rappresenterà la realtà concreta.

La novella L’amante di Gramigna entra a far parte della raccolta Vita dei campi pubblicata nel 1880. La prima opera verista di Verga risale a due anni prima, quando Rosso malpelo viene pubblicato sulla rivista Il Fanfulla. La conversione di Verga al verismo è, in realtà, graduale. Gli esordi letterari di Verga sono romanzi di stampo patriottico-risorgimentale, come Amore e patria, Sulla laguna, I carbonari della montagna. Dopo i venticinque anni, a Firenze, pubblica Una peccatrice (1866) e Storia di una capinera (1871), opere di tipo erotico-passionale. A Milano Verga si trasferisce nel 1872, pubblicando Eva (1873), Eros (1875), Tigre reale (1875). Sono storie di amori impossibili, in contesti altolocati e borghesi. Verga conosce gli autori scapigliati e Luigi Capuana. Grazie a quest’ultimo incontro avviene la svolta verista. Dapprima lo scrittore cambia le ambientazioni e i personaggi delle sue opere. Il bozzetto siciliano Nedda (1874) vede come protagonista una raccoglitrice di olive, che perde l’amato e la figlia. Lo sguardo dell’autore si concentra ora sulle classi sociali più basse, ma il metodo di racconto non è ancora verista e impersonale. Lo sarà solo a partire dalle novelle raccolte poi in Vita dei campi (1880). Gli anni Ottanta saranno il decennio dell’esplosione del verismo in Italia. Il movimento avrà, però, vita breve. Nel 1889, infatti, anno in cui viene pubblicato il secondo romanzo del ciclo dei vinti Mastro don Gesualdo, esce anche l’opera del ventiseienne scrittore Gabriele D’Annunzio. Il piacere conseguirà un successo tale che avvierà il movimento dell’Estetismo anche in Italia, favorendo una sensibilità nuova, di stampo decadente, nettamente contrapposta al paradigma culturale positivista.

La conversione di Verga non è etica né tantomeno politica, ma di tipo letterario e poetico. Non credo che sia corretto affermare che Verga inizi a descrivere i poveretti e i più umili perché è diventato più progressista e meno conservatore. Infatti il conservatorismo politico di Verga si manifesterà in diversi episodi, ad esempio quando si schiererà a favore del generale Bava Beccaris che reprime le manifestazioni di una folla affamata a Milano nel 1898. Il cambiamento di poetica avviene attraverso l’uso di artifici letterari che permettono di attuare l’oggettivizzazione del racconto. Grazie alla regressione il narratore assume un punto di vista più basso, a livello culturale e sociale, rispetto a quello che l’autore realmente possiede. Celeberrima è l’inizio della novella Rosso Malpelo in cui Verga racconta che il ragazzo si chiamava Rosso Malpelo perché aveva i capelli rossi e aveva i capelli rossi perché era cattivo. Questo non può essere evidentemente il punto di vista di Verga, ma è il giudizio di un ceto sociale basso, ignorante e superstizioso. Il lettore è così inserito fin da subito in un contesto lontano da lui. Verga nasconde il narratore per rendere la narrazione impersonale. La stessa funzione ha il discorso indiretto libero, trascrizione dell’Erlebte rede («discorso rivissuto») termine coniato dal critico tedesco Leo Spitzer. In questo caso l’autore riporta il pensiero o le parole dei personaggi così come i personaggi potrebbero pensarli o pronunciarli nella realtà. Ogni personaggio ha il suo idioletto, cioè il suo linguaggio specifico. In realtà non dobbiamo credere che Verga scriva in siciliano, perché nessun lettore capirebbe le sue opere. Verga crea una sorta di italiano abbassato, improntato alla mimesi del parlato, un linguaggio ibrido, che non è né italiano né dialetto puro. Per questo ripete spesso la congiunzione «che», usa l’indicativo al posto del congiuntivo, si avvale di proverbi e di espressioni siciliane italianizzate.

Se vedessimo il film La terra trema, trasposizione cinematografica del regista Luchino Visconti del romanzo verghiano I Malavoglia, potremmo capire quale sarebbe il linguaggio siciliano stretto. Visconti ha, infatti, scelto pescatori siciliani per parlare nel loro dialetto. La lingua delle opere di Verga è, invece, perfettamente comprensibile da un lettore di cultura media.

La prossima settimana inizieremo il percorso di esplorazione delle raccolte di novelle e dei romanzi di Verga veristi a partire dalla raccolta Vita dei campi.