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COMUNISMO

Cosa vuole ottenere la Corea del Nord con i suoi test missilistici

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Pare che Kim Jong-un, dittatore della Corea del Nord, stia cercando in tutti i modi di ritornare al centro dell’attenzione. Sta effettuando un numero da record di test missilistici, mostrando al mondo di disporre di una tecnologia militare più avanzata. Ma cosa vuole ottenere il "regno eremita"? All'interno è molto in crisi. 

Esteri 28_03_2023
Kim Jong-un (al centro in camicia bianca) assiste ad un test missilistico

Pare che Kim Jong-un, dittatore della Corea del Nord, stia cercando in tutti i modi di ritornare al centro dell’attenzione, disperatamente. Il leader dell’ultimo regime stalinista puro rimasto al mondo, sta conducendo una serie di test missilistici sempre più provocatori. Un tempo, ognuno di questi, avrebbe provocato una crisi internazionale e occupato le prime pagine dei giornali. Oggi, con la guerra in Ucraina in corso, la diplomazia internazionale non si scomoda e i media occidentali ignorano il “regno eremita”, sempre più isolato. Ma fino a quando può continuare questo crescendo, senza provocare gravi conseguenze?

La cronaca dell’ultimo mese è un vero bollettino di guerra, pur senza guerra. 20 febbraio: lancio di un missile balistico intercontinentale, capace di raggiungere anche il territorio degli Stati Uniti. 24 febbraio: lancio di un missile da crociera che inizia a manovrare in modo ardito a ridosso dell’area delle esercitazioni sudcoreane, disegnando un grande 8 nel cielo. 9 marzo: lancio di missili balistici a corto raggio. 13 marzo: lancio di due missili da crociera. 14 marzo: altri due missili balistici a corto raggio. 20 marzo: la Corea del Nord simula (per esercitazione) un attacco missilistico nucleare. 22 marzo: altri missili da crociera lanciati. 24 marzo: viene testato un drone sottomarino capace di portare anche una testata nucleare. La propaganda nordcoreana “vanta” di poter creare, così, degli tsunami atomici contro le coste di un Paese nemico (Corea del Sud, Giappone o Usa).

Si era vista un’escalation simile anche l’anno scorso: con 95 lanci di missili quello del 2022 è un record finora imbattuto. Ma il 2023 parte già male. C’è sempre la giustificazione pronta: tutti questi lanci di missili sono spiegati come una risposta necessaria contro le esercitazioni congiunte fra Usa e Corea del Sud, anche questa volta, come di consueto. Da un punto di vista militare, le ultime esercitazioni hanno dimostrato che il regime comunista di Pyongyang ha sviluppato molti nuovi tipi di armi, cosa che renderà più difficile la difesa.

All’inizio dell’anno, Kim Jong-un ha annunciato esplicitamente che l’obiettivo è quello di costruire una “forza militare soverchiante”, concentrandosi sulla produzione di armi nucleari tattiche a corto raggio per colpire il Sud, nonché di missili balistici intercontinentali a lungo raggio per colpire gli Stati Uniti. Si tratta del riferimento più esplicito e articolato in assoluto alla volontà di usare armi nucleari (in caso di conflitto).

Da un punto di vista politico, però, a cosa serve flettere così tanto i muscoli? Kim Jong-un è visibilmente in crisi su molti fronti. Diplomatico, prima di tutto: dopo il fallimento dei colloqui con Donald Trump, i primi diretti fra Corea del Nord e Usa, dal 2019 il dittatore nordcoreano non ha mai più avuto altre occasioni diplomatiche per negoziare. Trump, per porre fine alle sanzioni internazionali, gli aveva chiesto una piena e verificabile denuclearizzazione. Kim, che basa tutta la sua forza sulle armi nucleari, non ha accettato. Da quel fallimento, non ha più ottenuto nulla. Ora può voler tornare al tavolo, se non da una posizione di forza, almeno da una in cui possa incutere timore.

Economico: i nordcoreani stanno letteralmente morendo di fame, probabilmente rischiano una seconda carestia, dopo quella degli anni Novanta che causò milioni di morti. La causa della nuova carestia è stata la chiusura totale delle frontiere, anche con la Cina, per tentare di impedire l’ingresso della pandemia. Che comunque è arrivata lo stesso, anche se il regime l’ha nascosta per quasi due anni. In tre anni, isolamento internazionale, disastri naturali che hanno rovinato i raccolti e una riduzione dell’area coltivabile, hanno creato le condizioni peggiori possibili per l’agricoltura locale. Resta poi il sistema di distribuzione comunista dei prodotti: prima tutto il raccolto va nei catasti di Stato e poi viene redistribuito. I maggiori privilegiati nella redistribuzione, i militari, in questo periodo stanno ricevendo meno del solito, secondo il sito sudcoreano Daily NK, che raccoglie notizie da fonti interne al regime. Anche chi ufficiale riceve razioni di cibo per sé, ma non per la famiglia. Se il popolo muore di fame, il regime rischia di perdere consensi e legittimità. Per questo alza l’asticella dello scontro con un nemico esterno, come sempre hanno fatto tutte le dittature.

Politico: nessuno sa realmente cosa succeda all’interno dei palazzi del potere di Pyongyang. Non a caso lo chiamano “regno eremita”. Però si nota una serie di comportamenti atipici di Kim Jong-un, come la sua tendenza ad apparire in video e nelle occasioni pubbliche assieme alla figlia minore Kim Ju Ae. Sarà lei la prescelta alla successione? E questo vuol dire che le teste degli altri pretendenti stanno già rotolando? Secondo Bruce Bennett, analista statunitense della Rand Corporation, “anche le élite stanno attraversando un periodo difficile”. Questo perché “membri della cerchia interna sono stati epurati. Kim è stato molto brutale, non solo con la gente comune, ma anche con i vertici”. Anche qui: trovare un nemico esterno con cui aumentare la tensione è un toccasana per i regimi in crisi.

Infine la Corea del Nord, è sì “eremita”, ma non è sola al mondo. È sempre dipendente dalla Cina, per tutto il necessario, dal carburante ai medicinali passando per i rifornimenti di tecnologia. In questo ultimo anno e mezzo si è anche molto avvicinata alla Russia, di cui appoggia esplicitamente l’invasione dell’Ucraina. Cina e Russia potrebbero volere (o quantomeno consentire) un atteggiamento più aggressivo della Corea del Nord, anche solo per creare un nuovo fronte di crisi contro le democrazie occidentali.