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DERIVA ARCOBALENO

Corsi per fidanzati gay, l'omoeresia si fa pastorale

Il portale Gionata lancia il primo corso per fidanzati gay. Così l'omoeresia si fa pastorale arcobaleno con il placet di alcuni vescovi. L'obiettivo? Naturalizzare l’omosessualità, matrimonializzare le relazione gay, eliminare il peccato relativo a condotte omosessuali e giudicare positivamente l’omosessualità non solo sul piano morale, ma anche su quello teologico. 

-IL PREFETTO E L'OSPITE ICONA GAY di Marco Tosatti

Famiglia 11_12_2017

Il portale Gionata è una piattaforma che si definisce così: “Portale su fede e omosessualità”. Gionata ha ospitato la testimonianza dei coniugi Corrado e Michela del gruppo Davide, gruppo di genitori con figli omosessuali. La coppia è impegnata da 25 anni nei corsi pre-matrimoniali ed hanno offerto questa loro esperienza sul campo a sette coppie omosessuali, tra cui c’erano anche alcune che volevano unirsi civilmente, organizzando quattro incontri ospitati da alcune comunità cristiane e monasteri. In breve si sono inventati i corsi fidanzati per coppie gay.

Corrado e Michela spiegano che “ci siamo sentiti interpellati dalla richiesta fattaci da sette coppie di ragazzi gay credenti e provenienti da tutt’Italia, di essere accompagnati in un cammino di discernimento sia per approfondire l’esperienza dell’amore di coppia nella loro realtà omosessuale che per un approccio serio e consapevole, per alcuni di loro, alle Unioni Civili”. Prima riserva: è errato parlare di “amore” nelle relazioni omosessuali. Non tutto ciò che percepiamo a livello sentimentale come amore, lo è davvero. Non ogni attrazione è umanamente e quindi moralmente sana. L’errore è anche sul piano teologico perché se esistesse anche l’amore omosessuale e se, come possiamo leggere nella Prima lettera di San Giovanni, “Dio è amore” (4,8) ciò comporterebbe che Dio è anche amore omosessuale, la qual cosa sarebbe una bestemmia.  

La coppia poi aggiunge: “Tutti siamo oggetto dell’amore provvidente del Padre, nessuno è escluso dalla comunità di fede e ogni persona nella sua realtà è sacra: per questo ci è sembrato giusto accompagnare queste coppie che cercano la loro felicità, la loro vocazione, nello specifico progetto che Dio ha su di loro”. Vero è che tutti sono destinatari dell’amore di Dio, ma Dio ama l’uomo seppur peccatore, non ama il peccato del peccatore. Dio ti ama e ti chiama a salvezza, quindi ti chiama con forza ad abbandonare il peccato, che nello specifico si identifica nella relazione omosessuale. Ne consegue che il progetto di Dio su questi ragazzi omosessuali non è “continuate a vivere nell’omosessualità”, bensì “abbandonatela”. Con la grazia di Dio e il conforto umano ciò è sicuramente possibile. Chi ha cuore la felicità di questi ragazzi non può confortarli nel rimanere in una condizione che li vincola all’infelicità.

Corrado e Michela, nel loro report di questa esperienza di “pastorale” arcobaleno, affermano che un punto di “forza è stata la scoperta per noi genitori, preoccupati della felicità dei nostri figli gay, che anche una profonda relazione d’amore omosessuale, che si nutra di rispetto reciproco e del dono di sè all’altro, che sia fedele, che apra le sue porte a chi è debole e nel bisogno, è una relazione degna di essere vissuta e che nell’incontro con Gesù può trovare luce, speranza, consolazione. Per noi genitori l’Unione Civile non toglie ma aggiunge dignità etica a questa scelta”. La relazione omosessuale, come spiegano molte ricerche (cfr. tra i molti studi Gerard J. M. van den Aardweeg, La scienza dice NO. L’inganno del “matrimonio” gay, Solfanelli) non è rappresentativa di una donazione di sé, ma ne configura l’esatto contrario: una ricerca solipsistica e spesso narcisistica di sé. Si cerca l’altro uomo per confermare se stesso in un ruolo maschile che si percepisce latitante. L’Unione civile poi eleva a bene giuridico la relazione omosessuale che di suo è intrinsecamente disordinata. Quindi struttura civilmente un peccato.

Il racconto di Corrado e Michela, i quali – ne siamo certi – sono animati dalle migliori intenzioni, mette in evidenza alcuni capisaldi del processo omoeretico che si sta sviluppando in seno alla Chiesa e che potremmo così sintetizzare per punti. Primo: naturalizzare l’omosessualità, ossia sostenere che l’omosessualità è una naturale variante dell’affettività umana. Secondo: matrimonializzare la relazione omosessuale. Ciò a dirsi che a motivo della sua normalità, si può sovrapporre la relazione omosessuale al matrimonio. Terzo: eliminare il peccato relativo a condotte omosessuali. Il precedente punto porta a configurare una pastorale per le persone omosessuali dove il tema del peccato delle condotte omosessuali è sostituito dall’impegno contro ogni sorta di discriminazione. Impegno sicuramente lodevole, ma che non dovrebbe condurre a sopprimere il giudizio della Chiesa sugli atti omosessuali. Quarto: giudicare positivamente l’omosessualità non solo sul piano morale, ma anche su quello teologico. I precedenti punti non possono che portare a concludere che, transitando dal piano morale a quello teologico di fede, l’amore che Dio ha per la persona omosessuale si estende ad un (impossibile) amore divino per l’omosessualità. Detto in altri termini: dall’accoglienza (doverosa) per la persona omosessuale si transita all’accoglienza (da evitarsi) dell’omosessualità. Quinto: creare una pastorale a favore dell’omosessualità per il tramite dello strumento del silenzio assenso.

L’iniziativa di Corrado e Michela legittima anche sotto il profilo ecclesiale l’omosessualità. Infatti gli incontri si sono svolti nelle città di Milano, Bologna e Roma. I vescovi competenti per le diocesi in cui si sono svolti gli incontri non ne sapevano nulla? E se hanno saputo perché non sono intervenuti? E così il cerchio arcobaleno si è chiuso.